FRATTAGLIE

Elucubrazione sulla donna


8 marzo 1908Maria vinse le morse paralizzanti del freddo mattutino e si avviò, come ogni giorno faceva alle 5.00 in punto, verso il suo posto di lavoro, l’industria tessile Cotton. Aveva 16 anni e da quattro ormai lavorava in quel posto d’inferno, così come sua madre prima di lei.I suoi genitori erano giunti a New York con la grossa nave in un inverno piovoso; la mamma, all’arrivo così fiduciosamente colma di speranze, confortate dalla vista di quella gigantesca statua rappresentante la libertà, era morta l’anno prima, più schiava di quanto non fosse mai stata in Italia, lasciandola sola con due sorelle ancora piccine.Quella mattina, nel cuore di Maria, c’era il sogno di una piccola speranza; come ormai da alcuni giorni, stava sfidando la nebbia ed il gelo, stringendosi il più possibile nel logoro scialle con le mani inguantate in quella lana più dura del ferro, per raggiungere le sue compagne e manifestare contro le condizioni in cui, quotidianamente, erano costrette a lavorare. Non aveva mai sentito parlare di sciopero, ma poche settimane prima, alcune delle donne che lavoravano con lei, avevano cominciato a dire che non si poteva continuare in quel modo disumano ed il passaparola, serpeggiante, le aveva convinte, finalmente, a ribellarsi. Mr. Johnson, il “padrone” non era affatto contento, ma loro continuavano, imperterrite, convinte che, alla fine, avrebbe almeno su qualche cosa ceduto.Si sentiva importante la piccola Maria quel giorno; per la prima volta nella sua breve vita si sentiva parte di un gruppo, condivideva ideali, trovava la forza per combattere, nonostante i crampi della fame le attanagliassero lo stomaco ed il gelo pungente la raggiungesse sino in fondo alle ossa. Per la prima volta aveva fiducia in un cambiamento e soprattutto, poteva permettersi il lusso di sperare.Si trovavano nello stabile, a parlare di come avrebbero organizzato la giornata, quando un fumo denso e scuro cominciò a riempire il capannone. La gola secca, gli occhi lacrimanti, paura e sgomento: tutte cominciarono a correre verso le uscite, ignare di quanto stesse accadendo. Ma le porte erano sbarrate. Panico. Orrore. Urla. Pianti. Maria non aveva più forza di lottare, nessuna energia in lei, nessuna fiducia, anche il lontano pensiero delle sorelle annullato dalla mancanza di ogni speranza. Si arrese. Almeno alla fine non avrebbe più sentito quel freddo infinito dentro di sé.________________                                                   E’ vero, si tratta solo di un triste racconto che trova il suo spunto in una leggenda; scrivendolo, tuttavia, ho voluto domandarmi che ci sarà da festeggiare sabato, un giorno in cui, come in tanti altri, centinaia di donne nel mondo saranno costrette in schiavitù, picchiate, violentate, uccise, lapidate. Scusate se esprimo un giudizio: solitamente mi astengo dal farlo, ma, ogni anno, mi vergogno quando persone del mio stesso sesso vivono questa giornata con un’allegria sguaiata, utilizzandola come mezzo per una trasgressione che trovo davvero penosa, fotocopia mal riuscita dei difetti più tristi dei più patetici rappresentanti del sesso maschile. Non trasformiamo anche quest’anno questa data nell’ennesimo infelice spettacolo del peggio di noi e di quanto il nostro mondo sia governato da logiche individualiste e consumiste, ve ne prego. L’8 marzo non è la “festa della donna” ma la “giornata internazionale della donna”, e come tale dovrebbe essere un momento di incontro, di scambio di opinioni, di dibattito. Sotto la coltre del progresso si nascondono ancora troppe iniquità, discriminazioni, omertose violenze: quante donne nel mondo dovranno ancora essere immolate prima che cambi veramente qualche cosa? Partiamo da noi, donne, dalla stima reciproca, dalla capacità di riconoscere i pregi nelle altre, dall’unità e dalla collaborazione. Ringrazio e saluto con rispetto chi, anche se con idee politiche distanti dalle mie, alla difesa dei diritti delle donne, ha dedicato gran parte della sua vita (qui).