Feritóia

- Ambasce -


“Notte, mamma”“Notte, tesoro mio, dormi bene, aspetta, ti rimbocco le coperte”.Ed io mi sentivo al sicuro nel tepore dell’abbraccio materno e nelle mie lenzuola di flanella, abitudine di una Sicilia antica.Non sapevo che quella notte, e per molte altre notti a venire, le lenzuola di flanella avrebbero rappresentato l’oggetto dei miei incubisogni più ricorrenti.Tante lenzuola ben piegate ed impilate che qualcuno – a volte la mia mamma, a volte un estraneo – mi chiede di tenere e di non farle cadere.Ed in questo atto i muscoli delle braccia si tendono fino a creare spasmi, la fronte si imperla di sudore ed io sono consapevole che non riuscirò a sostenere un fardello sì peso.Incapace di proferir rimostranza alcuna, non mi lamento perché non ne ho la forza e forse il coraggio.Apro la bocca per urlare ma mille spilli entrano in gola, uno sull’altro, per togliermi il fiato e per tutto il tempo possibile del mondo mi tengo ferma sulle gambe, cedendo ad un’angoscia che si fa ombra.Non riesco a sopportare tutto questo peso e mentre penso a come liberarmene la pila si fa più alta e pesante.Nessuno può esigere da questa bambina una tale forza, nessuno (tranne me)E, come ogni volta, mi sveglio in preda al panico, di botto mi metto in piedi per dimostrare alla realtà di appartenervi, finalmente, e di aver lasciato al fumo degli spettri il mio incubo.Riesco a riavermi solo dopo qualche millenniosecondo, eppure la scia della cometa cattiva è visibile agli occhi della mia mente per tutta la notte.Per tutta la mattina.Dall’incubo, il passo ai risvegli notturni impietosi e funesti è breve.A tutt’oggi sono davvero poche le notti in cui riesco a dormire serenamente, secondo quello che una coscienza pulita dovrebbe dettare.E’ chiaro che la mia coscienza impone i suoi comandamenti.E  la mia mamma non sa perché odio piegare le lenzuola.