FRATTAGLIE

Elucubrazione sul quant'altro


Sono pedante e noiosa, lo so. Non ci posso fare nulla. Mal sopporto ormai di ascoltare quotidianamente, purtroppo soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione, una lingua italiana sempre più bistrattata, nella quale sono pressoché spariti i congiuntivi e che sta perdendo il fascino di parole dal suono meraviglioso a scapito di troppi termini, soprattutto stranieri, che sembrano molto più “di moda”, quasi che dicendo “brainstorming” ci troveremo ad un tavolo a scambiare idee geniali in una tempesta di cervelli illuminati, anche se siamo dei veri imbecilli.Ma quello che provoca in me una vera e propria idiosincrasia è l’uso del termine “quant’altro”, una locuzione più abusata del prezzemolo, fino a poco tempo fa solo nella lingua parlata, ora, purtroppo, anche in quella scritta, a malinteso intento, forse, di mostrare una capacità di stile articolato e colto. Scusate, non ce la faccio, è più forte di me: non lo sopporto proprio questo termine. Mi trovai l’anno scorso in una riunione per la definizione di un progetto formativo destinato a laureati; io, da tecnico, dovevo fornire i contenuti delle lezioni, la psicologa incaricata della selezione dei candidati al progetto le metodiche formative. Non riuscii a contare i “quant’altro” zampillati dalla sua bocca, ma ricordo di essere uscita con la convinzione di aver capito soltanto che c’era altro di cui parlare, solo che non ebbi davvero  la capacità di cogliere di cosa si trattasse. Quando sento un “quant’altro” automaticamente mi viene l’eritema ed ho forte l’impressione che il mio interlocutore, nel tentativo di usare un linguaggio forbito, in realtà non abbia molto da dirmi di essenziale o stia cercando di rigirarmi con le parole utilizzando a, tal fine,  questo termine che, a mio modo di sentire, non è altro che un brutale troncamento di un concetto. Ciò che davvero mi spaventa è che questa locuzione ha una forza spaventosa, si diffonde come un  virus contaminando persone che non ne hanno mai fatto uso e si infiltra nei loro discorsi, banalizzandoli. Le parole sono magia: esprimono concetti, convinzioni, ideali. I “quant’altro” sono generalizzanti e privi di originalità, l’antitesi ad un concetto specifico, un grande sacco in cui infilare qualsiasi cosa, un’espressione approssimativa, appendice sciatta al discorso. Insomma…so di essere una rompiscatole, ma quando mi imbatto in un “quant’altro” mi pongo sulla difensiva: e se non si trattasse solo di superficialità espressiva ma di una vera e propria patologia infettiva della nostra splendida lingua italiana?