FIDELIS

Post N° 39


Ma anche in Sardegna i briganti uccidono Se in Sicilia i riflettori erano puntati sul duello tra Giuliano e l'Arma, in Sardegna i mitra crepitavano e le bombe a mano esplodevano senza eccessivo clamore. Orgosolo, in quegli anni, era il crocevia di un brigantaggio che risorgeva dalla miseria del dopoguerra e da una cultura in cui lo Stato era pressoché assente. Anche nel nuorese si assisteva a una graduale evoluzione della criminalità: si passava dal vecchio brigante che vendica i torti subiti dalla propria famiglia al bandito che vive di rapine ed estorsioni. L'humus che favoriva la diffusione della criminalità era rappresentato dal terrore della gente comune e dalla sfiducia quasi atavica nelle istituzioni. I Carabinieri inizialmente erano isolati: nei paesi era per loro difficile trovare collaborazione nella popolazione impaurita; i pochi confidenti venivano troppo spesso trovati ammazzati. E' sempre un compito ingrato quello di proteggere una popolazione che non collabora, subendo l'iniziativa dei criminali. Nell'agosto 1949 una vettura con le paghe per le maestranze della diga del Tirso venne assaltata. La scorta fu massacrata: tre morti e un ferito gravissimo. La stessa sorte subì un'altra scorta a Sa Ferula a pochi chilometri da Nuoro. L'Arma organizzò con metodo la reazione. Nel maggio 1950 fu catturato il bandito Liandreddu, un nome famigerato e temuto. A luglio fu la volta di suo zio, Giovan Battista Liandru, evaso sei anni prima dalla colonia penale di Mamone dove era rinchiuso dopo aver collezionato 11 mandati di cattura (quattro omicidi oltre a tentati omicidi, estorsioni, sequestri, rapine). Le porte del carcere si aprirono anche per numerosi complici della sua banda. Uno di essi, Giuseppe Dettori, arrendendosi, esclamò: «Voi siete come i cani da caccia, che non rinunciano mai». La tenacia di uomini sorretti unicamente dallo spirito di corpo e dalla fede nella legge permise di arrestare nell'aprile 1951 il più pericoloso latitante sardo, Francesco Sini, sul cui capo era stata messa invano la favolosa taglia di due milioni di lire. La rappresaglia dei banditi fu molto dura. L'8 maggio 1951 a Giana di Perda (porta di pietra), nei pressi di Tortoli, una campagnola passò sotto il tiro incrociato dei criminali in un canalone: due carabinieri persero la vita e uno fu gravemente ferito. Ma anche questa volta i responsabili furono catturati. La situazione nell'isola rimase tesa per molti anni. Ancora nel settembre del 1959 in uno scontro vennero lanciate bombe a mano. Il maresciallo Ettore D'Amore, comandante della stazione CC di Orgosolo, fu decorato di medaglia d'oro alla memoria per aver lanciato una granata che aveva allertato i colleghi. Approfondimento: In Somalia, come oggi Pochi telespettatori fra quanti hanno visto i baschi rossi con la fiamma d'argento pattugliare sui gipponi le misere strade di una Mogadiscio sconvolta dalla guerra civile si saranno ricordati che si trattava di un ritorno dopo una pausa di quarant'anni. Con la fine della guerra l'Italia aveva perso i suoi possedimenti, ma una risoluzione dell'ONU aveva affidato in amministrazione fiduciaria decennale la Somalia alla potenza sconfitta. Lo scopo era di favorire un'ordinata transizione verso l'indipendenza di un territorio tutt'altro che pacifico e che nel 1948 aveva visto l'eccidio di molti italiani residenti a Mogadiscio. Agli inizi del 1950 si costituì il gruppo territoriale della Somalia, ancora una volta (come da tradizione) con forze della legione di Napoli. Nel febbraio il gruppo (costituito da 25 ufficiali, 154 sottufficiali e 341 uomini) si imbarcò al comando del tenente colonnello Raoul Brunero. La sede del comando era a Mogadiscio, insieme al comando della compagnia del Benadir e del basso Giuba. Da questa compagnia dipendevano le tenenze di Mogadiscio, Merca e Chisimajo, mentre il resto del territorio somalo era affidato alle tre restanti compagnie. Come è accaduto con l'attuale nostra missione umanitaria (operazione Ibis), ai Carabinieri era anche affidato il compito di addestrare e costituire una polizia somala, avvalendosi di una compagnia Carabinieri somali, formata da 140 vecchi e fedeli zaptié. Non mancarono, purtroppo, le vittime: in un tumulto a Chisimajo il 1° agosto 1952, un maresciallo, un carabiniere e un ispettore della polizia somala furono trucidati dalla folla. La missione dei CC si concluse con una solenne cerimonia nel corso della quale il comandante del gruppo, tenente colonnello Arnera, passò le consegne al tenente colonnello Mohamed Abscir Mussa, comandante della polizia locale.