Berto Barbarani tra Manzoni, Verga e Pascoli? Se, alle elementari, spesso le maestre leggono ai bambini la «Santa Lussia» del poeta veronese, i versi di Berto fanno capolino anche nei programmi di quinta delle superiori: alcuni insegnanti di lettere e di storia, non mancano di leggere in modo particolare la drammatica poesia sull’emigrazione: «I va in Merica», che racconta meglio di qualsiasi trattato i drammi dei nostri bisnonni che hanno cercato lavoro oltre Atlantico. E, se alle elementari, la conoscenza della letteratura in dialetto è stata fondata da Dino Coltro, che ha speso una vita per dare dignità culturale alle nostre tradizioni, come maestro prima e direttore didattico poi, non dimentichiamo anche la bellissima esperienza didattica di Silveria Gonzato, alle scuole medie di San Martino che ha proposto trasposizioni e parodie in dialetto delle maggiori opere letterarie italiane, da «La Comedia del Domìla», a «Quel mato de’ Orlando», ai «Promessi spaisi», all’Eneliade, dai cui titoli è facile capire che si ricordano i poemi di Dante, Ariosto, Virgilio e al romanzo di Manzoni. Ma, a Treviso, si sta facendo molto di più: si studia il dialetto in classe. Sarebbe possibile farlo anche da noi? «Certamente», spiega il dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale, il dottor Giovanni Pontara. «Ogni corso di studi prevede che il 20 per cento delle ore che costituiscono i curricola (cioè i programmi in rapporto all’orario, ndr) possa essere diverso dalle materie istituzionali: questa quota è a disposizione degli istituti per la progettazione di attività varie. Di solito, questo 20 per cento viene impiegato per l’inserimento di una nuova lingua straniera, oppure dell’informatica o di altre discipline. Dunque, nulla vieta di introdurre in questo modo lo studio del dialetto locale. Ovviamente, queste materie diverse dai programmi istituzionali devono entrare nel Pof, il Piano dell’Offerta formativa delle scuole, che viene approvato dal Collegio dei docenti. Dunque, una scuola di qualsiasi ordine e grado può decidere autonomamente di introdurre lo studio del dialetto. Ovviamente, questo 20 per cento deve essere distribuito su tutto il monte ore, non su una singola materia: quindi deve essere una decisione collegiale». Se qualche docente di lettere vuole inserire qualche modulo in dialetto nel suo programma, conclude Pontara, «lo può fare senza nessun problema, in nome dell’autonomia del proprio insegnamento».
Dialetto a scuola? l’autonomia lo permette
Berto Barbarani tra Manzoni, Verga e Pascoli? Se, alle elementari, spesso le maestre leggono ai bambini la «Santa Lussia» del poeta veronese, i versi di Berto fanno capolino anche nei programmi di quinta delle superiori: alcuni insegnanti di lettere e di storia, non mancano di leggere in modo particolare la drammatica poesia sull’emigrazione: «I va in Merica», che racconta meglio di qualsiasi trattato i drammi dei nostri bisnonni che hanno cercato lavoro oltre Atlantico. E, se alle elementari, la conoscenza della letteratura in dialetto è stata fondata da Dino Coltro, che ha speso una vita per dare dignità culturale alle nostre tradizioni, come maestro prima e direttore didattico poi, non dimentichiamo anche la bellissima esperienza didattica di Silveria Gonzato, alle scuole medie di San Martino che ha proposto trasposizioni e parodie in dialetto delle maggiori opere letterarie italiane, da «La Comedia del Domìla», a «Quel mato de’ Orlando», ai «Promessi spaisi», all’Eneliade, dai cui titoli è facile capire che si ricordano i poemi di Dante, Ariosto, Virgilio e al romanzo di Manzoni. Ma, a Treviso, si sta facendo molto di più: si studia il dialetto in classe. Sarebbe possibile farlo anche da noi? «Certamente», spiega il dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale, il dottor Giovanni Pontara. «Ogni corso di studi prevede che il 20 per cento delle ore che costituiscono i curricola (cioè i programmi in rapporto all’orario, ndr) possa essere diverso dalle materie istituzionali: questa quota è a disposizione degli istituti per la progettazione di attività varie. Di solito, questo 20 per cento viene impiegato per l’inserimento di una nuova lingua straniera, oppure dell’informatica o di altre discipline. Dunque, nulla vieta di introdurre in questo modo lo studio del dialetto locale. Ovviamente, queste materie diverse dai programmi istituzionali devono entrare nel Pof, il Piano dell’Offerta formativa delle scuole, che viene approvato dal Collegio dei docenti. Dunque, una scuola di qualsiasi ordine e grado può decidere autonomamente di introdurre lo studio del dialetto. Ovviamente, questo 20 per cento deve essere distribuito su tutto il monte ore, non su una singola materia: quindi deve essere una decisione collegiale». Se qualche docente di lettere vuole inserire qualche modulo in dialetto nel suo programma, conclude Pontara, «lo può fare senza nessun problema, in nome dell’autonomia del proprio insegnamento».