FIDELIS

Post N° 25


Un posto al sole La politica estera del duce non poteva essere per la natura stessa del suo regime la continuazione di quella del precedente regime liberale. Voleva piuttosto proiettare un'immagine di potenza e di intimidazione anche se questo poteva alienare simpatie e costare posizioni preziose nel concerto internazionale. L'assassinio del generale Tellini alla frontiera greco-albanese (1923) offre a Mussolini l'opportunità di sfoggiare una riedizione della politica delle cannoniere con uno spettacolare bombardamento terroristico sull'isola greca di Corfù.
La reazione britannica a questa sfida alla Società delle Nazioni è negativa, ma Mussolini non se ne cura eccessivamente e continua a giocare su un doppio registro: si propone come ago della bilancia e mediatore fra le potenze europee e al tempo stesso mina gli equilibri del 1919 per garantire una nuova espansione imperialistica italiana. Al primo filone di comportamenti appartengono: il patto di Locarno (1925) per stabilizzare gli assetti tra Francia, Belgio e Germania; il patto Kellog (1928) per la rinuncia alla guerra; il patto a quattro (1933) per un direttorio fra Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna che favorisca il disarmo e la collaborazione con la Società delle Nazioni; il trattato di non aggressione con l'Unione Sovietica (1933); il convegno di Stresa (1935) con la Francia e la Gran Bretagna per garantire l'integrità dell'Austria e per opporsi all'ormai evidente riarmo tedesco. La linea destabilizzatrice si concretizza in una serie di altri eventi: il finanziamento delle organizzazioni fasciste a livello mondiale; il patto di Roma (1924) con la Jugoslavia per una revisione dei confini senza la partecipazione della Società delle Nazioni; accordi commerciali con potenze revisioniste come la Germania e l'URSS; ripetute dichiarazioni secondo le quali l'Italia ha il compito storico di esportare il fascismo nel mondo e di tornare a svolgere un ruolo centrale nella civiltà umana come in passato. In questo secondo filone si inseriscono le nuove mire imperialiste nel Corno d'Africa. Inizialmente la politica italiana verso l'Etiopia era stata di continuazione di un benevolo protettorato, confermato dal ruolo attivo svolto per agevolare l'ingresso di Addis Abeba nella Società delle Nazioni e da un patto di amicizia che era stato stipulato nel 1928.
Hailé Selassié non nasconde la propria diffidenza nei confronti del governo di Roma. Nutre il sospetto che l'aiuto di tecnici italiani preluda alla penetrazione economica. Per sventare la minaccia chiama tecnici da altre nazioni e ostacola, per quanto possibile, gli appalti alle ditte italiane per la costruzione di strade, rallentando anche i rapporti commerciali con l'Italia. Nel giro di pochi anni l'atmosfera si avvelena: secondo la testimonianza di De Bono, Mussolini inizia a meditare l'invasione dell'Etiopia fin dal 1932. Il regime fascista sente sul collo il fiato di una depressione economica che gli aliena i consensi interni, già resi tiepidi dall'aumento della corruzione e dell'inefficienza nei rami della pubblica amministrazione. Affiorano così i discorsi sulla necessità di trovare uno sbocco demografico all'Italia sovrappopolata, di avere diritto in quanto razza guerriera e virile ad un impero, di conquistare un posto al sole. Non importa come, non conti a qual prezzo, un successo brillante e inequivocabile appare ormai urgente, anche per lavare l'onta (mai dimenticata) di Adua. PRODROMI DELL'ATTACCO. Quel che occorre è il casus belli. La zona dei pozzi di Ual-Ual era stata fortificata dagli italiani per proteggere dalle frequenti incursioni predonesche il confine somalo-etiopico e per controllare una ventina di pozzi, risorsa essenziale per le popolazioni nomadi dell'Ogaden, a cavallo tra i due territori. Il possesso della zona, però, non é pacificamente riconosciuto dall'Etiopia e, per la vicinanza al confine con il Somaliland britannico, anche l'Inghilterra era interessata alla questione. Il 24 novembre 1934 una commissione mista anglo-etiopica si avvicina ai pozzi, accompagnata dalla minacciosa presenza di centinaia di abissini armati di tutto punto.
Al momento nel fortino si trovano due sottufficiali indigeni e una sessantina di dubat, i quali sollecitano istruzioni al telefono senza cedere la posizione. La tensione sale rapidamente. Arriva il comandante delle bande armate confinarie, capitano Roberto Cimmaruta, il quale si rende immediatamente conto che è meglio fare affluire altre forze sostenute da autoblindo e mettere in allarme l'Aeronautica. Infatti gli abissini pretendono l'abbandono della postazione. A nulla valgono i tentativi di negoziare sul campo una qualche soluzione insieme agli osservatori britannici:: la tensione sale ulteriormente quando i pozzi sono sorvolati dagli aerei italiani. Gli inglesi esprimono una vibrata protesta e se ne vanno. Restano, invece, le bande abissine, guidate da un audace fuoriuscito somalo, Omar Samantar, noto per le sue azioni di guerriglia antiitaliana. Il 5 dicembre si verificano le prime scaramucce. La risposta italiana, nel pomeriggio e nella mattina del giorno successivo, è devastante. L'aviazione interviene mitragliando e spezzonando i concentramenti abissini. Gli spezzoni al fosforo decidono la partita: 300 morti fra gli abissini, 21 dubat morti ed un centinaio di feriti fra gli italiani. Nel gennaio 1935 Mussolini ottiene dal capo del governo francese, Pierre Laval, un generico assenso alle sue mire sull'Etiopia. Anche il ministro degli Esteri inglese, Anthony Eden, mostra di illudersi che con qualche concessione territoriale a spese dell'Etiopia, l'unica nazione indipendente dell'Africa (membro della Società delle Nazioni), un'intesa antitedesca possa essere imbastita.
ALLA CONQUISTA DELL'IMPERO. La macchina bellica fascista si è comunque messa in moto. Il 24 dicembre 1934 il generale Emilio De Bono, quadrumviro alla marcia su Roma, parte per l'Eritrea come alto commissari . o per l'Africa Orientale. Tre giorni dopo scattano le opposte mobilitazioni parziali italiana in Somalia ed Eritrea ed etiopica nell'Ogaden. Una settimana dopo Mussolini dirama in segreto «Direttive e piano d'azione per risolvere la questione italo-abissina». Due mesi dopo vengono mobilitate le divisioni Peloritana e Gavarina, mentre a Massima affluiscono mezzi ed armi pesanti. Il premier inglese Eden propone prima la cessione di parte dell'Ogaden abissino in cambio di un corridoio al mare per l'Etiopia. Roma rifiuta. La conferenza di Stresa appare agli occhi di Mussolini come il giusto baratto: l'Etiopia contro l'appoggio a danno della Germania. Il duce, nella sua smania di conquista, non si rende conto che la partita vera si gioca in Europa e che dalla tenuta del patto contro la Germania dipende l'indipendenza dell'Austria, e quindi la sicurezza nazionale. Spera di essere comunque in grado di tutelare il fronte al Brennero mentre è impegnato in Africa. Capisce invece benissimo che l'azione della Francia e dell'Inghilterra, lungi dall'impedire efficacemente la sua aggressione, gli permetterà di rinsaldare il vacillante fronte interno. Londra mostra i muscoli concentrando la Mediterranean Fleet, ma le informazioni a disposizione di Mussolini, grazie alle indiscrezioni di membri del governo britannico ostili a Eden, chiariscono che si tratta di un bluff.
Un altro scontro di frontiera rappresenta l'occasione per esaltare il valore dell'Arma, che di lì a poco impegnerà 12.000 dei suoi uomini. Nella notte dal 2 al 3 marzo 1932 il brigadiere Gennaro Ventura è di perlustrazione a cavallo insieme ad un buluk basci degli zaptié (in arabo poliziotto) nei pressi di Om-Hagher alla frontiera con l'Etiopia. Un consistente gruppo di abissini tende un'imboscata ferendo lo zaptié, ma Ventura si ripara dietro un termitaio resiste da solo, costringendo gli abissini alla ritirata dopo aver lasciato sul campo un morto e due feriti. Una medaglia d'argento premia il coraggio del brigadiere. Una ventina di giorni più tardi viene richiamata tutta la classe del 1911 e De Bono riceve il comando di tutte le forze dell'Africa Orientale. Successivamente viene costituito un comando superiore dei Carabinieri Reali presso il comando superiore per l'Africa Orientale con quattro sezioni da montagna (un ufficiale, otto sottufficiali e 70 uomini), una a cavallo (un ufficiale, sei sottufficiali e 33 militi) e un nucleo incarico dell'ufficio postale. Una sezione di zaptié viene assegnata al comando del corpo d'armata eritreo. La mobilitazione dell'Arma avviene secondo un piano riservato, con l'anodina denominazione di Progetto AO (Africa Orientale). I comandi di corpo d'armata e di divisione ricevono in media due sezioni di carabinieri da montagna, una a cavallo e un nucleo postale. Apposite sezioni vengono dedicate alle unità di lavoratori che hanno il compito di sostenere l'immane sforzo logistico in una terra assai accidentata. In Somalia, infine, vengono costituite due bande di carabinieri autocarrati forti di 1.062 uomini in gran parte indigeni, inquadrati da 23 ufficiali e 42 sottufficiali.