OSTERIA..

Quando una sconfitta può trasformarsi in vittoria. Il saluto finale e il messaggio nascosto


 Servirebbe fare una sola riflessione. Anzi due. Due riflessioni, per quella che può essere l’ultima pagina di quest’avventura, della mia vita raccontata sul blog. L’aspetto politico è stato trascurato in questi due anni, questo blog è nato per fare politica, e dal prossimo post si tornerà a fare solo politica. Si chiude, così, un ciclo, un ciclo che mi ha accompagnato per un anno e mezzo quasi due, che ha visto esporre le mie idee su tanti aspetti della vita. Post lungo, quindi, ma farò in modo da essere me stesso, per l’ultima volta, al di fuori della politica. Quando una sconfitta deve bruciare? Immaginate che ciò che vado a scrivere lo stia pensando durante una passeggiata sulla spiaggia, solo, mani nelle sacchette, col rumore delle onde di sottofondo e nessuno a disturbarmi. Sono questi i momenti che mi piacciono di più, i momenti dove mi tuffo nelle mie riflessioni, dove cerco di capire dove e cosa ho
sbagliato, dove e cosa ho fatto correttamente. Una sconfitta deve bruciare quando hai fatto di tutto affinché questa arrivasse. Altrimenti, se hai dato tutto te stesso, amen, hai vinto ugualmente, perché hai fatto di tutto per superare i tuoi limiti, e già questa è una vittoria. Aver lottato, aver combattuto, è da grandi. Ed io ce l’ho messa davvero tutta, mi sono spremuto come un limone, fino a cercare quella goccia che m’illudesse nella speranza. Mò non ne ho più. Stremato, alzo bandiera bianca, ma forse è meglio così. Effettivamente mi ero studiato anche questo per farmi conoscere, pazienza: già, anche questo. Che vuol dire? Apro una piccola parentesi, odio la letteratura italiana. Ma la odio di un profondo schifoso. Perché? Perché è roba da presuntuosi, da illusi. Non si può pretendere di capire una poesia di Leopardi o di chi altro se non si è stati Leopardi o Caio o Sempronio. I miei post, “10 minuti, tempo di un caffè”, avevano quasi tutti un messaggio nascosto. E nessuno di voi, neanche uno, ha mai capito qualcosa. Messaggio nascosto, ma non tanto, poiché un messaggio veniva trasmesso comunque. Dei due, chi leggeva ne capiva uno solo, detto in parole povere. Sfido io, se un domani qualcuno inserirà un mio post in un libro d’italiano cercando di spiegarlo, sarebbe più di un’offesa, sarebbe una ladroneria, un appropriarsi di ciò che non è suo.Ad esempio, se io vi parlo di un calciatore, sempre infortunato, che prega affinché la carriera vada bene, forse vorrei interpretare la frase proprio così: il calciatore sono io, con “sempre infortunato” vorrei esprimere la sfortuna con le ragazze, e poi che prega affinché la carriera vada bene sta a significare che vada bene con la ragazza che sto inseguendo. Una bella percentuale delle volte, quello che ho scritto andava decifrato. E così è stato normale aver perso credibilità nel blog, visite e/o altro. Ho intercettato altro pubblico, che spero resti qui a commentare le varie vicende politiche. E se devo per forza completare la frase del calciatore, vi dico che forse è meglio sia andata proprio così. Perché ho sempre pregato affinché andasse tutto bene, fino a qualche giorno fa, quando ho chiesto un segnale definitivo, o dentro o fuori. E’ fuori, e per me non resta che accettare il verdetto. Questo è un messaggio che voglio dare a chi della Fede ne fa uso arbitrario: non sempre si può vincere, non sempre si può ottenere tutto ciò che si vuole. Essere grandi significa accettare anche la sconfitta, ed avere forza per affrontarla. Così come i momenti bui, ci sono per tutti. Solo che c’è chi se la prende col Signore per il male arrivato, c’è chi fa di quel male un punto di partenza, un punto di forza, una croce da portare. Troppo bello farla portare solo a Gesù Cristo quella croce, noi ci siamo abituati troppo male, croci non ne vogliamo portare. Chi ha le palle, prenda la sua croce e inizi a tacchiare. Essere giù per una sconfitta, oppure rialzarsi subito stupendo chi ti ha battuto: cosa sorprende di più? Rialzarsi. Perché rialzarsi è da grandi, essere giù è da deboli. E noi siamo abituati ad essere deboli, a scaricare colpe, a puntare il dito, e a piangerci addosso. No, non è questo il mio modo di pensare. Io ho lottato un anno e mezzo, e ne vado fiero. Ho vinto, anche se non ho ottenuto ciò che volevo. Ho vinto, perché ho provato in tutti i modi ad ottenere ciò che volevo. Ho vinto, perché non punto indici, ho vinto perché se ne dovessi trovare di colpe non ne scarico.E così esco dal campo, mentre gli altri stanno continuando a giocare. Esco dal campo a testa bassa, la alzo solo un attimo, per raccogliere quei pochi applausi, ma orgoglioso di me stesso. Non siedo in panchina, prima tiro dritto negli spogliatoi, poi fuori dallo stadio. Lì dentro stanno continuando a giocare, io zoppico, ma sono già fuori dallo stadio. Lento lento, passo dopo passo. La mia carriera qui è finita, da domani proverò a trovare una nuova squadra, nella speranza che la nuova carriera sia più felice di tutte le precedenti.Alessandro Marcianò, autore del blog "Osteria... del vecchio pazzo"