FATAMATTA

Sera di capodanno ( I miei racconti)


I l ragazzo stava immobile, appoggiato allo scoglio,la testa incassata tra le spalle, ombra nera confusa nel nero della nottte,lo sguardo rivolto verso l'oscurità dell'orizzonte. La presenza del mare si avvertiva solo quando l'onda incontrava gli scogli, allora un biancore di spuma delineava il confine tra la terra e l'acqua. Dall'alto spioveva fioca la luce di un lampione, unico legame tra la spiaggia persa nel buio, e la realtà cittadina. Il ragazzo quel giorno aveva camminato a lungo, le mani sprofondate nelle tasche, a difesa dal freddo pungente. All'improvviso gli era preso un forte desiderio di sentire l'odore del mare e si era spinto fino alla spiaggia. In alto,sulla strada che costeggiava il mare, le auto scorrevano veloci sull'asfalto, per tutti era d'obbligo arrivare puntuali alle feste e alle cene per festeggiare l'ultimo dell'anno. Il ragazzo,intanto,ricordava quando da bambino, in quello stesso posto, suo padre gli insegnava i primi rudimenti della pesca. Risentiva l'emozione di stare accanto a quell'omone mite, silenzioso, ma che con estrema pazienza guidava le sue dita inesperte a legare il filo all'amo.Riviveva la gioia infantile, che aveva provato la prima volta che un piccolo pesce guizzante, era rimasto catturato dalla sua lenza, ma subito tolto dall'amo, dalla grossa mano di suo padre, e con estrema delicatezza ridato al mare. Ricordi di giorni dove tutto era fermento di crescita, di speranza di conquista di quel mondo che allora gli appariva meraviglioso. Improvvisamente le luci del gran pavese di un traghetto, che stava uscendo dal porto, illuminarono un tratto di quel mare, fino allora desolatamente vuoto. Il ragazzo con lentezza si accese una sigaretta. Nell'aria gelida le luci della nave già lontana, brillavano come pallide stelle. Egli andava con il ricordo, ai tempi in cui, quello stesso mare era punteggiato delle luci,di navi alla fonda,in attesa di entrare nel porto per lo scarico di tonnellate di merci. Tante navi e tanto lavoro per gli uomini. Era il lavoro di suo padre, scaricare quelle merci,sudore e fatica, senza mai un lamento, onesto e fiero del benessere che riusciva ad assicurare alla famiglia. Ormai tutto era cambiato:in rada non cera nessuna nave ad aspettare,i container venivano scaricati in fretta, da pochi uomini con mezzi meccanici. Le macchine si erano mangiate il lavoro degli uomini. Dentro la tasca del giubbotto la mano del ragazzo stringeva un foglio. Poche parole di circostanza per una fredda sentenza:licenziato! Fredda come una lama di coltello, impietosa e crudele. Mentre rabbrividiva, al ragazzo venne in mente una vecchia canzone che suo padre cantava spesso. Parlava di un uomo in frac e la sola parola che ricordava era "Adieu,adieu" A lui non era mai piaciuta. Gli dava un senso di tristezza, percepiva in quelle parole il dolore, l'amarezza profonda di un uomo deluso dalla vita. Ora improvvisamente sentiva una gran voglia di piangere, di urlare al mondo la sua rabbia. L'ingiustizia subita, la consapevolezza che ora la sua vita sarebbe diventata precaria, escluso, fra mille esclusi,lo facevano sentire impotente, un granello di sabbia trascinato dall'andare delle onde. Non era più padrone del suo destino. Mentre nell'aria echeggiavano i primi scoppi di mortaretti che annunciavano la fine dell'anno,strinse forte il foglio nel pugno, poi si alzò e lentamente passo dopo passo, si allontanò nel buio. Il mare indifferente, continuava il suo monotono sciabordio. Racconto tratto dal mio libro"Lucia e il ferragosto"  Riproduzione riservata ©