Bragantini: «Più di sette persone su dieci lo parlano in famiglia, ma anche sul lavoro» Finalmente una buona notizia: la lingua veneta arriva nelle scuole e potrà essere inserita nell’offerta formativa. «Il veneto non è più un dialetto da quando il Consiglio regionale, a larga maggioranza, ha approvato la legge che tutela e valorizza la parlata dell’ex Serenissima e in questi giorni anche il Parlamento europeo adotterà lo stesso provvedimento». Lo rivela Matteo Bragantini, assessore provinciale veronese alla Cultura e segretario provinciale della Lega Nord. Il suo commento segue la decisione della Provincia di Treviso di istituire in alcune scuole private corsi per imparare quello che comunemente è definito “il nostro dialetto”. «In Regione tutti i partiti sono stati d’accordo, con la sola eccezione di Rifondazione comunista, anche sull’istituzione di una festa ad hoc per il popolo veneto», chiarisce l’assessore leghista. «D’altro canto, non si è fatto altro che legittimare la realtà. Tutti i giorni, più di sette persone su dieci parlano in veneto, soprattutto in ambito familiare e nel tempo libero, ma molti utilizzano la lingua dei nonni anche sul lavoro». Secondo un’indagine realizzata da Demos, in effetti, ben il 78% degli intervistati, nel settembre 1998, affermava di utilizzare «molto» o «abbastanza spesso» il dialetto della propria zona. Recentemente sono stati attivati corsi di lingua veneta a Padova e a Venezia; ma, a Treviso, si sta facendo molto di più: si studia “il dialetto”, o meglio la lingua veneta, anche in classe. Secondo il dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Verona dottor Giovanni Pontara, l’iniziativa potrebbe essere estesa anche nelle altre città venete, inserendo la materia all’interno dell’offerta formativa. Infatti, ogni corso di studi prevede che il 20 per cento delle ore che costituiscono i curricula (cioè i programmi in rapporto all’orario) possa essere diverso dalle materie istituzionali: questa quota è a disposizione degli istituti per la progettazione di attività varie. Di solito, questo 20 per cento viene impiegato per l’inserimento di una nuova lingua straniera, oppure dell’informatica o di altre discipline. Dunque, nulla vieta di introdurre in questo modo lo studio del dialetto o lingua locale. Ovviamente, queste materie diverse dai programmi istituzionali devono entrare nel Pof, il Piano dell’Offerta formativa delle scuole, che viene approvato dal Collegio dei docenti. Dunque, una scuola di qualsiasi ordine e grado può decidere autonomamente di introdurre lo studio della lingua veneta, «lo può fare senza nessun problema, in nome dell’autonomia del proprio insegnamento». «Mi piacerebbe che succedesse molto presto anche a Verona - ha concluso Bragantini - Nel frattempo, proprio in questa direzione, la Provincia ha promosso convegni sulla lingua veneta, l’insegnamento del cimbro ai giovani, rassegne teatrali e ogni tipo di attività per sensibilizzare sulla conservazione della nostra importante radice linguistico-culturale». La Padania 19\01\08
Verona vuole il veneto a scuola
Bragantini: «Più di sette persone su dieci lo parlano in famiglia, ma anche sul lavoro» Finalmente una buona notizia: la lingua veneta arriva nelle scuole e potrà essere inserita nell’offerta formativa. «Il veneto non è più un dialetto da quando il Consiglio regionale, a larga maggioranza, ha approvato la legge che tutela e valorizza la parlata dell’ex Serenissima e in questi giorni anche il Parlamento europeo adotterà lo stesso provvedimento». Lo rivela Matteo Bragantini, assessore provinciale veronese alla Cultura e segretario provinciale della Lega Nord. Il suo commento segue la decisione della Provincia di Treviso di istituire in alcune scuole private corsi per imparare quello che comunemente è definito “il nostro dialetto”. «In Regione tutti i partiti sono stati d’accordo, con la sola eccezione di Rifondazione comunista, anche sull’istituzione di una festa ad hoc per il popolo veneto», chiarisce l’assessore leghista. «D’altro canto, non si è fatto altro che legittimare la realtà. Tutti i giorni, più di sette persone su dieci parlano in veneto, soprattutto in ambito familiare e nel tempo libero, ma molti utilizzano la lingua dei nonni anche sul lavoro». Secondo un’indagine realizzata da Demos, in effetti, ben il 78% degli intervistati, nel settembre 1998, affermava di utilizzare «molto» o «abbastanza spesso» il dialetto della propria zona. Recentemente sono stati attivati corsi di lingua veneta a Padova e a Venezia; ma, a Treviso, si sta facendo molto di più: si studia “il dialetto”, o meglio la lingua veneta, anche in classe. Secondo il dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Verona dottor Giovanni Pontara, l’iniziativa potrebbe essere estesa anche nelle altre città venete, inserendo la materia all’interno dell’offerta formativa. Infatti, ogni corso di studi prevede che il 20 per cento delle ore che costituiscono i curricula (cioè i programmi in rapporto all’orario) possa essere diverso dalle materie istituzionali: questa quota è a disposizione degli istituti per la progettazione di attività varie. Di solito, questo 20 per cento viene impiegato per l’inserimento di una nuova lingua straniera, oppure dell’informatica o di altre discipline. Dunque, nulla vieta di introdurre in questo modo lo studio del dialetto o lingua locale. Ovviamente, queste materie diverse dai programmi istituzionali devono entrare nel Pof, il Piano dell’Offerta formativa delle scuole, che viene approvato dal Collegio dei docenti. Dunque, una scuola di qualsiasi ordine e grado può decidere autonomamente di introdurre lo studio della lingua veneta, «lo può fare senza nessun problema, in nome dell’autonomia del proprio insegnamento». «Mi piacerebbe che succedesse molto presto anche a Verona - ha concluso Bragantini - Nel frattempo, proprio in questa direzione, la Provincia ha promosso convegni sulla lingua veneta, l’insegnamento del cimbro ai giovani, rassegne teatrali e ogni tipo di attività per sensibilizzare sulla conservazione della nostra importante radice linguistico-culturale». La Padania 19\01\08