Nelle fiabe medioevali si narra di giovani pulzelle punte dall’arcolaio o che, a causa di diversi incantesimi, si addormentavano o trasformavano in esseri di vario tipo nell’attesa che un principe, possibilmente azzurro e di gradevole aspetto, per volontà o caso, riportasse le sorti della fanciulla al loro destino originale. Tutte frottole! Una giovane (e decisamente ben conservata) strega come me ricorda alla perfezione a cosa fossero dovute le magie e gli innamoramenti nella così definita “età di mezzo”: all’arte culinaria ed a tutti i suoi annessi e connessi. La cucina medioevale era molto diversa da quella dei vostri giorni e, forse anche per quello, tale periodo è giunto fino a voi con un fascino di fantasia e mistero, avvolto da un’aura di magia. Come in ogni incantesimo degno di nota, la perfezione si avvicina allontanando i preconcetti e fondendo diverse culture ed esperienze. Così, in un’epoca da molti erroneamente raccontata come buia, si cominciarono ad amalgamare tre grandi matrici della cultura gastronomica: quella romano-cristiana, la celtico-germanica e l’islamica. E si…strano potere dell’alchimia, che vince sui pregiudizi e sulle contrapposizioni politiche e militari! Fu così che a gusti tipici della cultura greca e romana, strettamente legate alla terra, all’ulivo, al frumento ed al pesce, si affiancarono quelli della selvaggina e delle graminacee fermentate in birra, ed in ultimo, ma non meno importanti, a quelli del riso, delle spezie d’Oriente, quali zafferano, pepe, cannella, zenzero, chiodi di garofano e degli agrumi. Un altro ingrediente particolare della cucina medioevale era l'acqua di rose che serviva per aromatizzare i cibi, in cucina, e per profumare le mani dei commensali, subito dopo. Dimenticare di offrirla era considerato un'offesa, come del resto rifiutarla. Ora, quando vi racconteranno che la bella addormentata nel bosco aveva subito un incantesimo e fu risvegliata dal bacio leggero di un azzurro principe, potrete sorridere, conoscendo la verità. La giovane pulzella, di umili origini, vagava da tempo alla ricerca di marito, senza rendersi conto della fortuna di non averlo ancora incontrato fin quando, gli stenti e la fame, ebbero la meglio, ed ella cadde svenuta in mezzo alle frasche. Fischiettando vagava pei boschi un ragazzetto che recava seco un dolce destinato al principe del feudo e preparato secondo la ricetta di un mio lontano parente, tale Maestro Martino. Questa preparazione meravigliosa, nota con il nome di “Torta bianca”, evocante purezza e ascetismo, otteneva grande successo soprattutto, raccontano le cronache mondane del tempo, presso il pubblico femminile. E l’amore a prima vista ci fu davvero, ma per la torta ed il suo sentore di rose e zenzero, così come ci fu il risveglio, ma per merito certo delle mille insidie caloriche del preparato. La giovane, colta da amore profondo, aprì una locanda nei pressi, specializzandosi naturalmente nel candido dolce, divenne economicamente indipendente, non si sposò, preferendo vivere con passione “affettuose amicizie” e visse per sempre felice e contenta.Piglia una libra et meza di bono cascio frescho, et taglialo menuto, et pistalo molto bene, et piglia dodici o quindici albume o bianchi d’ova, et macinali molto bene con questo cascio, agiongendovi meza libra di zuccharo, et meza oncia di zenzevero del più biancho che possi havere, similemente meza libra di strutto di porcho bello et biancho, o in loco di strutto altretanto botiro bono et frescho, item de lo lacte competentemente, quanto basti, che serà assai un terzo di bocchale. Poi farrai la pasta overo crosta in la padella, sottile come vole essere, et mectiraila a cocere dandoli il focho a bell’agio di sotto et di sopra; et farai che sia di sopra un pocho colorita per el caldo del focho; et quando ti pare cotta, cacciala fore de la padella, et di sopra vi metterai del zuccharo fino et di bona acqua rosata.”
Elucubrazione d alchimia, cucina e sensiby LaStrega momentaneamente infelice
Nelle fiabe medioevali si narra di giovani pulzelle punte dall’arcolaio o che, a causa di diversi incantesimi, si addormentavano o trasformavano in esseri di vario tipo nell’attesa che un principe, possibilmente azzurro e di gradevole aspetto, per volontà o caso, riportasse le sorti della fanciulla al loro destino originale. Tutte frottole! Una giovane (e decisamente ben conservata) strega come me ricorda alla perfezione a cosa fossero dovute le magie e gli innamoramenti nella così definita “età di mezzo”: all’arte culinaria ed a tutti i suoi annessi e connessi. La cucina medioevale era molto diversa da quella dei vostri giorni e, forse anche per quello, tale periodo è giunto fino a voi con un fascino di fantasia e mistero, avvolto da un’aura di magia. Come in ogni incantesimo degno di nota, la perfezione si avvicina allontanando i preconcetti e fondendo diverse culture ed esperienze. Così, in un’epoca da molti erroneamente raccontata come buia, si cominciarono ad amalgamare tre grandi matrici della cultura gastronomica: quella romano-cristiana, la celtico-germanica e l’islamica. E si…strano potere dell’alchimia, che vince sui pregiudizi e sulle contrapposizioni politiche e militari! Fu così che a gusti tipici della cultura greca e romana, strettamente legate alla terra, all’ulivo, al frumento ed al pesce, si affiancarono quelli della selvaggina e delle graminacee fermentate in birra, ed in ultimo, ma non meno importanti, a quelli del riso, delle spezie d’Oriente, quali zafferano, pepe, cannella, zenzero, chiodi di garofano e degli agrumi. Un altro ingrediente particolare della cucina medioevale era l'acqua di rose che serviva per aromatizzare i cibi, in cucina, e per profumare le mani dei commensali, subito dopo. Dimenticare di offrirla era considerato un'offesa, come del resto rifiutarla. Ora, quando vi racconteranno che la bella addormentata nel bosco aveva subito un incantesimo e fu risvegliata dal bacio leggero di un azzurro principe, potrete sorridere, conoscendo la verità. La giovane pulzella, di umili origini, vagava da tempo alla ricerca di marito, senza rendersi conto della fortuna di non averlo ancora incontrato fin quando, gli stenti e la fame, ebbero la meglio, ed ella cadde svenuta in mezzo alle frasche. Fischiettando vagava pei boschi un ragazzetto che recava seco un dolce destinato al principe del feudo e preparato secondo la ricetta di un mio lontano parente, tale Maestro Martino. Questa preparazione meravigliosa, nota con il nome di “Torta bianca”, evocante purezza e ascetismo, otteneva grande successo soprattutto, raccontano le cronache mondane del tempo, presso il pubblico femminile. E l’amore a prima vista ci fu davvero, ma per la torta ed il suo sentore di rose e zenzero, così come ci fu il risveglio, ma per merito certo delle mille insidie caloriche del preparato. La giovane, colta da amore profondo, aprì una locanda nei pressi, specializzandosi naturalmente nel candido dolce, divenne economicamente indipendente, non si sposò, preferendo vivere con passione “affettuose amicizie” e visse per sempre felice e contenta.Piglia una libra et meza di bono cascio frescho, et taglialo menuto, et pistalo molto bene, et piglia dodici o quindici albume o bianchi d’ova, et macinali molto bene con questo cascio, agiongendovi meza libra di zuccharo, et meza oncia di zenzevero del più biancho che possi havere, similemente meza libra di strutto di porcho bello et biancho, o in loco di strutto altretanto botiro bono et frescho, item de lo lacte competentemente, quanto basti, che serà assai un terzo di bocchale. Poi farrai la pasta overo crosta in la padella, sottile come vole essere, et mectiraila a cocere dandoli il focho a bell’agio di sotto et di sopra; et farai che sia di sopra un pocho colorita per el caldo del focho; et quando ti pare cotta, cacciala fore de la padella, et di sopra vi metterai del zuccharo fino et di bona acqua rosata.”