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« Il primo giorno di Ventu...Cairo: "Pronto a spender... »

Ventura gioca il suo derby: "Conte l'ho ispirato io"

Post n°7155 pubblicato il 09 Giugno 2011 da fedelissimiroma1971

Il nuovo tecnico del Toro: «Il 4-2-4 lo facevo a Verona» Le motivazioni: «Cairo mi ha convinto in un minuto, tramuterà la rabbia in gioia»

 FRANCESCO MANASSERO

 

TORINO
«Il Toro è adrenalina allo stato puro». Parole e musica di Mister Libidine. «Dopo quasi trent'anni di carriera non cerchi un contratto, ma qualcosa che ti ecciti. Il Torino mi fa quest'effetto. Per me è una scelta di vita. Non sono un pazzo ad aver accettato una delle piazze in questo momento più difficili d'Italia. Ci credo. La scintilla me l'ha data la partita con il Padova che ho visto all'Olimpico. Sono rimasto colpito dai 25 mila che gremivano gli spalti. Avevano tanta sofferenza, ma anche grande voglia di tornare a vedere calcio. Il mio compito sarà quello di trasformare la rabbia in gioia. Il Toro ha un obbligo: tornare in serie A, che è il campionato che merita. Cairo mi ha convinto in un minuto ad accettare: abbiamo entrambi un progetto vincente. Ai tifosi dico di fare l'abbonamento, non se ne pentiranno».

È iniziata la rivoluzione di Ventura. «Per me una stagione basta e avanza per spiegare chi sono – così il neo allenatore –. Se vinco per come ho in mente di giocare, Cairo sarà costretto a farmi un super contratto. L'ho messo a fuoco, il presidente: ha la mia stessa voglia, è ambizioso, come il sottoscritto. Per questo ho scelto il Torino, una piazza di serie A». L'uomo giusto al momento giusto. Anche l'ultima spiaggia per riabilitare una gestione sportiva del club che negli ultimi tre anni è stata fallimentare. Ventura sembra l'ancora di salvezza, non solo per Cairo. Sicuro, deciso, con grande esperienza, con la battuta pronta quando serve. Mezzo motivatore e mezzo psicologo. Soprattutto ambizioso: a 63 anni, con una lunga carriera alle spalle, non è poi così scontato. Il Toro vuole voltare pagina e Ventura sembra sapere come. La prima lezione sarà a monte. «Bisogna ricreare cellule viventi dello spirito granata che pian piano sono morte. Mio padre è piemontese e io ho vissuto la storia del Filadelfia quando ero ragazzo. Mi è rimasta impressa. Il Toro comprava i calciatori e poi li contagiava. Adesso non è più così. Dovranno essere i protagonisti sul campo a ridare linfa vitale al Toro per ricreare lo spirito di un tempo. Devono capire cosa significa giocare per questa maglia e le responsabilità che ciò comporta: li porterò tuttI al Museo».

Il secondo step riguarderà la testa dei calciatori. «Devo togliergli l'ansia. Contro il Padova ho visto una squadra zavorrata dalla tensione, dopo 10' avevo già capito che il Toro non ce l'avrebbe fatta. Occorrono robuste iniezioni di consapevolezza. È il mio lavoro: di ciascuno dovrò trovare la chiave di accesso. I miei ragazzi si devono divertire giocando. Chi vorrei tenere? Ogbonna. Se resta sarei felice».

Il terzo punto della rivoluzione granata è tecnico-tattico. Con Ventura sarà un Toro votato all'attacco. «La mia filosofia di calcio è la grande organizzazione di gioco che passa dal costante possesso palla. Certo, facendo così costringi i giocatori a pensare quale sia la soluzione migliore, terremo o acquisteremo solo chi capirà questo concetto. Non voglio prendere gente che “si sente”, ma chi attraverso il lavoro “vuole diventare”. La differenza è grande. Comincerò con il 4-2-4, modulo che ho adottato a Verona 4 anni fa: poi se non paga, si cambia. Conte, che secondo me farà molto bene con la Juve e mi ricorda il primo Lippi in bianconero, ha detto di ispirarsi all'80 per cento a me. Ma anche Villas Boas, il portoghese considerato l'erede di Mourinho, mi copia. E il Barcellona di Guardiola gioca con il portiere, proprio come il sottoscritto: anche se Massimo Mauro ha detto che in Italia non c'è nessuno che pratica questo tipo di gioco». Il quarto passaggio del Ventura-pensiero è rivolto (anche) ai tifosi granata. «Basta porte chiuse tranne che nelle sedute tecnico-tattiche. E il Torino tornerà a giocare l'amichevole di metà settimana fuori porta, in mezzo alla sua gente».

 
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