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Post n°42 pubblicato il 03 Settembre 2009 da abc57
DA «IO DONNA»/come potrebbe essere la Padania libera dal “giogo” dell'ITALIANO Parlare “furlan” è un fiume di sprechi ? Io donna è andata in Friuli, dove da dieci anni la parlata locale è riconosciuta dalla legge 482 che tutela le “minoranze linguistiche storiche”, ma dove negli ultimi tempi l’orgoglio delle radici ha virato verso un’escalation localista a suon di finanziamenti: tipo la traduzione di Mari Courage e i siei fîs di Bertolt Brecht, i 35mila euro per il software T9 per sms in friulano, o la proposta del presidente del Consiglio regionale Eduard Ballaman (leghista che non conosce il friulano) di sottotitolare il kolossal da dodici milioni di euro che Renzo Martinelli sta per realizzare sul beato Marco d’Aviano. Per compiere la trasformazione da lingua degli affetti a idioma da grande schermo, valorizzato e accudito da 4.102.000 euro di contributi (dato 2009) ci sono voluti gli sforzi congiunti di destra e di sinistra: la legge regionale del 1996 è targata Lega, ma è il centrosinistra a firmare il provvedimento nazionale del ’99 (governo D’Alema) e quello regionale con cui nel 2007 si impone un bilinguismo che la Corte Costituzionale ha bocciato pochi mesi fa. Al di là dei rovesci giuridici, si punta sparati alla promozione del friulano attraverso una serie di organi come l’Arlef, Agjenzie regjonâl pe lenghe furlane, l’Università di Udine, e la Filologica friulana. Un arsenale da blitzkrieg linguistica, che stenta però ad affermarsi sul campo: non è un caso che nelle vie friulanofone di Spilimbergo, in provincia di Pordenone, chiedendo dello sportello per traduzioni in “marilenghe” si ricevano solo risposte stupefatte: «Qui parliamo tutti italiano, di traduttori non abbiamo mai avuto bisogno». La tutela aumenta ma, secondo la provincia di Udine, «le ultime statistiche denunciano un calo preoccupante di locutori, soprattutto tra i giovani». E i paradossi si moltiplicano. La versione linguisticamente corretta del friulano - la cosiddetta koiné - è opera recente di un catalano, Xavier Lamuela; i corsi di friulano per dipendenti pubblici sono affollati di napoletani, calabresi o siciliani che difendono posti di lavoro a “rischio marilenghe”; tra gli oltre trentamila bambini che da settembre prenderanno lezione di friulano - scelto a Udine dal 64 per cento delle famiglie - non sono pochi i figli di marocchini, romeni, albanesi. «La conoscenza del friulano aiuta l’integrazione» garantisce Alessandra Burelli, responsabile del master “Insegnare in lingua friulana”. Torniamo a scuola, perché, dopo i bambini, il friulano prova a conquistare anche i ragazzi. All’ufficio scolastico regionale ci indicano tre istituti di Udine dove «in marilenghe si fa lezione di filosofia, meccanica e matematica». Seguiamo il consiglio, consultiamo il sito del liceo scientifico Niccolò Copernico, clicchiamo sulle dispense di Eneide di Virgjili e il poeme epic e su quelle di Logjiche e intelligjence artificial. È un trionfo: da Virgilio a Blade Runner in friulano si può parlare (e insegnare) di tutto. Poi però sentiamo il preside Andrea Carletti che ci riporta con i piedi per terra: «Facciamo molte lezioni in lingua non italiana, ma quasi tutte in inglese. A quelle di friulano partecipa solo una ventina di ragazzi su 1.300». Torna lo scollamento tra burocrazia e realtà. Come all’istituto Stringher, dove secondo la preside Enrica Mazzuchin «il friulano va bene, ma con 1.700 allievi di 37 etnie diverse le priorità sono altre». Almeno linguisticamente, il paese reale sembra avere più buon senso del paese legale. Mentre nelle scuole di Udine ci si sfila dalle polemiche su lingua e dialetto, nei palazzi della politica di Trieste c’è chi prepara la controffensiva giuliana all’incontinenza friulana. Perché di dialetti in Regione ce n’è più d’uno e Piero Camber, presidente della commissione cultura del Consiglio regionale, propone una legge che ne elenca ben nove, dal triestino al bisiaco al gradese al maranese, il muggesano, il liventino, l’istriano, il dalmata e il veneto goriziano- pordenonese-udinese. Tutti a reclamare protezione, e a spingere per diventare libri, spettacoli, ore di scuola, nella lunga marcia verso lo status di lingua vera e propria. L’impressione è che di dialetto in dialetto e di lingua in lingua qui si sia aperta una falla che porta dritto a Babele. È davvero il caso di spalancare i boccaporti anche in Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria? Giulia Calligaro 03 settembre 2009Raffaele Oriani riporto l'articolo fedelmente per dimostrare a chi vuole leggerlo la limitatezze e l'estraneità culturale di chi la scrive, e mi scuso con loro, ma qui in Friuli le cose sono un po diverse, molto diverse. bassi enzo Udin - Friul |
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