FIDELIS

Post N° 49


Dimenticare Palermo
Palermo è talvolta molto di più di una città con antiche origini e prestigiosi monumenti. Per alcuni uomini è un luogo dello spirito, una metafora della vita e della morte che entra sotto la pelle. Una volta che l'hai sperimentata non la lasci più. Dimenticare Palermo: Palazzo delle Aquile, il mare, u' pani c'a meusa, la Zisa e lo Zen, villa Whitaker. Qualcuno ci ha provato, è tornato, ci è rimasto. Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva conosciuto da giovane quella terra bella e sventurata, vivendo i primi successi e le prime delusioni. Saluzzo, cittadina sabauda e piemontese sino al midollo, lo vede nascere il 27 settembre 1920. E' un figlio d'arte: papà ufficiale dei Carabinieri (Romano), fratello pure (Romolo). Il primo contatto con la vita militare è la dura guerra nel Montenegro come sottotenente nel 1941. Un anno dopo passa ai Carabinieri e viene assegnato alla tenenza di San Benedetto del Tronto dove resta fino al fatidico 8 settembre 1943. Passa nella provincia di Ascoli Piceno e un bel giorno viene affrontato da un partigiano comunista. I partigiani della zona temevano che lui fosse responsabile del blocco dei rifornimenti di armi che gli alleati di tanto in tanto riuscivano a spedire via mare. Alla domanda "Lei con chi sta, tenente, con l'Italia o la Germania?", Dalla Chiesa risponde offrendo la sua collaborazione e per un certo periodo le cose filano a meraviglia. Poi, purtroppo qualcuno fa la spia e per Dalla Chiesa è meglio cambiare aria e darsi alla macchia insieme agli altri patrioti: diventa un responsabile delle trasmissioni radio clandestine di informazioni per gli americani.
La guerra si chiude per lui con una promozione e due croci al merito di guerra, tre campagne di guerra, una medaglia di benemerenza per i volontari della Il GM, il distintivo della guerra di liberazione ed una laurea in giurisprudenza conseguita a Bari. In quella stessa università prenderà più tardi la laurea in scienze politiche. La Sicilia che lo vede arrivare giovane capitano è immersa nel regno di terrore della mafia agraria, quella di Don Calò Vizzini, di Genco Russo e di Luciano Leggio. E' una mafia che poi verrà rievocata con nostalgia quando emergeranno nuovi e ferocissimi boss, ma in realtà era solo più arcaica, non meno spietata. Cosa Nostra ha stretto un patto di ferro con i più retrivi latifondisti che temono le lotte e le rivendicazioni contadine guidate dai sindacalisti comunisti e socialisti. NEI COVI DI CORLEONE. Per Lucianeddu Leggio (più conosciuto come Liggio) il segretario della Camera del Lavoro di Corleone, Placido Rizzotto rappresenta una spina nel fianco. Parla troppo, protesta troppo, intralcia troppo. Rizzotto, un semplice bracciante, cresciuto tra le insidie di una mafia occhiuta ed oppressiva, è un tipo prudente e cauto che non manca di prendere le sue precauzioni. Leggio affida il compito ai suoi giovani cagnazzi, Binnu e Totò u' curtu. Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano e Totò Riina sono picciotti fedelissimi, aggressivi, spavaldi, che si mostrano in paese annancando con il caratteristico incedere mafioso. Sono furbi e si rendono conto che bisogna prendere Rizzotto per tradimento. Un giuda si trova. Il 10 marzo 1948 il sindacalista viene caricato su una macchina, portato in luogo sicuro, torturato e suppliziato. Il suo cadavere viene gettato in una forra.
"Dov'è Rizzotto?", questo grido scandito a pieni polmoni dal grande sindacalista Giuseppe Di Vittorio a Palermo, in piazza Politeama, fece venire i brividi. Gridava scandendo "do-v'è Ri-zzo-tto?" tante e tante volte, come se aspettasse risposta dalle migliaia di manifestanti raggelati e commossi. Lo trovano molto tempo dopo e riconoscono i resti da uno scarpone. La sua ex-fidanzata, Leoluchina, sconvolta dal dolore grida che mangerà il cuore di chi lo ha ridotto così. Chi muore giace e chi vive si da pace. Arresteranno Leggio a Corleone nel 1964. Dalla Chiesa è chiamato dal colonnello Ugo Luca nel nuovissimo CFRB (Comando Forze Repressione Banditismo), che ha la missione di farla finita con Salvatore Giuliano, il re di Montelepre. A lui viene affidato il comando del gruppo squadriglie, basato a Corleone. Qui il piemontese ha primo impatto con questo tortuoso ambiente. E' un ufficiale abile, duro, inflessibile, gran lavoratore, non meno paziente dei suoi avversari corleonesi. A dispetto dell'omertà e della paura estremamente diffuse riesce insieme ai suoi colleghi a inchiodare tutti gli assassini di Rizzotto e a spedirli sotto processo. Vittoria di Pirro. Il processo si conclude con una serie di assoluzioni per insufficienza di prove. Il giovane capitano viene opportunamente trasferito. Premio, siluramento, precauzione? Chissà. La Sicilia gli è rimasta dentro al cuore. Da ufficiale superiore è aiutante maggiore della legione e capo ufficio OAIO (Ordinamento Addestramento Informazioni Operazioni) della IV brigata di Roma e della legione di Torino. Poi regge i comandi del nucleo di polizia giudiziaria e del gruppo di Milano. A CACCIA DI BATTESIMI E NOZZE. Negli anni Sessanta Carlo Alberto torna nell'isola del suo destino e per oltre 7 anni gli viene affidato come colonnello il comando della legione di Palermo (1966-1973). Qualcosa dallo scacco di quindici anni fa l'ha imparata. Bisogna conoscere a fondo la situazione e raccogliere quante più prove possibili, facendo i conti con la realtà del posto.
Cosa Nostra non è stata con le mani in mano e si è adeguata rapidamente ai tempi nuovi. Ha progressivamente spostato i suoi interessi dal settore dell'agricoltura in cui aveva operato per oltre un secolo, a quelli industriale e commerciale, specialmente nel campo dell'edilizia e dei lavori pubblici. I tradizionali rapporti di "strusciamento con il potere" si rafforzano specialmente con le istituzioni amministrative e politiche in modo da influire sulle direttrici di sviluppo edilizio delle città, sull'ubicazione delle opere pubbliche, sulle destinazioni dei finanziamenti, sugli appalti. Lo scambio è sempre lo stesso: appoggio politico contro concessioni illegali di licenze e appalti. Il risultato è che gradualmente una serie di politici aiutano l'espandersi delle attività economiche mafiose, quando i rappresentanti mafiosi non sono direttamente inseriti nel tessuto politico ed amministrativo. Alla base dell'organizzazione c'è la 'famiglia', rigidamente ancorata al territorio. In essa ci sono gli uomini d'onore o soldati, comandati dai capidecina, guidati da un capo famiglia o rappresentante coadiuvato da un vice e da uno o più consiglieri. Più famiglie sono rette dai capi mandamento che siedono nella cupola o commissione provinciale. Una struttura del genere è difficile da infiltrare. Tra le regole non scritte di Cosa Nostra vigono quella dell'assoluta verità tra i membri, quella del silenzio, quella del non far domande inutili e quella che le decisioni della commissione vanno eseguite a qualsiasi costo. "Nessuno troverà mai un elenco degli appartenenti a Cosa Nostra né alcuna ricevuta dei versamenti delle quote. Il che non impedisce che le regole dell'organizzazione siano ferree e universalmente riconosciute", raccontava Tommaso Buscetta al giudice Giovanni Falcone. Ma qualcosa si può sempre sapere ed è possibile conoscere la struttura attraverso il legame della famiglia. Sentiamo cosa diceva Dalla Chiesa alla commissione antimafia del 1962. "Onorevole presidente, scoprirli [i capi mafiosi] non è difficile, in quanto i nomi sono sulle bocche di molti. ( ...) Vorrei mostrare (...) una scheda, che io ho preparato per la mia legione, per tutti i miei collaboratori, dedicata proprio ai mafiosi o indiziati tali. ( ... ) attraverso le parentele e i comparati, che valgono più delle parentele, si può avere una visione organica della famiglia, della genealogia, più che un'anagrafe dei mafiosi. Quest'ultima è limitata al personaggio; la genealogia di ciascun mafioso ci porta invece a stabilire chi ha sposato il figlio del mafioso, con chi si è imparentato, chi ha tenuto a battesimo, chi lo ha avuto come compare di matrimonio; e tutto questo è mafia, è propaggine mafiosa ( ... ) ... è molto più efficace seguire i mafiosi cosi, cioè non attraverso la scheda solita del ministero dell'Interno, ma da vicino, attraverso i figli, attraverso i coniugi dei figli, attraverso le provenienze, le zone dalle quali provengono, perché anche le zone d'influenza hanno la loro importanza". Non è una trovata trascendentale, ma è il metodo e la costanza con cui si applica che danno i risultati.
Nel 1966 un vero e proprio censimento degli uomini d'onore è stato finalmente realizzato e si conclude con l'arresto di 76 boss. Gente come Frank Coppola (Frank Tre dita) e Gerlando Alberti vengono arrestati e spediti al soggiorno obbligato. IL TRIONIFO SULLE BRIGATE ROSSE. All'epoca Dalla Chiesa credeva moltissimo al soggiorno obbligato, più tardi si accorgerà che era a doppio taglio: allontanava i boss dalle loro zone e favoriva l'estendersi della piovra altrove. Poi i processi vanificheranno di nuovo la sua opera e un Dalla Chiesa più disilluso dichiarerà alla commissione antimafia riunita il 4 novembre 1970: "Siamo senza unghie, ecco; francamente, di fronte a questi personaggi, mentre nell'indagine normale, nella delinquenza, possiamo far fronte e abbiamo ottenuto anche dei risultati di rilievo, nei confronti del mafioso in quanto tale, in quanto inquadrato in un contesto particolare, è difficile per noi raggiungere le prove..." Non c'è però tempo per i rimpianti. La lotta al terrorismo coinvolge presto Dalla Chiesa, ormai promosso generale. Dall'ottobre 1973 al marzo 1977 comanda la brigata di Torino. Poi nel maggio 1977 assume l'incarico di coordinamento del servizio di sicurezza degli istituti di prevenzione e pena. Prima del suo arrivo le evasioni spettacolari avevano insinuato il sospetto che nelle carceri si potesse fare di tutto. Dopo la cura del generale vengono fuori le cosiddette supercarceri la fuga dalle quali è praticamente impossibile. Si tratta di un duro colpo sia per i terroristi che per i mafiosi, come ben sa Totò Riina finito proprio in uno di questi istituti di massima sicurezza. Successivamente (settembre 1978) assume anche le funzioni di coordinamento e di cooperazione tra forze di polizia nella lotta al terrorismo. Dallas, come lo soprannominano affettuosamente i suoi con una contrazione, è sempre un militare tutto d'un pezzo. Gira senza scorta perché crede che un ufficiale all'assalto non ci va con la scorta, ma sa benissimo coprirsi le spalle dalle insidie dei palazzi romani. Quando riceve i pieni poteri per la lotta alle Brigate Rosse una stampa faziosa lo dipinge come un futuro Pinochet. Lui non si muove prima di una discreta e attenta gestione delle pubbliche relazioni, che gli garantisce un segnale di via libera anche da parte delle opposizioni. Solo allora attua la sua controguerriglia urbana. "I nostri reparti dovevano vivere la stessa vita clandestina delle Brigate Rosse. Nessun uomo fece mai capo alle caserme: vennero affittati in modo poco ortodosso gli appartamenti di cui avevamo bisogno, usammo auto con targhe false, telefoni intestati a utenti fantasma, settori logistici ed operativi distanti tra loro. I nostri successi costarono allo Stato meno di 10 milioni al mese'. Dal dicembre 1979 al dicembre 1981 comanda la prestigiosa Divisione Pastrengo a Milano per poi arrivare nel 1982 alla massima carica per un carabiniere: vice Comandante Generale dell'Arma. Con le promozioni arrivano altre decorazioni: croce d'oro per anzianità di servizio, medaglia d'oro di lungo comando, distintivo di ferita in servizio, una medaglia d'argento al valor militare, una di bronzo al valor civile, 38 encomi solenni, una medaglia mauriziana. Al suo fianco compare, dopo la morte dell'amatissima moglie Dora Fabbo, una seconda moglie giovanissima e decisa: Emanuela Setti-Carraro. E' un periodo durissimo, però il futuro sembra sorridergli. LA GRANDE GUERRA DI MAFIA. Alla nomina a prefetto di Palermo il ministro degli Interni, Virginio Rognoni, comincia a pensarci sotto le feste del Natale 1981. L'escalation mafiosa è fortissima e l'austero generale sembra la persona giusta per arrestarla. Ne parla prima con l'allora presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, poi con i segretari dei cinque partiti di maggioranza ed infine sonda gli umori delle forze di opposizione. Da tutti un aperto consenso e nel marzo 1982 comunica a Dalla Chiesa la nuova nomina. Dallas non esita a manifestare perplessità, ma suadente Rognoni gli dice: "Caro generale, lei va a Palermo non come prefetto ordinario ma con il compito di coordinare tutte le informazioni sull'universo mafioso". Il ministro conta di dargli tutti i poteri in vigore per il suo compito; il generale, che sa quanto sia vana la parola 'coordinamento', vuole poteri reali, uomini, mezzi e fondi. A maggio, quanto arriva a Villa Whitaker, trova una situazione pesante perché è scoppiata una gran guerra tra le cosche. L'origine immediata di questa guerra è il progetto all'inizio del 1981 di creare una nuova Las Vegas ad Atlantic City nato da un'idea di Don Stefano Bontade e Totò Inzerillo, il principe di Villagrazia. Il guadagno netto stimato si aggira intorno ai 130 miliardi di lire all'anno. La raccolta dei fondi per l'operazione si rivela un successo, ma un controllo dei contabili di Cosa Nostra scopre un ammanco di 20 miliardi. Bontade e Inzerillo dicono che gli americani non hanno pagato una partita di eroina. Le informazioni che circolano tra gli uomini d'onore sono diverse. "Più precisamente", racconta ai giornalisti un boss della fazione perdente, "Masinu Buscetta dopo 7 anni e mezzo di reclusione se la squaglia e si appoggia a Bontade ed Inzerillo per rientrare nel giro. All'epoca la Droga SpA è gestita dal consorzi delle maggiori famiglie palermitane con un giro di 20 milioni di dollari l'anno. Masino convince gli altri due a consorziarsi con lui e a finanziare la nuova società con 20 miliardi distratti da Cosa Nostra". Messi alle strette, decidono di partire all'attacco, alleandosi anche a Tano Badalamenti, boss di Cinisi. Ai primi di marzo è prevista una riunione chiarificatrice alla villa Inzerillo a Boccadifalco. E' un tranello, dissimulato meglio ancora dalla presenza di quattro giovani esponenti traditori delle famiglie rivali che dovrebbero garantire la sicurezza dell'incontro. Una soffiata manda all'aria il piano. Alla villa arrivano solo alcuni gregari delle famiglie corleonesi, dei Greco e dei Marchese. Il 23 aprile Bontade viene ammazzato. A maggio tocca ad Inzerillo, poi anche a suo figlio Giuseppe. Il fratello di Totò Inzerillo viene trovato morto con 5 dollari e un testicolo in bocca. Tradotto: guai a chi ruba i soldi di Cosa Nostra! Il vecchio Tano per sui fortuna si eclissa, ma i quattro giovani traditori no. Uno viene trovato carbonizzato, l'altro massacrato da trentasei coltellate nel carcere dell'Ucciardone. Nell'estate in cui c'è Dalla Chiesa a Palermo ci sono 52 morti e 20 lupare bianche. POI ARRIVA LA MORTE. Nella lotta a Cosa Nostra, nella sua stessa esistenza, la morte è una costante con cui occorre fare sempre i conti. "Purtroppo in questa difficile battaglia gli errori si pagano. Quello che per noi è una professione, per gli uomini di Cosa Nostra è questione di vita o di morte: se i mafiosi commettono degli errori, li pagano; se li commettiamo noi, ce li fanno pagare. (...) E Rocco Chinnici, si obbietterà, il consigliere istruttore del tribunale di Palermo fatto saltare in aria dalla mafia nel 1983, con un'auto imbottita di esplosivo parcheggiata sotto casa sua? Rocco Chinnici non aveva sottovalutato nulla. Competente e coraggioso, proteggeva la sua persona rigorosamente (...) Da tutto questo bisogna trarre una lezione. Chi rappresenta l'autorità dello Stato in territorio nemico, ha il dovere di essere invulnerabile. Almeno nei limiti della prevedibilità e della fattibilità". Sono parole del giudice Falcone, tuttora attuali e vere, anche se talvolta Cosa Nostra si è dimostrata più abile e forte: di Chinnici, di Borsellino, dello stesso Falcone. Gli uomini d'onore sanno benissimo di non essere invulnerabili e di doversi proteggere oltre la paranoia. Un caso per tutti è Totuccio Contorno nel 1981. E in macchina e all'altezza del ponte Brancaccio si accorge che l'auto davanti a lui va troppo piano. Gli occhi scandagliano rapidamente la strada. Ecco, in piedi sul limitare di una casa, il killer Mario Prestifilippo. Quello non è lì per caso. Totuccio mormora tra sé: "Manca solo la motocicletta"; puntuale compare anche quella. Non c'è più niente da capire, c'è soltanto da salvare la pelle. Si butta sul lato destro della macchina, scaraventa sul marciapiede il ragazzo che siede con lui. Una raffica di Kalashnikov fa esplodere i vetri della macchina, ciuffi dei capelli di Totuccio dimostrano che se l'è letteralmente cavata per un pelo. Fuori dalla macchina. dietro al motore che fa da scudo, Totuccio estrae la pistola e centra il tizio in moto. Morto? Ferito? No, il killer Pino Greco "scarpuzzedda", non meno prudente, ha indosso un giubbotto antiproiettile. Dalla Chiesa. seguito da cento occhi, ascoltato da cento orecchie, è immerso nei veleni di Palermo. Il figlio, Nando Dalla Chiesa, ricorda come il padre fosse certo che i principali notabili gli fossero avversi: il sindaco di Palermo, Nello Martellucci; il presidente della Regione Mario D'Acquisto; i notabili Salvo Lima, Vito Ciancimino e Nicoletti. OPERAZIONE CARLO ALBERTO. Significativo uno scambio di battute a distanza sui giornali. Dalla Chiesa: "C'è una crescita della mafia, che va radicandosi anche come realtà politico-malavitosa". Martellucci: "Io ho la vista acuta, eppure non ho mai visto la mafia". Dalla Chiesa, alla commemorazione del colonnello dei Carabinieri Russo ucciso dalla mafia: "Aveva tutti e cinque i sensi sviluppati, ma la mafia l'ha ammazzato". Il prefetto di Catania: "La mafia, qui da noi, non esiste". Il generale capisce che deve muoversi in fretta, prima che sia troppo tardi. Il primo giorno da prefetto a Palermo si fa portare a Villa Whitaker da un tassista. Altre volte si fa vedere a sorpresa tra la gente, incontra gli allievi dei licei, gli operai nei cantieri. Vuole scuotere la paura e suscitare il consenso. Non si fa illusioni: "Certamente non sono venuto per sgominare la mafia, perché il fenomeno mafioso non lo si può sgominare in una battaglia campale, in una guerra lampo, un cosiddetto Blitz. Però vorrei riuscire a contenerlo, per poi sgominarlo". Infatti non rinuncia alla richiesta di poteri e mezzi. Quanto ai poteri c'è l'articolo 31 dello Statuto regionale della Sicilia, dove è scritto che le forze di polizia sono sottoposte disciplinarmente, per l'impiego e l'utilizzo, al governo regionale. Come dire che se c'è un governo regionale mafioso, esso ha legalmente più potere del rappresentante dello Stato. Dalla Chiesa chiede fatti e poteri veri, ma a Roma si è restii a conferirgli poteri più significativi di quelli del ministro degli Interni. Anche così, tuttavia, Dalla Chiesa agisce. In due successivi blitz, interrompe con 10 arresti il summit dei vincitori corleonesi a Villagrazia, mentre in via Messina Marine scopre una raffineria di eroina con una produzione di 50 chilogrammi a settimana. Nel giugno 1982 invia il rapporto dei 162, una vera mappa del crimine organizzato. Al vertice ci sono i Greco di Ciaculli, con attività a Tangeri e in Sud America. Insieme ad essi i Corleonesi, il clan di Corso dei Mille. I perdenti Inzerillo, Badalamenti, Bontade, Buscetta sono stati invece massacrati. Per 20, giorni i magistrati tacciono, poi spiccano 87 mandati di cattura: 18 arresti, ma restano latitanti una ventina dei più grossi tra cui Michele Greco il Papa, braccio violento di suo zio Totò Greco detto l'ingegnere. Poi segue un rapporto della Guardia di Finanza sul mondo delle false fatture e dei contributi pubblici finiti nelle tasche di noti esponenti di Palermo e Catania. Inoltre il generale rispolvera l'efficace arma delle indagini su comparati, parentele e amicizie: avvia un'indagine sui registri di battesimo e nozze per vedere quali politici abbiano presenziato a eventi di famiglie mafiose. Riesamina anche vecchie voci di pranzi di ex-ministri con potenti boss e, con dodici agenti della Guardia di Finanza a prestito, fa setacciare ben 3.000 patrimoni. Cosa Nostra decide che è il momento di risolvere il problema. Il 3 settembre 1982 trenta pallottole di Kalashnikov falciano Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti-Carraro mentre un altro killer liquida l'agente di scorta, Domenico Russo. Lui tenta di proteggere la moglie col suo corpo, ma il killer spara prima a lei. EPILOGO. Al funerale ci sono molte grida in favore della pena di morte. Solo Pertini ha potuto raggiungere indisturbato la sua auto mentre altre personalità sono state circondate, spintonate e colpite con monetine. Rita Dalla Chiesa ha esclamato nella camera ardente: "Non voglio quei fiori! non voglio quelle corone!'". Il 5 settembre arriva una telefonata anonima al quotidiano La Sicilia: "L'operazione Carlo Alberto è conclusa". Dietro quella voce c'era come mandante il potente boss Nitto Santapaola, o' cacciatore. Accusato al processo di Palermo, negherà tutto. Come killer del generale e di sua moglie viene indicato Giuseppe Lucchese (Lucchiseddu), l'uomo più fidato di Totò u' curtu. A lui sarebbero stati affidati anche: i commissari Montana e Cassarà, i due superkiller Pino Greco e Mario Prestifilippo, il capo dei perdenti Salvatore Inzerillo. Arrestato nel 1991 è indicato dai pentiti come capo della famiglia di Ciaculli e membro della commissione provinciale. E' accusato anche di essere uno dei mandanti dell'omicidio dell'eurodeputato DC Salvo Lima, il proconsole di Andreotti in Sicilia. Passano i potenti, passano i trionfi, le glorie, le ricchezze e le lodi. Svanisce persino il ricordo di lontani eroismi. Resta solo la nuda, spartana virtù del dovere compiuto in nome di una società civile. "Obbedimmo", questa è la testimonianza che i Carabinieri lasciano alla gente onesta.