FIDELIS

Post N° 36


Il separatismo siciliano
In quei giorni carichi di tensione Brunetti dormiva ogni notte per poche ore soltanto su una branda al Viminale. Le votazioni si svolsero senza incidenti il 2 giugno 1946: la Repubblica ottenne 12 milioni 717.923 voti contro i 10 milioni 719.284 voti raccolti dalla Monarchia. Umberto non sostenne la successiva campagna dei suoi sostenitori che accusarono il Ministero dell'Interno di brogli e lasciò l'Italia il 13 giugno per raggiungere il suo esilio a Cascais, in Portogallo. Quindici giorni dopo il liberale napoletano Enrico De Nicola fu eletto capo provvisorio della Repubblica. Al suo fianco i Corazzieri che, sciolti dal giuramento di fedeltà personale al "re di maggio", diventarono le guardie dei Presidente. Nelle elezioni per la Costituente, le prime elezioni libere dall'ottobre 1922, la Democrazia Cristiana ottenne il 35,2 per cento dei voti; il 20,7 per cento andò ai socialisti e il 19 per cento al PCI. E interessante notare che un buon milione di voti e ben trenta deputati andarono al Fronte dell'Uomo Qualunque, capeggiato dal drammaturgo Guglielmo Giannini, un movimento di protesta particolarmente forte nel meridione, dove l'odio per il governo di Roma era alimentato dalle condizioni di arretratezza. La mafia rurale stava allora rialzando la testa e stava stringendo nuovi legami con quella italo?americana impiantata negli Stati Uniti. Fu in quel contesto che si sviluppò la disgraziata idea del separatismo siciliano, funesta come tutti i tentativi di spaccare la coesione nazionale. I Carabinieri furono in prima linea nella lotta contro il separatismo. Il 22 luglio 1943, un giorno prima della liberazione, il Giornale di Sicilia titolò in prima pagina: "La Sicilia che non ha mai tradito riconsacra il suo diritto alla libertà e all'indipendenza", lanciando il primo messaggio separatista. Cinque giorni dopo un neocostituito CIS (Comitato per l'Indipendenza della Sicilia) chiese agli alleati la creazione di un governo provvisorio nell'isola. Nella prima settimana di agosto fu dato alle stampe il numero 1 del foglio indipendentista Sicilia liberata. Trascorse un anno prima che le autorità decidessero la soppressione del foglio.
PER DUE SACCHI DI GRANO. Il 2 settembre 1943 un giovanotto proveniente da San Giuseppe Jato e diretto a sud della natia Montelepre stava trasportando un paio di sacchi di grano. Non era un semplice contadino, ma uno dei tanti corrieri del mercato nero del grano che prosperava sotto l'occhio vigile della mafia e grazie alla compiacenza di troppe autorità. Giunto alla località Quattro Molini fu bloccato da due carabinieri e due guardie campestri. Gli andò male: venne fermato e il carico gli fu confiscato. Ma a quel punto sopraggiunse un altro contrabbandiere e tre dei tutori dell'ordine si mossero per bloccarlo. Uno soltanto era rimasto a sorvegliare il giovanotto che, con una ginocchiata si sbarazzò dello scomodo custode, tentando di nascondersi in un boschetto inseguito dagli altri tutori dell'ordine. Rispose al fuoco uccidendo l'inseguitore più vicino. Il carabiniere Antonio Mancino fu la prima vittima del bandito Salvatore Giuliano. L'Arma si mobilitò per catturare Giuliano: il 25 dicembre 1943 fu organizzata una gigantesca retata nei dintorni di Montelepre. Un centinaio di compaesani di Giuliano (inclusi il padre, lo zio e un cugino), sospettati di complicità, vennero arrestati. Giuliano venne alla fine scovato, ma riuscì a sfuggire alla cattura uccidendo un milite e ferendone un altro. Ebbe così inizio una latitanza tristemente leggendaria che si protrasse fino al 1950 e che presto si intrecciò con la causa del separatismo siciliano. li 4 ottobre 1943 un autorevole esponente indipendentista, Finocchiaro Aprile, aveva chiesto esplicitamente l'abdicazione di Vittorio Emanuele III e la creazione di una repubblica in Sicilia. Il 9 dicembre vi era stata la pubblica adesione di 11 deputati ex siciliani al CIS, sottolineata da una petizione agli alleati perché evitassero alla Sicilia di tornare sotto il governo Badoglio. Con il passaggio dei poteri dall'AMGOT all'amministrazione italiana l'agitazione politica per la secessione dall'Italia si intensificò e nell'aprile 1944 il CIS si trasformò nel MIS (Movimento per l'Indipendenza della Sicilia), che impresse un maggior dinamismo alla lotta. Fu nel MIS che emerse la figura carismatica di Antonio Canepa. Iscritto nel 1932 al partito fascista, aveva partecipato a un colpo di mano per l'annessione di San Marino all'Italia (1933). Sorpreso in un albergo della piccola repubblica, mentre era in procinto di organizzare con il fratello una "marcia su San Marino" alla vigilia dell'operazione, riuscì a sfuggire alla custodia della locale gendarmeria e a scampare alla condanna a morte. Nove anni più tardi scrisse, con lo pseudonimo di Mario Turri, un libello intitolato: "La Sicilia ai siciliani! ? Documenti per la storia della lotta antifascista in Sicilia".
L'ILLEGALITÀ ARMATA. Nell'isola la situazione diveniva di giorno in giorno più incandescente: i proprietari terrieri conservatori non solo giocavano la carta del MIS, ma mantenevano e sviluppavano i legami mafiosi, anche per difendersi dai partiti che sostenevano le rivendicazioni contadine. Le leggi di riforma agraria varate dal ministro Cullo furono viste come il fumo negli occhi dai latifondisti, molti dei quali non esitarono ad affidarsi alla mafia per difendere i loro privilegi. Nell'ottobre 1944 il primo congresso del MIS a Taormina non solo riaffermò i suoi orientamenti repubblicani e separatisti, ma segretamente si preparò per la lotta armata. Il 14 dicembre gli universitari di Catania, guidati da Canepa, incaricato di storia delle dottrine politiche nell'ateneo, organizzarono una dimostrazione contro la leva. Il municipio, il distretto militare, il tribunale, l'intendenza di finanza e l'esattoria furono dati alle fiamme. Canepa si incaricò di scegliere gli studenti che avrebbero costituito il primo nucleo dell'EVIS (Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia) e di stampare i primi manifesti a sostegno della causa. Il più conosciuto fra tali manifesti fu quello che raffigurava il bandito Giuliano nell'atto di tagliare le catene che univano la Trinacria al continente, agganciando l'isola alla terra promessa degli USA. Il testo non lasciava spazio a compromessi: "A morte i sbirri succhiatori del popolo siciliano e perché sono i principali radici fascisti, viva il separatismo della libertà, Giuliano". Si compiva in tal modo la prima significativa saldatura tra criminalità comune e terrorismo nella storia della Repubblica. Non sarà l'ultima. SCACCO ALL'EVIS. In quei mesi, quando aveva già acquisito una fama che aveva varcato i confini siciliani e quelli italiani con una lunga serie di delitti, Giuliano fu avvicinato dai capi separatisti.
Il primo incontro ebbe luogo nella fattoria dei fratelli Genovese, a passo Rigano. La proposta operativa di trasferirsi nella zona di Catania, epicentro dell'EVIS, suscitò la sua diffidenza. "Supra i lastruni sciggrigu" (sul lastricato scivolo), rispose il bandito che preferiva operare nella copertura offerta dal terreno intorno a Montelepre, Giuliano, tuttavia, non rifiutò di prestare la propria immagine all'EVIS. Ai primi del gennaio 1945 i gravissimi incidenti a Ragusa fomentati dall'EVIS in seguito all'arresto di nove renitenti, crearono seri problemi ai Carabinieri per il ristabilimento dell'ordine. Le unità dell'Arma nella provincia di Catania furono poste in stato di allerta in seguito a ripetute segnalazioni riguardanti la presenza di bande armate e agguerritissime. Il 22 giugno 1945 tre carabinieri furono destinati a un posto di blocco sulla statale 120: il maresciallo Rizzato, il vicebrigadiere Rosario Cicciò e il carabiniere Carmelo Calabrese. Alle 8,17 di mattina intimarono l'alt a un motofurgone che, dopo aver finto di rallentare, accelerò l'andatura. Un colpo di moschetto in aria indusse il conducente a rallentare dopo un'altra quarantina di metri. I carabinieri si avvicinarono al mezzo: Cicciò sul lato del conducente, Rizzato sull'altro lato e Calabrese sul retro della vettura. Si accorsero che dentro al cassone si nascondevano cinque persone con la tuta mimetica, un fazzoletto giallorosso al collo ed uno scudetto metallico sul petto con la scritta 'Sicilia": la divisa dell'EVIS. Lo scontro a fuoco fu inevitabile. Calabrese e Rizzato furono feriti. Cicciò riusci a colpire a una coscia uno del camion, che aveva in tasca una bomba a mano. L'esplosione fu devastante. Nel camion rimasero agonizzanti Canepa, che si nascondeva dietro le false generalità di Ermanno Presti, e il suo aiutante Carmelo Rosario. "A bordo stavano armi, ordigni, munizioni e valori: due moschetti mitra Breda, due pistole mitragliatrici tedesche, una carabina automatica americana, due moschetti mod. 91, tre pistole automatiche, 24 bombe a mano Breda, due bombe a mano Sipe, sei bombe a mano tedesche, 345 cartucce varie ed altro materiale di equipaggiamento, nonché la somma di L. 305.000", si legge nel rapporto steso immediatamente dopo.
Lo scontro permise non soltanto di eliminare una figura di spicco dell'EVIS, ma soprattutto di avviare una seria azione investigativa su questo esercito clandestino. I reclutandi erano inizialmente istradati verso le masserie dei latifondisti aderenti al movimento e di lì al quartier generale segreto dell'EVIS. A questo punto i ragazzi sottoscrivevano un giuramento firmandolo con il nome di battaglia, mentre la loro vera identità era conosciuta solo da Canepa. Da quel momento cominciavano gli addestramenti militari in appositi campi. Gli investigatori ricostruirono pazientemente la rete dei fiancheggiatori per stringere la morsa intorno all'organizzazione. Questo lavorio permise alle forze dell'ordine di contrastare la seconda fase offensiva dell'EVIS, guidata da Concetto Gallo, designato dal MIS a succedere a Canepa. Nel suo primo appello ai membri della guerriglia annunciò: "Fratelli, tenetevi pronti per il gran giorno. Indipendenza o morte!". Ma il 29 dicembre 1944 i Carabinieri accerchiarono uno dei suoi campi paramilitari, nella piana di Niscemi. Per l'EVIS fu un disastro, segnato anche dalla morte di uno studente palermitano e dell'appuntato Giovanni Cappello. All'esercito clandestino non restò altro da fare che stringere ancora i propri legami con il banditismo e la mafia locali.