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Post N° 49

Post n°49 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Dimenticare
Palermo



Luciano Liggio nella gabbia degli imputati nel maxiprocesso di PalermoPalermo è
talvolta molto di più di una città con antiche origini e
prestigiosi monumenti. Per alcuni uomini è un luogo dello
spirito, una metafora della vita e della morte che entra sotto
la pelle. Una volta che l'hai sperimentata non la lasci più.
Dimenticare Palermo: Palazzo delle Aquile, il mare, u' pani
c'a meusa, la Zisa e lo Zen, villa Whitaker. Qualcuno ci ha
provato, è tornato, ci è rimasto.


Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva
conosciuto da giovane quella terra bella e sventurata, vivendo i
primi successi e le prime delusioni.


Saluzzo, cittadina sabauda e
piemontese sino al midollo, lo vede nascere il 27 settembre 1920.
E' un figlio d'arte: papà ufficiale dei Carabinieri (Romano),
fratello pure (Romolo). Il primo contatto con la vita militare è la
dura guerra nel Montenegro come sottotenente nel 1941. Un anno dopo
passa ai Carabinieri e viene assegnato alla tenenza di San
Benedetto del Tronto dove resta fino al fatidico 8 settembre
1943.


Passa nella provincia di Ascoli
Piceno e un bel giorno viene affrontato da un partigiano comunista.
I partigiani della zona temevano che lui fosse responsabile del
blocco dei rifornimenti di armi che gli alleati di tanto in tanto
riuscivano a spedire via mare.


Alla domanda "Lei con chi sta,
tenente, con l'Italia o la Germania?", Dalla Chiesa risponde
offrendo la sua collaborazione e per un certo periodo le cose
filano a meraviglia. Poi, purtroppo qualcuno fa la spia e per Dalla
Chiesa è meglio cambiare aria e darsi alla macchia insieme agli
altri patrioti: diventa un responsabile delle trasmissioni radio
clandestine di informazioni per gli americani.


Genco Russo in una foto degli anni settantaLa guerra si chiude per lui con
una promozione e due croci al merito di guerra, tre campagne di
guerra, una medaglia di benemerenza per i volontari della Il GM, il
distintivo della guerra di liberazione ed una laurea in
giurisprudenza conseguita a Bari. In quella stessa università
prenderà più tardi la laurea in scienze politiche.


La Sicilia che lo vede arrivare
giovane capitano è immersa nel regno di terrore della mafia
agraria, quella di Don Calò Vizzini, di Genco Russo e di Luciano
Leggio. E' una mafia che poi verrà rievocata con nostalgia quando
emergeranno nuovi e ferocissimi boss, ma in realtà era solo più
arcaica, non meno spietata.


Cosa Nostra ha stretto un patto di
ferro con i più retrivi latifondisti che temono le lotte e le
rivendicazioni contadine guidate dai sindacalisti comunisti e
socialisti.


NEI COVI DI CORLEONE. Per
Lucianeddu Leggio (più conosciuto come Liggio) il segretario della
Camera del Lavoro di Corleone, Placido Rizzotto rappresenta una
spina nel fianco. Parla troppo, protesta troppo, intralcia troppo.
Rizzotto, un semplice bracciante, cresciuto tra le insidie di una
mafia occhiuta ed oppressiva, è un tipo prudente e cauto che non
manca di prendere le sue precauzioni. Leggio affida il compito ai
suoi giovani cagnazzi, Binnu e Totò u' curtu. Leoluca Bagarella,
Bernardo Provenzano e Totò Riina sono picciotti fedelissimi,
aggressivi, spavaldi, che si mostrano in paese annancando con il
caratteristico incedere mafioso. Sono furbi e si rendono conto che
bisogna prendere Rizzotto per tradimento.


Un giuda si trova. Il 10 marzo 1948
il sindacalista viene caricato su una macchina, portato in luogo
sicuro, torturato e suppliziato. Il suo cadavere viene gettato in
una forra.


Totò Rijna, arrestato nel 1993"Dov'è Rizzotto?", questo grido
scandito a pieni polmoni dal grande sindacalista Giuseppe Di
Vittorio a Palermo, in piazza Politeama, fece venire i brividi.
Gridava scandendo "do-v'è Ri-zzo-tto?" tante e tante volte, come se
aspettasse risposta dalle migliaia di manifestanti raggelati e
commossi.


Lo trovano molto tempo dopo e
riconoscono i resti da uno scarpone. La sua ex-fidanzata,
Leoluchina, sconvolta dal dolore grida che mangerà il cuore di chi
lo ha ridotto così. Chi muore giace e chi vive si da pace.
Arresteranno Leggio a Corleone nel 1964.


Dalla Chiesa è chiamato dal
colonnello Ugo Luca nel nuovissimo CFRB (Comando Forze Repressione
Banditismo), che ha la missione di farla finita con Salvatore
Giuliano, il re di Montelepre. A lui viene affidato il comando del
gruppo squadriglie, basato a Corleone. Qui il piemontese ha primo
impatto con questo tortuoso ambiente.


E' un ufficiale abile, duro,
inflessibile, gran lavoratore, non meno paziente dei suoi avversari
corleonesi. A dispetto dell'omertà e della paura estremamente
diffuse riesce insieme ai suoi colleghi a inchiodare tutti gli
assassini di Rizzotto e a spedirli sotto processo.


Vittoria di Pirro. Il processo si
conclude con una serie di assoluzioni per insufficienza di prove.
Il giovane capitano viene opportunamente trasferito. Premio,
siluramento, precauzione? Chissà. La Sicilia gli è rimasta dentro
al cuore.


Da ufficiale superiore è aiutante
maggiore della legione e capo ufficio OAIO (Ordinamento
Addestramento Informazioni Operazioni) della IV brigata di Roma e
della legione di Torino. Poi regge i comandi del nucleo di polizia
giudiziaria e del gruppo di Milano.


A CACCIA DI BATTESIMI E
NOZZE.
Negli anni Sessanta Carlo Alberto torna nell'isola del
suo destino e per oltre 7 anni gli viene affidato come colonnello
il comando della legione di Palermo (1966-1973).


Qualcosa dallo scacco di quindici
anni fa l'ha imparata. Bisogna conoscere a fondo la situazione e
raccogliere quante più prove possibili, facendo i conti con la
realtà del posto.


pattuglia a cavalloCosa Nostra non è stata con le
mani in mano e si è adeguata rapidamente ai tempi nuovi. Ha
progressivamente spostato i suoi interessi dal settore
dell'agricoltura in cui aveva operato per oltre un secolo, a quelli
industriale e commerciale, specialmente nel campo dell'edilizia e
dei lavori pubblici. I tradizionali rapporti di "strusciamento con
il potere" si rafforzano specialmente con le istituzioni
amministrative e politiche in modo da influire sulle direttrici di
sviluppo edilizio delle città, sull'ubicazione delle opere
pubbliche, sulle destinazioni dei finanziamenti, sugli
appalti.

Lo scambio è sempre lo stesso: appoggio politico contro concessioni
illegali di licenze e appalti. Il risultato è che gradualmente una
serie di politici aiutano l'espandersi delle attività economiche
mafiose, quando i rappresentanti mafiosi non sono direttamente
inseriti nel tessuto politico ed amministrativo.


Alla base dell'organizzazione c'è la
'famiglia', rigidamente ancorata al territorio. In essa ci sono gli
uomini d'onore o soldati, comandati dai capidecina, guidati da un
capo famiglia o rappresentante coadiuvato da un vice e da uno o più
consiglieri. Più famiglie sono rette dai capi mandamento che
siedono nella cupola o commissione provinciale.


Una struttura del genere è difficile
da infiltrare. Tra le regole non scritte di Cosa Nostra vigono
quella dell'assoluta verità tra i membri, quella del silenzio,
quella del non far domande inutili e quella che le decisioni della
commissione vanno eseguite a qualsiasi costo. "Nessuno troverà mai
un elenco degli appartenenti a Cosa Nostra né alcuna ricevuta dei
versamenti delle quote. Il che non impedisce che le regole
dell'organizzazione siano ferree e universalmente riconosciute",
raccontava Tommaso Buscetta al giudice Giovanni Falcone.


Ma qualcosa si può sempre sapere ed
è possibile conoscere la struttura attraverso il legame della
famiglia. Sentiamo cosa diceva Dalla Chiesa alla commissione
antimafia del 1962.


"Onorevole presidente, scoprirli [i
capi mafiosi] non è difficile, in quanto i nomi sono sulle bocche
di molti. ( ...) Vorrei mostrare (...) una scheda, che io ho
preparato per la mia legione, per tutti i miei collaboratori,
dedicata proprio ai mafiosi o indiziati tali.


( ... ) attraverso le parentele e i
comparati, che valgono più delle parentele, si può avere una
visione organica della famiglia, della genealogia, più che
un'anagrafe dei mafiosi. Quest'ultima è limitata al personaggio; la
genealogia di ciascun mafioso ci porta invece a stabilire chi ha
sposato il figlio del mafioso, con chi si è imparentato, chi ha
tenuto a battesimo, chi lo ha avuto come compare di matrimonio; e
tutto questo è mafia, è propaggine mafiosa ( ... )


... è molto più efficace seguire i
mafiosi cosi, cioè non attraverso la scheda solita del ministero
dell'Interno, ma da vicino, attraverso i figli, attraverso i
coniugi dei figli, attraverso le provenienze, le zone dalle quali
provengono, perché anche le zone d'influenza hanno la loro
importanza".


Non è una trovata trascendentale, ma
è il metodo e la costanza con cui si applica che danno i
risultati.


Michele Greco, detto Nel 1966 un vero
e proprio censimento degli uomini d'onore è stato finalmente
realizzato e si conclude con l'arresto di 76 boss. Gente come
Frank Coppola (Frank Tre dita) e Gerlando Alberti vengono
arrestati e spediti al soggiorno obbligato.


IL TRIONIFO SULLE BRIGATE
ROSSE.
All'epoca Dalla Chiesa credeva moltissimo al soggiorno
obbligato, più tardi si accorgerà che era a doppio taglio:
allontanava i boss dalle loro zone e favoriva l'estendersi della
piovra altrove.


Poi i processi vanificheranno di
nuovo la sua opera e un Dalla Chiesa più disilluso dichiarerà alla
commissione antimafia riunita il 4 novembre 1970: "Siamo senza
unghie, ecco; francamente, di fronte a questi personaggi, mentre
nell'indagine normale, nella delinquenza, possiamo far fronte e
abbiamo ottenuto anche dei risultati di rilievo, nei confronti del
mafioso in quanto tale, in quanto inquadrato in un contesto
particolare, è difficile per noi raggiungere le prove..."


Non c'è però tempo per i rimpianti.
La lotta al terrorismo coinvolge presto Dalla Chiesa, ormai
promosso generale. Dall'ottobre 1973 al marzo 1977 comanda la
brigata di Torino. Poi nel maggio 1977 assume l'incarico di
coordinamento del servizio di sicurezza degli istituti di
prevenzione e pena. Prima del suo arrivo le evasioni spettacolari
avevano insinuato il sospetto che nelle carceri si potesse fare di
tutto. Dopo la cura del generale vengono fuori le cosiddette
supercarceri la fuga dalle quali è praticamente impossibile. Si
tratta di un duro colpo sia per i terroristi che per i mafiosi,
come ben sa Totò Riina finito proprio in uno di questi istituti di
massima sicurezza.


Successivamente (settembre 1978)
assume anche le funzioni di coordinamento e di cooperazione tra
forze di polizia nella lotta al terrorismo.


Dallas, come lo soprannominano
affettuosamente i suoi con una contrazione, è sempre un militare
tutto d'un pezzo. Gira senza scorta perché crede che un ufficiale
all'assalto non ci va con la scorta, ma sa benissimo coprirsi le
spalle dalle insidie dei palazzi romani.


Quando riceve i pieni poteri per la
lotta alle Brigate Rosse una stampa faziosa lo dipinge come un
futuro Pinochet. Lui non si muove prima di una discreta e attenta
gestione delle pubbliche relazioni, che gli garantisce un segnale
di via libera anche da parte delle opposizioni.


Solo allora attua la sua
controguerriglia urbana.


"I nostri reparti dovevano vivere la
stessa vita clandestina delle Brigate Rosse. Nessun uomo fece mai
capo alle caserme: vennero affittati in modo poco ortodosso gli
appartamenti di cui avevamo bisogno, usammo auto con targhe false,
telefoni intestati a utenti fantasma, settori logistici ed
operativi distanti tra loro. I nostri successi costarono allo Stato
meno di 10 milioni al mese'.


Dal dicembre 1979 al dicembre 1981
comanda la prestigiosa Divisione Pastrengo a Milano per poi
arrivare nel 1982 alla massima carica per un carabiniere: vice
Comandante Generale dell'Arma.


Con le promozioni arrivano altre
decorazioni: croce d'oro per anzianità di servizio, medaglia d'oro
di lungo comando, distintivo di ferita in servizio, una medaglia
d'argento al valor militare, una di bronzo al valor civile, 38
encomi solenni, una medaglia mauriziana.


Al suo fianco compare, dopo la morte
dell'amatissima moglie Dora Fabbo, una seconda moglie giovanissima
e decisa: Emanuela Setti-Carraro. E' un periodo durissimo, però il
futuro sembra sorridergli.


LA GRANDE GUERRA DI MAFIA.
Alla nomina a prefetto di Palermo il ministro degli Interni,
Virginio Rognoni, comincia a pensarci sotto le feste del Natale
1981. L'escalation mafiosa è fortissima e l'austero generale sembra
la persona giusta per arrestarla. Ne parla prima con l'allora
presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, poi con i segretari
dei cinque partiti di maggioranza ed infine sonda gli umori delle
forze di opposizione. Da tutti un aperto consenso e nel marzo 1982
comunica a Dalla Chiesa la nuova nomina.


Dallas non esita a manifestare
perplessità, ma suadente Rognoni gli dice: "Caro generale, lei va a
Palermo non come prefetto ordinario ma con il compito di coordinare
tutte le informazioni sull'universo mafioso". Il ministro conta di
dargli tutti i poteri in vigore per il suo compito; il generale,
che sa quanto sia vana la parola 'coordinamento', vuole poteri
reali, uomini, mezzi e fondi.


A maggio, quanto arriva a Villa
Whitaker, trova una situazione pesante perché è scoppiata una gran
guerra tra le cosche.


L'origine immediata di questa guerra
è il progetto all'inizio del 1981 di creare una nuova Las Vegas ad
Atlantic City nato da un'idea di Don Stefano Bontade e Totò
Inzerillo, il principe di Villagrazia. Il guadagno netto stimato si
aggira intorno ai 130 miliardi di lire all'anno.


La raccolta dei fondi per
l'operazione si rivela un successo, ma un controllo dei contabili
di Cosa Nostra scopre un ammanco di 20 miliardi.


Bontade e Inzerillo dicono che gli
americani non hanno pagato una partita di eroina. Le informazioni
che circolano tra gli uomini d'onore sono diverse.


"Più precisamente", racconta ai
giornalisti un boss della fazione perdente, "Masinu Buscetta dopo 7
anni e mezzo di reclusione se la squaglia e si appoggia a Bontade
ed Inzerillo per rientrare nel giro. All'epoca la Droga SpA è
gestita dal consorzi delle maggiori famiglie palermitane con un
giro di 20 milioni di dollari l'anno. Masino convince gli altri due
a consorziarsi con lui e a finanziare la nuova società con 20
miliardi distratti da Cosa Nostra".


Messi alle strette, decidono di
partire all'attacco, alleandosi anche a Tano Badalamenti, boss di
Cinisi.


Ai primi di marzo è prevista una
riunione chiarificatrice alla villa Inzerillo a Boccadifalco. E' un
tranello, dissimulato meglio ancora dalla presenza di quattro
giovani esponenti traditori delle famiglie rivali che dovrebbero
garantire la sicurezza dell'incontro.


Una soffiata manda all'aria il
piano. Alla villa arrivano solo alcuni gregari delle famiglie
corleonesi, dei Greco e dei Marchese. Il 23 aprile Bontade viene
ammazzato. A maggio tocca ad Inzerillo, poi anche a suo figlio
Giuseppe. Il fratello di Totò Inzerillo viene trovato morto con 5
dollari e un testicolo in bocca. Tradotto: guai a chi ruba i soldi
di Cosa Nostra!


Il vecchio Tano per sui fortuna si
eclissa, ma i quattro giovani traditori no. Uno viene trovato
carbonizzato, l'altro massacrato da trentasei coltellate nel
carcere dell'Ucciardone. Nell'estate in cui c'è Dalla Chiesa a
Palermo ci sono 52 morti e 20 lupare bianche.


POI ARRIVA LA MORTE. Nella
lotta a Cosa Nostra, nella sua stessa esistenza, la morte è una
costante con cui occorre fare sempre i conti. "Purtroppo in questa
difficile battaglia gli errori si pagano. Quello che per noi è una
professione, per gli uomini di Cosa Nostra è questione di vita o di
morte: se i mafiosi commettono degli errori, li pagano; se li
commettiamo noi, ce li fanno pagare. (...)


E Rocco Chinnici, si obbietterà, il
consigliere istruttore del tribunale di Palermo fatto saltare in
aria dalla mafia nel 1983, con un'auto imbottita di esplosivo
parcheggiata sotto casa sua? Rocco Chinnici non aveva sottovalutato
nulla. Competente e coraggioso, proteggeva la sua persona
rigorosamente (...)


Da tutto questo bisogna trarre una
lezione. Chi rappresenta l'autorità dello Stato in territorio
nemico, ha il dovere di essere invulnerabile. Almeno nei limiti
della prevedibilità e della fattibilità". Sono parole del giudice
Falcone, tuttora attuali e vere, anche se talvolta Cosa Nostra si è
dimostrata più abile e forte: di Chinnici, di Borsellino, dello
stesso Falcone.


Gli uomini d'onore sanno benissimo
di non essere invulnerabili e di doversi proteggere oltre la
paranoia. Un caso per tutti è Totuccio Contorno nel 1981. E in
macchina e all'altezza del ponte Brancaccio si accorge che l'auto
davanti a lui va troppo piano.

Gli occhi scandagliano rapidamente la strada. Ecco, in piedi sul
limitare di una casa, il killer Mario Prestifilippo. Quello non è
lì per caso. Totuccio mormora tra sé: "Manca solo la motocicletta";
puntuale compare anche quella.


Non c'è più niente da capire, c'è
soltanto da salvare la pelle. Si butta sul lato destro della
macchina, scaraventa sul marciapiede il ragazzo che siede con lui.
Una raffica di Kalashnikov fa esplodere i vetri della macchina,
ciuffi dei capelli di Totuccio dimostrano che se l'è letteralmente
cavata per un pelo.


Fuori dalla macchina. dietro al
motore che fa da scudo, Totuccio estrae la pistola e centra il
tizio in moto. Morto? Ferito? No, il killer Pino Greco
"scarpuzzedda", non meno prudente, ha indosso un giubbotto
antiproiettile.


Dalla Chiesa. seguito da cento
occhi, ascoltato da cento orecchie, è immerso nei veleni di
Palermo. Il figlio, Nando Dalla Chiesa, ricorda come il padre fosse
certo che i principali notabili gli fossero avversi: il sindaco di
Palermo, Nello Martellucci; il presidente della Regione Mario
D'Acquisto; i notabili Salvo Lima, Vito Ciancimino e Nicoletti.




OPERAZIONE CARLO ALBERTO. Significativo uno scambio di
battute a distanza sui giornali.


Dalla Chiesa: "C'è una crescita
della mafia, che va radicandosi anche come realtà
politico-malavitosa".


Martellucci: "Io ho la vista acuta,
eppure non ho mai visto la mafia".


Dalla Chiesa, alla commemorazione
del colonnello dei Carabinieri Russo ucciso dalla mafia: "Aveva
tutti e cinque i sensi sviluppati, ma la mafia l'ha ammazzato".


Il prefetto di Catania: "La mafia,
qui da noi, non esiste". Il generale capisce che deve muoversi in
fretta, prima che sia troppo tardi. Il primo giorno da prefetto a
Palermo si fa portare a Villa Whitaker da un tassista. Altre volte
si fa vedere a sorpresa tra la gente, incontra gli allievi dei
licei, gli operai nei cantieri. Vuole scuotere la paura e suscitare
il consenso.


Non si fa illusioni: "Certamente non
sono venuto per sgominare la mafia, perché il fenomeno mafioso non
lo si può sgominare in una battaglia campale, in una guerra lampo,
un cosiddetto Blitz. Però vorrei riuscire a contenerlo, per poi
sgominarlo". Infatti non rinuncia alla richiesta di poteri e mezzi.
Quanto ai poteri c'è l'articolo 31 dello Statuto regionale della
Sicilia, dove è scritto che le forze di polizia sono sottoposte
disciplinarmente, per l'impiego e l'utilizzo, al governo regionale.
Come dire che se c'è un governo regionale mafioso, esso ha
legalmente più potere del rappresentante dello Stato.


Dalla Chiesa chiede fatti e poteri
veri, ma a Roma si è restii a conferirgli poteri più significativi
di quelli del ministro degli Interni.


Anche così, tuttavia, Dalla Chiesa
agisce. In due successivi blitz, interrompe con 10 arresti il
summit dei vincitori corleonesi a Villagrazia, mentre in via
Messina Marine scopre una raffineria di eroina con una produzione
di 50 chilogrammi a settimana.


Nel giugno 1982 invia il rapporto
dei 162, una vera mappa del crimine organizzato. Al vertice ci sono
i Greco di Ciaculli, con attività a Tangeri e in Sud America.
Insieme ad essi i Corleonesi, il clan di Corso dei Mille. I
perdenti Inzerillo, Badalamenti, Bontade, Buscetta sono stati
invece massacrati.


Per 20, giorni i magistrati
tacciono, poi spiccano 87 mandati di cattura: 18 arresti, ma
restano latitanti una ventina dei più grossi tra cui Michele Greco
il Papa, braccio violento di suo zio Totò Greco detto
l'ingegnere.


Poi segue un rapporto della Guardia
di Finanza sul mondo delle false fatture e dei contributi pubblici
finiti nelle tasche di noti esponenti di Palermo e Catania. Inoltre
il generale rispolvera l'efficace arma delle indagini su comparati,
parentele e amicizie: avvia un'indagine sui registri di battesimo e
nozze per vedere quali politici abbiano presenziato a eventi di
famiglie mafiose. Riesamina anche vecchie voci di pranzi di
ex-ministri con potenti boss e, con dodici agenti della Guardia di
Finanza a prestito, fa setacciare ben 3.000 patrimoni.


Cosa Nostra decide che è il momento
di risolvere il problema. Il 3 settembre 1982 trenta pallottole di
Kalashnikov falciano Dalla Chiesa e la moglie Emanuela
Setti-Carraro mentre un altro killer liquida l'agente di scorta,
Domenico Russo. Lui tenta di proteggere la moglie col suo corpo, ma
il killer spara prima a lei.


EPILOGO. Al funerale ci sono
molte grida in favore della pena di morte. Solo Pertini ha potuto
raggiungere indisturbato la sua auto mentre altre personalità sono
state circondate, spintonate e colpite con monetine.


Rita Dalla Chiesa ha esclamato nella
camera ardente: "Non voglio quei fiori! non voglio quelle
corone!'".


Il 5 settembre arriva una telefonata
anonima al quotidiano La Sicilia: "L'operazione Carlo Alberto è
conclusa". Dietro quella voce c'era come mandante il potente boss
Nitto Santapaola, o' cacciatore. Accusato al processo di Palermo,
negherà tutto.


Come killer del generale e di sua
moglie viene indicato Giuseppe Lucchese (Lucchiseddu), l'uomo più
fidato di Totò u' curtu. A lui sarebbero stati affidati anche: i
commissari Montana e Cassarà, i due superkiller Pino Greco e Mario
Prestifilippo, il capo dei perdenti Salvatore Inzerillo.


Arrestato nel 1991 è indicato dai
pentiti come capo della famiglia di Ciaculli e membro della
commissione provinciale. E' accusato anche di essere uno dei
mandanti dell'omicidio dell'eurodeputato DC Salvo Lima, il
proconsole di Andreotti in Sicilia. Passano i potenti, passano i
trionfi, le glorie, le ricchezze e le lodi.


Svanisce persino il ricordo di
lontani eroismi. Resta solo la nuda, spartana virtù del dovere
compiuto in nome di una società civile.


"Obbedimmo", questa è la
testimonianza che i Carabinieri lasciano alla gente
onesta.

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