Il Vajont come simbolo delle
grandi calamità naturali che hanno colpito il nostro paese negli
ultimi quarant'anni. Piuna (negli anni Cinquanta), l'alluvione del
Polesine; poi lo straripamento dell'Amo con la violenza subita
dalli città di Firenze. E poi ancora i terremoti nel Belice, in
Friuli e nell'Irpinia. E ancora la teoria infinita delle alluvioni
e delle inondazioni provocate dal disastro idrogeologico che
affligge l'Italia, a causa di mille e una responsabilità politiche
e tecniche.
Ogni volta, in prima linea, i
Carabinieri. Chiamati a soccorrere i feriti, a recuperare le salme,
a scavare fra le macerie, a coordinare gli interventi, a prevenire
le tristi iniziative di sciacallaggio. Una presenza testimoniata
dai tanti riconoscimenti ricevuti per quest'opera, forse meno
appariscente, ed eroica di altri generi di interventi, ma preziosa,
importante, faticosa, pericolosa.
Alle 22.45 del 9 ottobre 1963, gran
parte dell'Italia ha gli occhi fissi al televisore, per assistere
alla partita di Coppa dei Campioni fra Real Madrid e
Glasgow Rangers. E così anche a
Longarone, un paesino del Veneto arrampicato su una montagna.
Il pallone rotola veloce sull'erba, inquadrato dalle
telecamere. Fuori, in una terribile azione rallentata, una
frana di seicento milioni di tonnellate piomba dal monte Toc
nell'invaso della diga del Vajont.
La diga scricchiola orrendamente e regge, ma l'acqua si rovescia
come da un gigantesco catino scosso maldestramente. Un boato
cancella in 120 lunghissimi secondi circa duemila vite umane e
spazza via tutta Longarone. In pochi minuti il Piave freme e si
gonfia di cinque metri. Poche ore dopo arrivano nella desolazione i
primi carabinieri dalle legioni di Bolzano e di Udine. A loro si
uniscono i colleghi dell'XI brigata meccanizzata e degli altri
corpi, nonché i volontari.