ANGEL HEART

hacky


Settantacinque anni dopo la sua morte, gli scienziati hanno determinato cosa uccise Hachiko, l’Akita leggendario la cui storia è stata immortalata nel suo paese nativo, il Giappone, e anche nel resto del mondo. Il cane più famoso del Giappone – che per decenni si era creduto fosse morto per aver mangiato uno spiedino di pollo che gli perforò lo stomaco – forse morì di cancro ai polmoni e al cuore, almeno così sostengono ora alcuni scienziati.Hachiko divenne leggendario per la lealtà che dimostrò nell’aspettare il suo padrone, tutti i giorni alla stazione di Shibuya, per 10 anni, che morì a causa di un ictus mentre era in università. Hachiko morì nel 1935, all’età di 13 anni. Dopo la sua morte, i ricercatori di quella che oggi è l’Università di Tokyo, eseguirono l’autopsia sul corpo del cane, scoprendo ascaridi nel suo cuore e del liquido nel suo addome.Utilizzando sofisticati test come la RMN, un team di scienziati dell’Università di Tokyo ha analizzato gli organi di Hachiko, scoprendo tumori di grandi dimensioni nel cuore e nei polmoni. L’esame è stato possibile poichè gli organi dell’animale erano conservati presso l’Università di Tokyo in Bunkyo Ward. Una riproduzione di Hachiko è in mostra al Museo Nazionale di Natura e Scienza di Tokyo, in Taito Ward, mentre una statua in bronzo fu costruita in suo onore, e messa nella posizione dove aspettava il suo padrone, alla stazione di Shibuya. Hachiko accompagnava il suo padrone, un professore universitario di nome Hidesaburo Ueno, alla stazione ferroviaria ogni giorno, e ogni sera lo andava ad aspettare sempre nello stesso punto della stazione. Quando Ueno morì, Hachiko continuò ad andare alla stazione ogni giorno per aspettare il suo padrone, per circa dieci anni. La storia è stata raccontata in numerose versioni, ma la più famosa è la versione più recente, “Hachiko – A Dog’s Story”, interpretato da Richard Gere. So che pochi potranno capire il video, ma in parole povere è la notizia riportata da un telegiornale che spiega il risultato dei test effettuati dal team dell’Università di Tokyo.