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Rubrica 365: “Sotto un candido mantello”, “Aiko” e “Il momento esatto”

Ed eccoci finalmente alla Rubrica 365, piccolo appuntamento con l'antologia "365 Racconti sulla Fine del Mondo", in cui parlerò dei tre racconti del mese in corso che mi sono piaciuti di più. E per il mese di maggio la scelta è stata tutt'altro che facile. 


 

 

Molti sono i racconti meritevoli, scritti bene, originali, divertenti... Alla fine ho deciso di commentare due racconti di maggio, quelli che mi hanno fatto emozionare di più e hanno lasciato un segno.
In questo post, tuttavia, parlerò di 3 racconti invece che di 2, perché a grande richiesta mi è stato consigliato un altro racconto da commentare: "Sotto un candido mantello" (2 febbraio), a cui do la precedenza. In realtà tra i racconti consigliati ce sono altri 3, che però commenterò nel mese di giugno, forse con un post appositamente dedicato a loro.
Ma partiamo subito con questa seconda tornata di racconti!

 

 

"Sotto un candido mantello" è un racconto scritto da Simonetta Brambilla, pubblicato alla data del 2 febbraio dell'antologia.
Il titolo mi è piaciuto subito e mi ha incuriosita, e il racconto non ha deluso le mie aspettative.
La storia inizia con l'immagine della casa del protagonista e della sua compagna di nome Fede, una casa che dà l'idea di essere un nido accogliente, protettivo e caldo, grazie al fuoco che ancora resiste nel camino. Un fuoco che deve continuare a vivere, non si deve spegnere.
Perché? Perché il sole non si sa che fine abbia fatto. Perché un mantello bianco e gelido ha ricoperto la Terra, le case, le strade, ogni cosa.
Qualche riga dopo e il protagonista ci conduce, passo dopo passo, in una specie di labirinto ghiacciato, fatto di tunnel, cunicoli, gallerie scavati grazie alle fiammate di un simpatico saldatore a gas.
Attorno, sotto i piedi, sopra gli occhi solo ghiaccio e neve.
A un tratto...
"Una crepa in alto rivela una striscia di cielo. Nevica".
E la luce? Il sole?
Sembra essere scomparso. Fa niente, nessuno sconforto. C'è qualcosa di più importante prima di farsi inghiottire da questo inferno di ghiaccio e angoscia: andare a caccia di scorte alimentari e tornare a casa, da Fede, nella loro casa, prima della fine.
Un pezzo di insegna, una flebile speranza, la fiammata del saldatore a gas e una parete si scioglie, mostrando il fantasma di un market. Dentro poche persone, i segni del saccheggio di chi è passato, la voce di una radio che vomita notizie catastrofiche, come era glaciale, fine.
Fa niente, nessuno sconforto. Nella desolazione ghiacciata, anche una misera scatoletta di tonno da condividere con la propria compagna può strappare un sorriso. E tornare da lei, sorridente, sorridenti, insieme, anche se... rassegnati alla fine del Mondo.
L'autrice di questo racconto è riuscita a farmi camminare nei tunnel di ghiaccio e neve, proprio come il protagonista. Per un attimo ho sentito tepore nella vecchia casa riscaldata dal camino e subito dopo freddo tra "le bianchissime pareti dei sentieri".
Ho sorriso all'immagine del "saldatore a gas, imbracato come fosse un lanciafiamme", e mi è sembrato di toccare con mano la desolazione regnante nel GIGI-MARKET.
Ho sentito la voce metallica della radio a batterie e mi sono chiesta anch'io: cos'è successo al sole?
Il sole può essere stato inghiottito da questa era glaciale, ma una luce di speranza rimane sempre, come quella del protagonista e della sua compagna che si ritrovano e sorridono, anche se rassegnati.

 


Tra i racconti del mese di maggio, ho scelto di parlare di "Aiko", scritto da Tea Treves e pubblicato alla data del 4 maggio.
Il racconto è breve, ma denso. Frasi spesso corte, a effetto, che arrivano dritto al cuore.
Il tema di fondo è sempre lo stesso che accomuna gli altri racconti, la fine del mondo, ma in "Aiko" l'interpretazione è diversa.
Il mondo, in alcuni casi, è già finito. Una parte di mondo, ma in realtà è tutto.
Tutto morto, distrutto dalla malvagità umana, annientato da un attimo, dalla follia, raso al suolo da... una bomba.
"Aiko" vuole essere un chiaro riferimento a quel terribile 6 agosto del 1945. A Hiroshima. E quel terribile scempio lo si rivive attraverso gli occhi e le sensazioni della protagonista.
Un racconto molto toccante che non si dimentica, proprio come quel giorno.
La luce, forte e che fa male su tutto il corpo, poi un silenzio irreale.
Il quadro che ci si ritrova dinanzi fa contrarre lo stomaco: intrecci di arti sparsi qua e là, pezzi di corpo liquefatti.
Corpi umani? Sì, forse... "lacerti di stoffa e pezzi di scarpe" lo farebbero pensare. Per il resto, tutto appare come una poltiglia indistinguibile.
Fa male l'immagine di Aiko che solleva una mano, a sfiorarsi la testa calva, perché quel gesto gliel'ho visto fare anche se non è descritto nel racconto.
I capelli? Bruciati. Bruciate le braccia, bruciato il cuore che non è più in grado di provare nulla.
Bruciati i suoni e le parole, le sue come quelle dei sopravvissuti.
"Le parole erano state risucchiate dallo scoppio della bomba. Dal silenzio infernale che ne seguì prima che arrivasse l'onda".
La bomba, il calore infernale.
E dire che quando l'aveva vista, quella "luce forte, dolorosa e immensa", con l'ingenuità dei bambini, Aiko aveva creduto per un attimo di essere stata così fortunata da ritrovarsi nel sole. No, purtroppo nessuna fortuna del genere, anche se fortunata in un certo senso, forse, Aiko lo è rispetto ai "bambini in pezzi coagulati con le madri".
E mentre cerca di trovare la sua casa, in mezzo a corpi e macerie, raggiunge altre persone, tutti muti, gli sguardi vitrei e fissi al cielo.
Si guardano, non si parlano e non si vedono per via del "pudore dell'orrore".
Tutto è finito.
Non c'è speranza, nessun futuro, nessuna parvenza di vita.
Lì, a Hiroshima, il mondo si è spento del tutto. Finito.

 

 

Il secondo racconto di maggio, che ho deciso di commentare, è "Il momento esatto" di Fabrizio Fangareggi, che trovate pubblicato al giorno 11 maggio.
Anche questo racconto mi ha saputo emozionare, in modi diversi all'inizio e alla fine della storia.
Nella prima parte, "Il momento esatto" dipinge cinque persone diverse, non legate tra loro, geograficamente lontane, di differente nazionalità, sesso ed età, eppure così vicine e uguali nella sorte che sta per colpirle: la fine, di tutto.
In questa parte del racconto, l'autore fotografa gli attimi di vita di queste persone prima della loro scomparsa. La fotografia è chiara e precisa. I personaggi sono ritratti nel vivo delle loro azioni ed emozioni.
Ci sono Loraine che saluta il figlio in procinto di andare a scuola, la povera Parminder che piange disperata perché è promessa in sposa a uno sconosciuto e l'immagine commovente di Xiao-wa, che per la prima volta assapora l'emozione di leggere un libro di fiabe, purtroppo sarà anche l'ultima. E Ingrid, una donna affossata dal dolore che nutre la sola speranza di raggiungere il marito defunto.
Infine c'è Enzo, il vero protagonista della storia, l'unico ad avere la certezza che tutto e tutti non avranno più un seguito.
"Un amaro sorriso gli deforma le labbra" dopo aver fissato sul monitor data e ora del giorno: 11 maggio 2012, ore 11:11.
"Ora sa che non c'è più tempo".
Tempo passato a studiare, a cercare di capire, capo chino su dati e dati scientifici, dubbi, domande, la sua teoria del Bing Crash, ossia la contrazione dell'universo, per arrivare poi a una risposta inequivocabile: gli anni che ha dedicato alla sua ricerca lo hanno condotto all'angoscia.
Sì, perché mentre gli altri vivono all'oscuro della fine che sta per abbattersi sul Mondo, lui sa di avere davanti pochi minuti di vita. Lui lo sa.
"Questa consapevolezza gli provoca un tale senso d'angoscia che sente le viscere liquefarsi".
Allora cuore e mente gli si illuminano al pensiero di sua moglie. Le deve parlare, un'ultima volta, ma è combattuto. Non sa se dirle la verità sulla fine del Mondo o tacere. Decide di chiamarle.
E a questo punto la sorta si fa ancora più beffarda.
Dall'altro capo del telefono risponde una voce per nulla familiare... maschile. Sua moglie sembra essere in dolce compagnia?
L'ansia lo divora. Una nuova consapevolezza si affaccia negli ultimi istanti della sua vita, peggiore dell'aver scoperto il momento preciso della fine del Mondo.
Beffarda la sorte, vero?
Sì, e a svelarcelo sono le ultimissime battute del racconto. Un piccolo errore, un tasto sbagliato del telefono a comporre un altro numero, una certezza sbagliata lo hanno portato alla vera angoscia.
E per accumulare questa angoscia non sono serviti anni di studi, ricerche, dati. Per questo tipo di angoscia basta un attimo, seppure quello sbagliato.
E mi piace concludere così.
Un finale che regala un amaro sorriso, proprio come quello del protagonista.


Come ho scritto prima, di racconti che mi sono piaciuti ce ne sono diversi. Ne cito giusto alcuni:

"Finalmente" di Fabio Lastrucci (13 maggio) con il suo Arthur, protagonista alato dagli occhi tondi e lucidi. Dalla sua voliera assapora la fine del Mondo.
"Lui per il nulla tifava... D'altronde, un uccello del malaugurio non poteva pensarla altrimenti".
E finalmente libero dalla prigionia in cui era stato rinchiuso, "con delle vigorose remate prese quota... Il futuro", quello vero, "lo attendeva". 

 "Luce" di Giulia Dal Mas (16 maggio), in cui prendono vita la protagonista Luz col suo dono della preveggenza, il popolo Maya e Kiuic, un posto "incastonato tra le colline e protetto dalla foresta... Un luogo incantato".
Questo racconto mi ha lasciato qualcosa di magico.

 "Jagged little pill" di Aislinn (23 maggio) dove troviamo un'Eva molto adirata per colpa di uno stupido maschio fedifrago. Lei, la Dea Madre, "degradata in forma umana" per lui, non può che attuare la sua vendetta.
"Strappi come ferite si aprivano per la stanza". "Le stelle rimaste si spensero in un buio costellato di urla".
È la fine del Mondo? Lo scoprirete solo leggendo :-)

 

Vi saluto e vi aspetto al prossimo appuntamento con Rubrica 365!

 
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