FIDELIS

Post N° 43


Un paese di frontiera La presenza di un forte partito comunista (il più forte di tutto l'Occidente) ha posto l'Italia al centro di forti tensioni negli anni Sessanta e Settanta condizionandone in modo profondo l'intera vita politica L'Italia a prima vista sembra un Paese fortunato. E' circondata da una fascia di Paesi alleati o neutrali dalla Francia, alla Svizzera, all'Austria, alla Jugoslavia, all'Albania ed alla Grecia. Il suo esercito non corre il rischio di un bruciante blitz aerocorazzato alle sue frontiere ed il settore terrestre da difendere è in gran parte montuoso.
Si trova, tuttavia, in una posizione aeronavale che costituisce la chiave di volta per il controllo del Mediterraneo. Senza di essa l'aiuto agli alleati greci e turchi diventa impossibile. Con il controllo della penisola è invece possibile imbottigliare la V Eskadra sovietica ed i suoi sottomarini in due bacini più piccoli e annientarla metodicamente. L'Italia è un prezioso elemento di sorveglianza e controllo verso le inquiete aree del Nord Africa e del Medio Oriente. Il suo problema più grande agli occhi degli strateghi americani e dei loro colleghi nella NATO è rappresentato dalla presenza di un partito comunista che è il più grande in tutta l'alleanza. Un partito che di stretta misura aveva evitato tentazioni rivoluzionarie nel decennio successivo alla seconda guerra mondiale, che godeva dell'appoggio del Partito Socialista e che continuava ad esprimere un forte sostegno all'URSS. Per ragioni diverse da quelle di altri alleati, l'Italia è dunque un Paese di frontiera della Guerra Fredda e come tale al centro di tensioni fortissime. Il cosiddetto fattore K, insieme alle continue pressioni esterne che si indirizzano su di esso, costituisce uno degli elementi dell'immobilità del quadro politico italiano. Eppure gradualmente, ma senza ripensamenti, dalla fine degli anni Cinquanta, viene allargata l'area del consenso proprio verso sinistra e sarà il perno della politica interna sino a tutti gli anni '80. Uno dei primi esponenti di spicco a sostenere, nel 1958, la necessità di "aprire a sinistra", coinvolgendo i socialisti nell'area di governo, è il presidente del Consiglio, Amintore Fanfani. La nuova strategia mira a creare un asse Democrazia Cristiana-Partito Socialista in modo da isolare il PCI e aprire una nuova stagione di riformismo moderato. Ci furono, ovviamente, forti contrasti in seno alle forze di governo e la situazione politica divenne molto delicata. Alla fine del 19591 il nuovo segretario della DC è il professore Aldo Moro. Uomo riservato, cortese, di solida preparazione giuridica, ha compiuto una rapida carriera politica. Deputato a trent'anni, sottosegretario agli Esteri a trentadue, capogruppo DC alla Camera a trentasette, Moro impressiona per le sue straordinarie e sottili capacità di mediazione anche inviati politici americani. GENOVA IN FIAMME. Nel 1960 il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, affida l'incarico di formare il governo al democristiano Fernando Tambroni, che ha buoni collegamenti in tutto lo spettro politico dai socialisti all'estrema destra. Tambroni riesce a formare il suo governo con l'aiuto, appunto, delle destre. Ne nascono tensioni che degenerano i gravi tumulti. Genova, città medaglia d'oro della Resistenza, viene scelta dal Movimento Sociale come sede de proprio Congresso. Il 30 giugno 1960 decine di migliaia di persone si riversano in strada. Le forze dell'ordine devono fronteggiare una vera e pro pria guerriglia urbana, che ha come epicentro piazza de Ferrari. Il 1° luglio gli scontri continuano, e si forma un comitato di liberazione partigiano e solo il controllo delle forze di polizia evita bilanci più pesanti. Tambroni. Tuttavia, commette l'errore di voler riaffermare la sua autorità dando l'autorizzazione alla polizia di sparare in situazioni di emergenza. Nella settimana seguente muoiono in diverse città italiane una dozzina di persone e più di 20 sono ferite. Uno sciopero generale segna l'epilogo di quel governo, costretto a fine luglio a dimettersi, e chiude la strada a qualunque futura alleanza con la destra. Lo spostamento verso nuovi assetti politico-sociali si verifica, come spesso in Italia, dal basso. Le amministrative del 1960 consentono i primi esperimenti di centro-sinistra in alcune città: Milano, Genova, Firenze e Venezia. Il nuovo presidente degli Stati Uniti John Kennedy (il cui insediamento alla Casa Bianca suscita grandi speranze in tutto il mondo) invia Harriman in missione esplorativa a Roma. Harriman, al contrario dei suoi più ideologizzati predecessori, si rende conto che il centrosinistra è l'unico percorso politico praticabile in Italia. Anche il consigliere particolare di JFK, lo storico Arthur SchIesinger jr., è dell'avviso che il centrosinistra serva a due scopi: dare all'Italia un governo più sensibile alle riforme in linea con l'immagine dell'amministrazione kennediana e contribuire ad emarginare i comunisti italiani dalla ribalta politica. Tuttavia la linea americana, come non di rado, è tutt'altro che univoca. Lo stesso Kennedy, pur esprimendo privatamente ai leader italiani una benevolenza verso i prevedibili sviluppi della trattativa, evita di offrire un sostegno troppo diretto alle ipotesi di centro-sinistra per mantenere il consenso interno. Anche il Vaticano, con l'elezione di papa Giovanni XXIII, cambia la sua linea politico-religiosa, in favore di un moderato ma indiscutibile progressismo. Grazie a questi cambiamenti, il capo socialista Pietro Nenni può far passare nel suo partito una linea di attenzione favorevole alla NATO e di spinta per entrare nella stanza dei bottoni. Più o meno contemporaneamente Moro, nell'VIII congresso DC, riesce a blandire gli oppositori e galvanizzare i campioni del centro-sinistra. L'80 per cento dei delegati appoggia l'impostazione ed Andreotti battezza la nuova linea con l'ecclesiale titolo I casti connubi.