Creato da SognoBuio il 12/12/2008

FANTASIA E REALTA'

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Sharasm

Post n°19 pubblicato il 16 Luglio 2012 da SognoBuio

La mia Sharasm. Come non volerle bene? Quasi impossibile, visto che è tutta sfasata, tanto sofferta e così... entusiasta? Entusiasta, sì, anche se probabilmente non è un aggettivo che lei si appiccicherebbe volentieri (e, soprattutto, spontaneamente) addosso. Ma io me la ricordo camminare in giro per un paesino di montagna con gli occhioni spalancati e un gran sorriso stupefatto (questa volta l’aggettivo è azzeccatissimo, viste le erbe aromatiche fumate la sera prima dalla nostra eroina), tutta intenta a godersi una giornata strana, che in linea teorica non sarebbe mai dovuta capitare. Perché, come dici tu, abbiamo infilato le nostre testoline in vite lontane, che mai e poi mai avrebbero potuto, ancor prima che dovuto, incontrarsi. Digressioni. Resta il fatto che io Sharasm me la ricordo allegra e spiritosa, oltre che palesemente incasinata e sanguinante. Di te, Sharasm, mi ricordo bene. Mi capita ancora di pensarti o di parlare di te a Roman (l’altro Roberto, che per la cronaca è ancora vivo, anche se appena appena), tanto per cominciare. E poi mi salti spesso davanti agli occhi quando parcheggio la macchina sotto casa (o sotto la cascina, come la chiamo io). Mi ritorni in mente per via di quella serata tutta balorda, di cui ti racconterò tra un attimo. Materiale da romanzo, comunque. Ma se di te ho memoria, Sharasm, degli anni che ci videro in contatto ho solo un vago, vaghissimo ricordo. Lavoravo in un ipermercato, doveva essere morto da poco mio fratello Andrea, Claudia viveva a Londra e papà era molto malato. è morto qualche anno fa, non ricordo nemmeno bene quando. Mamma girava da un istituto di psichiatria all’altro, sempre più fuori controllo. Se non ricordo male (e no, non ricordo male), in quegli anni ero fermamente convinto (fermamente convinto) di essere praticamente indistruttibile. Non potevo morire. Niente poteva farmi veramente male. Non avevo bisogno di mangiare. Non avevo bisogno di bere. Non avevo bisogno di dormire. Mi concentravo solo sull’intensità: tutto doveva essere intenso, forte, prepotente. Ricordo che mi spegnevo le sigarette sulle braccia. Ricordo che scopavo bene. Ricordo che non avevo mai, mai, mai paura. Vai a sapere perché ti avessi notata, nella Tana degli Elfi (o come diavolo si chiamava quel postaccio infame): eri spigliata, eri brillante, eri sicuramente una delle figure di spicco di quel circolo di disperati. Ricordo la storia del CD: ci ho pensato spesso, soprattutto da quando quel gruppaccio si è messo a fare canzonette pop buttando a mare quel minimo di atmosfera fumosa che aveva celato la loro palese mancanza di stile. Più e più volte, nel corso degli anni, mi sono rimproverato di averti mandato proprio “quel” disco. Avrei dovuto puntare su un Van Morrison d’annata, tipo Astral Weeks, roba immortale e illuminata. Uno dei miei dieci dischi da isola deserta, per la cronaca. Altro che quel gruppo di australiani emigrati in Inghilterra. Con i Mogwai (il gruppo “post rock” del concerto dal vivo) siamo andati meglio, invece. E mi ricordo anche di tutti i momenti che hai fotografato nella tua lettera. Il fatto è che io me li ricordo anche un po’ diversi. Partiamo dal nick? Partiamo dal nick, che era Paradroid ma che non aveva nulla a che fare con la canzonaccia dei Radiohead (“Paranoid Android”, da un album che non ascolterei nemmeno in catene intitolato “OK Computer”). In parte era un occhiolino strizzato a Dick, il tipo di Ubik (e de “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”, da cui venne tratto “Blade Runner”. Gran film), ma soprattutto era un omaggio a tale Andrew Braybroook, un programmatore inglese che a metà degli anni Ottanta sviluppava videogiochi per home computer. Uno dei suoi giochi più famosi è battezzatp, per l’appunto, Paradroid. Gioco che tra l’altro non mi è mai piaciuto, ma questa è un’altra storia. E poi i CD di casa mia. Ai tempi erano circa 1200, mi pare. Adesso non ne ho idea. Forse meno, perché tanti li ho prestati e regalati in giro. A parte una manciata, di tutti gli altri mi interessa pochissimo. Ah, i CD non sono mai stati in ordine alfabetico. Troppo ovvio. Troppo facile. Erano divisi per affinità, invece. Tutti i dischi di un gruppo erano vicini, sistemati in ordine cronologico, e ogni colonna rappresentava un diverso genere. Di fatto l’unico modo per sapere dove diavolo fosse un determinato disco era chiedermelo. Oppure conoscermi alla perfezione. Di quell’antico e rigoroso ordine ormai resta pochissimo, visto che per la cascina è passata come un tifone quella disperata di Tania, la mia ex. Siamo stati assieme quattro anni e mezzo, tre dei quali passati a convivere qui in cascina. Bella ragazza, molto divertente: sarebbe stata una mamma perfetta per i miei bimbi, se non fosse stata tutta svalvolata. Mi ha lasciato qualche anno fa (quattro, mi pare, ma forse anche di più) e adesso vive a Berlino con un sassofonista americano, o una roba del genere. Non la sento più, comunque, anche se mi capita davanti agli occhi ogni due per tre, visto che la cascina è ancora piena zeppa di roba sua. Tenere Tania in casa è stato come avere in salotto una cassa di fuochi d’artificio: un casino tremendo, un sacco di botti e colori, tanta frenesia. Digressioni, di nuovo. Torniamo a noi, invece. La sera che io e Roman venimmo da te... una bella serata. Mica avevo capito che il tipo del bar/ristorante fosse il tuo ex: forse me lo avevi anche detto, ma tanto mi interessava pochino. Era una comparsa. Ricordo la scena degli occhiali. Era un grande classico di quei tempi barbari. Probabilmente li avevamo addosso anche quando chiedemmo dove diavolo fosse via Mondaini (ricordo ancora il nome della via, tanto per farti capire come funziono bene) a dei contadinacci che, se avessero visto degli alieni su un’astronave al posto di Roman e del sottoscritto sulla Tigra, novantanove su cento avrebbero tirato fuori dal cilindro un’espressione decisamente meno stranita di quella che si dipinsero in viso. Ricordo anche che rubasti la macchina di Roman per farti un giretto. Roba da matti. Roba da Sharasm o, comunque, roba da Sharasm così come mi si presentava ai tempi. E sì, quella sera mi sembrasti ben inserita nel “contesto sociale”, anche se colavi tristezza e dolore da ogni bordo. Ti ricordo carinissima, quella sera, fin da quando ci apristi la porta visibilmente in disordine. Eri carina e sorridente. Ricordo anche parecchio bene il nostro fine settimana a Malesco, quel dannato paesino di montagna che tanto mi ha fatto da rifugio (Tania veniva proprio da Malesco, per la cronaca). Ricordo quel cretino di Roman che ascoltava quella porcheria de “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi a tutto volume mentre portava, ballando come un tarantolato, utensili, coltelli e posate dalla cucina al salotto. E mentre i violini di Vivaldi impazzivano, lui faceva girare un frullatore a tutta velocità, guardandoti con occhi spiritati. Direi che tutto sommato ti è andata bene a finire a letto con me. Anche perché ai tempi, diciamocelo, scopavo bene. Quella notte fu una bella notte di sesso. Ah, per la cronaca, sei anche stata protagonista di uno dei migliori pompini della mia vita. Diciamocele, certe cose. Anche a me sono capitate notti di sesso freddo, anonimo, spiacevole e bruttino con una tipa che magari conoscevo appena. Ne sono capitate anche di calde, piacevoli e divertenti. Quelle passate in tua compagnia rientrano nella seconda categoria. Dico “quelle” perché, oltre alla notte a Malesco, ricordo anche la serata in cascina, quando ti trovai ad aspettarmi sotto casa. Mi tirasti uno schiaffo e cercasti di mettermi sotto con la macchina, per poi tornare da me un’oretta più tardi. Scopammo anche quella notte, poi ti ritirasti per dormire (in camera di Roman). Io mi svegliai presto, perché ai tempi aprivo i cancelli dello scarico merci alle 5:45 del mattino, e ricordo che per tutto il giorno continuai a pensarti. Da sola, in cascina. Ero convinto di tornare a casa e di trovare un disastro, tipo televisore buttato in giardino o cucinain fiamme. Invece trovai un bel biglietto sorridente, dove mi offrivi una mano, e la casa un po’ sistemata. Nel corso degli anni ho romanzato la faccenda e, in giro, vado dicendo che mi avevi fatto anche la spesa. La cascina, comunque, è un po’ cambiata. Ai tempi era veramente una grotta. Adesso un po’ meno, anche se è sempre disordinata e sporca. Tania l’ha riempita di roba, di vita, di colori. Fino a qualche tempo fa c’erano tende colorate, tappeti, lampade, addirittura qualche pianta. E poi mostri di stoffa. Ovunque. Del resto li faceva lei, quindi in giro per casa c’erano sempre mostri, gomitoli, rotoli di filo, aghi e stoffe di tutti i tipi. E poi c’era la gattina di Tania, Salopette, che portammo a casa da cucciola e che probabilmente mi ha cambiato la vita. Mi ha raddolcito, quella strega tutta nera. Ma la mia vita la devo a un’altra creatura, Conflitto, il mio bulldog. Ora è vecchio, stanco e malato, ma regge ancora. L’ho portato a casa più di otto anni fa. Stavo malissimo, ai tempi: avevo troppa cocaina in testa e non ci capivo più niente. Mi ricordai di quando mio fratello mi regalò una cucciola di boxer, tanti anni prima. Me la regalò perché secondo lui “avevo bisogno di un cane, visto che stavo troppo male e avevo troppa paura”. Ecco, Conflitto avrebbe dovuto darmi una mano. Disgraziatamente mi sono portato a casa un impiastro e quindi, rullo di tamburi, è toccato a me prendermi cura di lui. Ma quanto ho imparato, crescendolo. Mi sento anche un po’ un cretino a raccontarti una roba del genere, visto che da quel che ho capito tu sei pure sposata e, sempre se non ho capito male, forse hai pure un figlio. Dico bene? Mi pare di ricordare uno scambio di SMS, ma forse mi sono solo immaginato tutto. Capita. Ah, i brividi post orgasmo erano (e sono) una roba di testa: capitano (capitavano) anche questi, di tanto in tanto. Soprattutto se ero stato ai limiti per troppo tempo (poco sonno, poco cibo, sesso intenso)......................

R.

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