OSTERIA..

Il treno


Mi avvertirono prima del via: “Vedi che questa è una tappa difficile, devi avere pazienza e dosare le forze”. Mi misi l’anima in pace, parlai tra me e me e mi chiesi se veramente volevo vincere la corsa. Occhi aperti sin dal via, su una bicicletta leggerissima ma che mi portava velocità elevate. Ho imparato a conoscere e ad
apprezzare la corsa sin da subito, tenendo a bada la mia voglia esplosiva di andare subito in fuga. Andare in fuga dalle prime battute è un suicidio, lo sanno bene gli appassionati di ciclismo, e così aspettai. Aspettai, aspettai, non avevo fretta. Un primo gruppetto si staccò rispetto al nostro, era lì che iniziava davvero la corsa. La mia era davvero una bella squadra e, inaspettatamente, mi ritrovai compagni che lottavano per me. Mi tenevano in testa facendomi prendere poco vento, mi riparavano e mi accompagnavano in tratti importanti della fatica. Dopo diversi tratti difficili, la gara arrivava a metà: io e la mia squadra la superammo con tranquillità, ma la corsa oramai entrava nel vivo. Qualcuno era già stanco, altri m’incitavano in continuazione. Avevo la gamba giusta, avrei potuto fare davvero grandi cose, ma non in gruppo, dovevo scattare e ridurre il gruppetto. E così, a mano a mano che i chilometri passavano,nasceva in me l’esigenza di scattare, di partire in fuga, una fuga verso la vittoria. Mi voltai verso un compagno: “Vuoi partire con me?”, rispose di si, però mi fece capire non subito. Dopo diversi chilometri chiesi di nuovo: “Vuoi partire con me?”, rispose nuovamente si, ma era strano. “Cazzo”, pensai, “che significato ha? Vuole partire ma rimanda sempre”. “Partiamo adesso”, gli gridai, “Sà, forse è meglio di no, scusami”. “Vaff..”, risposi, e partì. Dovevo partire per giocarmi le mie possibilità, dovevo partire però non da solo. “Oh ma ce n’è gente strana”, pensai. Ero nero di rabbia, le gambe mi giravano come non mai, spinte da una voglia di liberarmi da quella condizione. Poi, durante la corsa, venni a sapere che quel compagno s’incazzò per il mio comportamento. Iniziai a ridere a crepapelle, mò esco pure che la colpa è mia. A me interessa avere persone a fianco che sappiano tenermi il ritmo, avere persone che sappiano reggere la mia velocità. So che non è facile, ma meglio non correre, lasciando la bici a riposo, che poi fare tutto da solo. Io so di essere un treno, un treno che una volta partito non si ferma. E quindi, se qualcuno perde la mia ruota, deve prima raggiungermi e poi può comunicare con me. Non ha senso che sto ad aspettare fino al traguardo, la corsa va vissuta momento per momento, ed è una sola.Alessandro Marcianò, autore del blog "Osteria... del vecchio pazzo"