OSTERIA..

La sconfitta


 Ha avuto una gran fortuna. M’avesse cercato tre o quattro settimane fa sarebbe stato tutto diverso. Di certo da un mese a sta parte è cambiato tutto, e lei ha avuto una gran fortuna a beccare il periodo esatto. Non ha fatto i conti, però, con la mia bastardaggine e con la mia rabbia, di certo non l’ho presa bene quella notizia, anche
se ero abbastanza preparato. Rapito da due occhietti furbi, cedetti alla sua decisione, accettandola tranquillamente, anche se la mandai a quel paese perché di bene gliene volevo. Poi si fece sentire due mesi più tardi, spiegandomi che col nuovo tizio non andava molto bene. Mi ha dimostrato spesso segni di debolezza, ho cercato anche con le cattive di tirare fuori il meglio di lei anche se la sera, prima di andare a dormire, non guardavo più le sue foto. Ah, che sacrifici per guardare silenzioso quello sguardo, uno sguardo a lei diverso, parecchio diverso. Data fondamentale 27 luglio, data spartiacque: se mentre la ricciolina chiudeva definitivamente la mia porta sfottendomi tra gli amici, io passavo una delle serate più belle della mia vita. La matita ricalcava il suo ritratto con la delicatezza di un artista, con la decisione di chi è sicuro di ciò che vuole, con una contentezza mai avuta: con quello sguardo avevamo finito di allenarci, era giunto il momento di scendere in campo. Fu una grande sorpresa per me, presi di sorpresa perfino la ricciolina, incredula davanti il mio tirare diritto, mentre lei era all’oscuro di tutto. Avrei preferito il gioco si svolgesse diversamente, il doppio nel tennis non si può giocare ad una mano sola: la responsabilità addossata su di me, mentre quello sguardo assisteva quasi passivamente. Non ho mai rimproverato questo comportamento, semplicemente andava accettato. Ma alla fine non si può pretendere di vincere la partita, ed io lo capì subito, perplesso del suo gioco. Andai avanti, non sapete quante volte ho buttato quella racchetta chiedendomi il perché dei suoi comportamenti. Ovviamente, il suo gioco ha condizionato il mio: non mi sono potuto esprimere al meglio, come quando invece ho giocato con lei. La sconfitta è arrivata inesorabile, sono andato via quasi come non fosse successo niente: non ho più guardato il suo sguardo, non ho sentito il peso della borsa sulle spalle, non ho sentito il peso della rottura, era una cosa normalissima dato il gioco espresso nel corso del match. Lei è tornata quando la partita è finita, ma ha sbagliato di grosso. Assurdo quanto lei mi ha detto, assurdo il modo, assurda la tempistica: lei è proprio fuori testa. Ho sbagliato con lei, ho sbagliato con la ricciolina, ho sbagliato a giocare quella partita. O forse no. Forse il mio sogno sarebbe quello di rigiocarla, ma col suo sguardo di lato al mio: per giocare bene ho bisogno di non giocare da solo, ho bisogno che il suo sguardo mi cerchi almeno la metà delle volte che lo cerco io. Ovviamente non alzerò il telefono per comunicarlo, quanto ho potuto fare è andato oltre le mie capacità. E quando quello sguardo mi ha cercato solo una volta a fronte delle cento mie, allora è logico che la partita finisce prima ancora di cominciare.Alessandro Marcianò, autore del blog "Osteria... del vecchio pazzo"