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« Messaggio #96Dedicato a Lady Aileen »

Post n°97 pubblicato il 27 Dicembre 2007 da feroce.saladino
 

Praia do Forte II

Risaliamo sul pullman. La guida spiega le cose e racconta alcune curiosità, ma in lingua portoghese e in spagnolo. Capisco poco e nulla.

Praia do Forte si presenta come un incantevole villaggio tropicale, una cittadella con boutiques, ristoranti, hotel, lussuose pousadas (pensioni), residence, strutture ricettive e di svago per una clientela benestante che circondano una zona della costa dove si trova un vecchio forte. All’interno di questa meravigliosa valva verde è racchiusa la preziosa perla: il centro sede del progetto Tamar. Si tratta di una stazione di ripopolamento dedicato allo studio della testuggine marina al fine di favorirne la riproduzione (La sigla che lo individua è ricavata appunto dai due termini: “Tartarughe-marine”). Questo rettile è infatti a rischio di estinzione – come tanti altri animali – per i soliti, drammatici problemi legati alla presenza dell’uomo: inquinamento, progressiva degradazione e depauperamento degli ambienti marini, riduzione degli habitat naturali costieri necessari alla tartaruga per la deposizione delle uova. Esistono 6 specie di testuggini marine, di cui 4 sono autoctone, cioè presenti nei mari del Brasile.

Prima di scendere dal pullman, l’ennesima sorpresa: il ragazzo ci chiede 8 R$ per il biglietto di accesso all’acquario di Praia do Forte… ma con quello che si spende per l’escursione, come minimo il biglietto dovrebbe essere compreso! Solito trucco: far sembrare conveniente il prezzo del viaggio e poi aggiungere a parte le spese “obbligate” ma non incluse. Il villaggio che attraversiamo è incantevole: ci sono bungalow in legno, insegne e vetrine a vivaci colori, negozi di articoli sportivi, artigianato, abbigliamento per turisti, sentieri sabbiosi e viottoli delimitati da aiuole fiorite, spazi verdi, vegetazione lussureggiante e palme.

Ci avviamo per la stradina che porta al Centro Tamar, in riva al mare, proprio di fronte ad una insenatura dove affiorano rocce di un colore dorato pallido, simili a groviera, scavate e consunte dall’azione delle onde che ha potuto creare tanti “catini” naturali, utilizzati dai turisti a mo’ di vasche da bagno o piscinette.

Pare che a noi turisti non “stanziali” sia proibito l’accesso in quel tratto di costa dove - segnalano i cartelli – ci sono i siti di ripopolamento e, in un determinato periodo dell’anno, possono arrivano le femmine per depositare le uova entro buche scavate nella sabbia.

Morro ci fa visitare il piccolo acquario a cielo aperto. Le vasche sono manufatti di cemento di forma allungata o arrotondata, come enormi peanuts, appoggiati a terra; attorno ad essi si snodano dei praticabili con ponticelli e percorsi per i visitatori che hanno modo, così, di osservare gli animali. Le vasche, tuttavia, mi sembrano un po’ anguste in rapporto alle dimensioni delle tartarughe di mare, che possono anche superare il metro.

Altri contenitori simili ospitano pesci del litorale. Una grossa cernia se ne sta seminascosta e impassibile nella sua tana subacquea; in una vasca ci sono le razze che affiorano e si agitano quasi per indurre i turisti a dar loro del cibo, un po’ come fanno gli umani del posto per impietosire i loro simili, nelle spiagge affollate e nel centro storico. In un’altra vasca stanno ammassati e buoni buoni 4 o 5 squali appartenenti ad una specie di piccole dimensioni che non supera i 4 metri di lunghezza in natura.

Terminata la visita all’acquario, siamo in libertà per almeno un’ora. I viaggiatori si disperdono: chi al bar, chi a prendere il sole, chi in un ristorante. Io finisco nell’immancabile negozio per turisti, dove il progetto Tamar è il leitmotiv riprodotto in mille varianti su ogni oggetto e articolo: magliette, cinture, capi di abbigliamento, agendine, calendari, gadget, ecc. Una panca, all’interno della boutique offre una splendida vista della laguna, attraverso una grande vetrata. Mi siedo per ammirare il panorama, ma anche per sbirciare i movimenti della ragazza che aveva turbato il mio viaggio da quando era salita al Catussaba Resort. Il suo compagno la precede e si ferma su uno degli scogli affioranti della piccola insenatura. Lei lo raggiunge, titubante e flessuosa, appoggiando con cautela il delicato piedino sulle rocce piatte ma viscide: si muove con amorevole circospezione come una pecorella sul ciglio di una scarpata. Si è tolta il copricostume nero e sfoggia un bikini dello stesso colore. Il corpo è snello e slanciato con le curve al punto giusto. Unico neo è il sedere, un attimino più abbondante di quanto ci si aspetterebbe, ma è un difetto di nessuna importanza che, anzi, la rende più “umana”, di una bellezza un po’ meno inarrivabile e stratosferica di quanto avessi temuto… avercele ragazze così “imperfette” per le mani!...  Anche il suo lui, ora che ha trovato un ampio scoglio dove stendersi e si è messo in costume, mostra un bel corpo asciutto ma non da modello. Lei si immerge in una delle vasche naturali lambite dalle placide onde di quel angolo di paradiso.

Distolgo lo sguardo. È l’ultima volta che la vedo: la coppia aveva programmato di rimanere a Praia do Forte e non risalirà sul pullman.

La comitiva si riforma dopo la sosta e si riparte. Sulla via del ritorno, la guida ci illustra la prossima tappa: la spiaggia di Guarajube, dove è prevista una sosta più lunga che comprende il pranzo. Il pullman ovviamente si ferma davanti al ristorante che la guida ci ha suggerito e pare offrire una grande scelta di piatti tipici. Chiaramente l’organizzazione ha un accordo con il locale, che si vede scodellare gli avventori fin dentro il salone, ma ovviamente questi non beneficiano di sconti. Magari i cibi sono buoni, ma io non ho fame. Seguo un mio percorso solitario.

Mi distacco dal gruppo, dirigendomi verso la spiaggia. Subito vengo “assalito” da almeno 3 garzoni che fanno capo ad altrettante barracas in concorrenza fra loro. Ne scelgo una, ordinando una batatas fritas, costo: 5R$. Ho una banconota da 6 R$. Mi siedo sotto il sombrero a spiluccare le mie patatine fritte.

Prima di andarmene, ricordo al ragazzo il real che mi spettava, ma lui, con notevole faccia tosta, mi dice che lo trattiene “per il servizio”. Non faccio storie: posso ben concedermi di essere “munifico” con gli spiccioli; d’altronde, qui è la prassi: o arrotondi di tua spontanea iniziativa o lo fanno loro.

Sostiamo fino alle 15:30. Nelle ore più calde non ho il coraggio di espormi, pur essendomi procurato la crema protettiva, ma quando sono circa le 15 si rannuvola.

Riprendiamo la strada del ritorno. La sera, a Salvador, vado a mangiare alla Cantina “Panzone”: il menù ha le foto delle vivande e mi ricorda certi ristoranti delle coste emiliane-romagnole, frequentati dai tedeschi.   

 
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