la memoria dispersa

Dopo il temporale


 
Guardo fuori, un pallido sole fa capolino tra nuvoloni gonfi di pioggia, insiste, spinge, e riesce a illuminare con i suoi deboli raggi l’erba del prato fradicia di pioggia. Le foglie cadono dagli alberi lentamente e ondeggiando vanno a coprire quel manto scintillante e odoroso. Il sole è tiepido ma sufficiente a darti quella carica emotiva necessaria a guardarti intorno con altri occhi.Non c’è temporale che duri così a lungo da non veder apparire nuovamente il sole, così nelle nostre vite, messe a dura prova da dispiaceri, fatti, eventi ai quali siamo sottoposti quotidianamente e che possono destabilizzarci, farci  piombare nella disperazione più nera. Momenti in cui  vorremmo scomparire, chiuderci a riccio, soffocare  il dolore perché tutto possa apparire normale agli occhi del mondo, mentre  la sofferenza  tracima dalla nostra pelle appena riusciamo ad isolarci e possiamo dar libero sfogo alle nostre emozioni.Ma anche il pianto più disperato diventa sempre più flebile, fino a scomparire. Nuove immagini si sovrappongono a quelle distruttive e una naturale forza vitale ci spinge a reagire. E tornano i programmi, i progetti, si sperimentano nuovi tentativi di conciliazione, col partner, i figli, il capufficio, gli amici, si confida nuovamente nel futuro. Ci si scalda al nuovo sole.  La quiete dopo la tempesta  Passata è la tempesta: Odo augelli far festa, e la gallina, Tornata in su la via, Che ripete il suo verso. Ecco il sereno Rompe là da ponente, alla montagna; Sgombrasi la campagna, E chiaro nella valle il fiume appare. Ogni cor si rallegra, in ogni lato Risorge il romorio Torna il lavoro usato. L'artigiano a mirar l'umido cielo, Con l'opra in man, cantando, Fassi in su l'uscio; a prova Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua Della novella piova; E l'erbaiuol rinnova Di sentiero in sentiero Il grido giornaliero. Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride Per li poggi e le ville. Apre i balconi, Apre terrazzi e logge la famiglia: E, dalla via corrente, odi lontano Tintinnio di sonagli; il carro stride Del passegger che il suo cammin ripiglia. Si rallegra ogni core. Sì dolce, sì gradita Quand'è, com'or, la vita? Quando con tanto amore L'uomo a' suoi studi intende? O torna all'opre? o cosa nova imprende? Quando de' mali suoi men si ricorda? Piacer figlio d'affanno; Gioia vana, ch'è frutto Del passato timore, onde si scosse E paventò la morte Chi la vita abborria; Onde in lungo tormento, Fredde, tacite, smorte, Sudàr le genti e palpitàr, vedendo Mossi alle nostre offese Folgori, nembi e vento. O natura cortese, Son questi i doni tuoi, Questi i diletti sono Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena E' diletto fra noi. Pene tu spargi a larga mano; il duolo Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto Che per mostro e miracolo talvolta Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana Prole cara agli eterni! assai felice Se respirar ti lice D'alcun dolor: beata Se te d'ogni dolor morte risana. Giacomo Leopardi