OSTERIA..

L'espulsione


“No, che sta facendo? No dai, no ti prego no..”, pensava nella sua testa mentre mettevo mano nel taschino. “Eh no dai, cioè non è possibile! Signor arbitro!”. La mia espressione, da giacchetta nera, era di quelle sconsolate. Non volevo tirarlo fuori quel cartellino, ma il regolamento parla chiaro, e dovevo applicarlo. Perché non potevo
graziarlo? Beh, avete presente un bambino che sbaglia? Nessuno vuole punirlo, metterlo in castigo, rimproverarlo o, quando serve, dare na bella sculacciata, ma a volte serve una lezione per far capire l’errore. La prima volta si parla chiaro, la seconda anche, la terza s’inizia a perdere la pazienza, perché ti accorgi che, molto probabilmente, hai parlato col muro, la quarta tiri fuori il cartellino. “No dai, non lo faccio più, giuro. Chiedo scusa, non mi può buttare fuori..”. Cerca di restare in campo l’attaccante, o forse non più di tanto. Quella reazione vuole essere più un modo di fare, atto quasi ad autogiustificarsi, della serie ho sbagliato, sì, ma per stavolta l’ho fatta franca. Ma torniamo indietro, torniamo indietro e rivediamo tutto il film della partita, quante volte l’hai fatta franca? Eh, diverse, e diverse volte ho tenuto il cartellino nel taschino. Ma, da qualche minuto a sta parte, non aspetto altro che un tuo errore, e ne hai fatti di diversi: al primo mi son messo a ridere, perché oramai avevo capito che il cartellino lo potevo sventolare da un momento all’altro. Forse aspettavo il fallo più grave. Ancora lo tengo dentro, ma vedo che ti ribelli. Diventa una guerra di nervi, con me a ridacchiare mentre penso: “Ma guarda che gran faccia tosta ca tieni”, e tu lì, speranzoso dell’ennesima grazia. Cioè, tu vuoi la botte piena e la moglie ubriaca. E non è una domanda, tu vuoi proprio tutto, vuoi comandare le regole, andando proprio contro e nel peggiore dei modi. Ma se tengo te in campo sai che succede? Succede che primo ne risente il gioco, perché quando un giocatore non gioca secondo le regole lo svolgimento ne risente, succede che secondo anche l’avversario ne paga, perché lo ferisci momento dopo momento, e terzo mi prendi per i fondelli, di certo non curante del ruolo che occupo. E mentre tu continui a protestare, eccolo il cartellino: si alza al cielo il rosso che vuol dire fine, espulsione, che vuol dire addio, un rosso che non lascia scampo, dal quale non si può tornare più indietro. Un rosso che, però, vuol dire nuova vita, vuol dire rinascita, vuol dire ricominciare. Ricominciare senza giocatori scorretti vuol dire avere i presupposti per vedere bel gioco, vuol dire avere i presupposti affinché altri giocatori possano esprimersi al meglio e giocare con serenità. Significa anche tornare a respirare aria pulita, nuova, cercare gente che possa avere le qualità e la capacità d’insegnarti qualcosa. Se l’espulso la prende male fatti suoi, deve pensare a cosa m’ha indotto a tirare fuori il cartellino. Il motivo a volte è ben più grave dell’esperienza in campo, così come nella vita, è più grave del numero degli anni trascorsi fianco a fianco con un presunto amico o amica. Credo si debba dimostrare sempre la propria purezza, semplicità, senza avere timori. Dire le cose come stanno, senza che le debba scoprire l’arbitro di turno. Perché poi non si può criticare chi ha preso una decisione se tu non l’hai aiutato prima. E così, a volte il cartellino rosso viene esteso anche ad altri soggetti, chi protesta o chi prende una ferma decisione contro quella che dovrebbe essere la correttezza. In questo caso non ho che fare, devo seguire il regolamento. Il giudice sportivo poi sanzionerà l’espulso: non sappiamo quante giornate verranno date, ma forse quest’allontanamento servirà a capire tante cose, ambo le parti.Alessandro Marcianò, autore del blog "Osteria... del vecchio pazzo"