la memoria dispersa

IL BUONGIORNO...SI VEDE DAL MATTINO


“Sei pronta?” “Sì, arrivo!” Mani sul volante, guardo l’orologio e fremo. In ritardo,  come al solito, del resto. Tra le tante cose che non mi sono riuscite  nella vita, la puntualità è una di queste. Ricordo ancora i miei inizi, avevo la scuola a un tiro di schioppo ma riuscivo ad arrivare in ritardo anche allora. Non che i ragazzi fossero scontenti, tutt’altro. Il fatto di poter fare un po’ di cagnara tra una lezione e un’altra  era motivo di grande apprezzamento anche se sapevano che con la chiusura della porta era tutta un’altra musica. “Giulia, sbrigati, sono in ritardo, anzi siamo in ritardo” grido.    “Arrivo,” risponde ma so già che passeranno altri  due, tre minuti in cui la  immagino  davanti allo specchio, non si piacerà, si schiaccerà un brufolo, invece che sciolti raccoglierà i capelli in una coda di cavallo, cambierà le scarpe, forse anche la giacca perché  non in gradazione con le scarpe. Poi passerà alla borsa, troppo piccola, troppo grande, rovescerà tutto il contenuto di una travasandolo nell’altra… Biiip, Biiip. Mi sto agitando. Passa un uomo, mi vede imprecare all’interno dell’abitacolo e mi guarda con   aria sbigottita, me ne accorgo e muovendo rapidamente un dito gli comunico  che no, lui non c’entra, ce l’ho con mia figlia che  probabilmente, dopo aver svuotato l’armadio, starà rovistando in quell’ecatombe alla ricerca di qualcosa che non trova. Si allontana e mentre finalmente vedo aprirsi il cancelletto di casa manca poco che sgommando non lasci fuori dalla portiera una gamba di Giulia. Potrei guidare a occhi chiusi. Sempre la stessa strada da trentanni, trentanni  in cui quel breve tragitto di circa venti minuti diventa adrenalina pura. Basterebbe partire dieci minuti prima, solo dieci minuti e non dovrei vivere con l’incubo dell’orario. In fin dei conti cosa sono 10 minuti nell’economia di una giornata! Eppure,  non riesco proprio a recuperarli neppure provando ad ottimizzare i tempi. La sveglia alle 6.45, quando ho provato ad anticiparla alle 6.30 è mancato poco che mi mandasse in tilt  il sistema neurovegetativo. Ho provato allora a velocizzare  la colazione e devo dire che optando per il tè invece che per il caffelatte sono riuscita a guadagnare qualche decina di secondi, troppo pochi comunque per poterli considerare preziosi.   È  in bagno, allora che mi sono concentrata per vedere come potevo ridurre i tempi dedicati al trucco e affini. E per la verità ero riuscita a conseguire una tale destrezza nei vari passaggi: fondotinta, ombretto, mascara, matita rossetto che il trucco era diventato un automatismo. Ma a rompere quel certosino lavoro di riorganizzazione, nel frattempo, s’era messa mia figlia a scombinare tutto con la sua disarmante imprevedibile teoria del: “Ma che problema c’è?”  Ed eccomi qua ad affrontare il primo ostacolo che non sono i 4 km che scorrono lisci sulla strada che mi porta verso il centro. Se arriverò in orario o meno molto dipenderà dal passaggio a livello che secondo i miei calcoli dovrebbe chiudere, sguardo all’orologio, tra meno di mezzo minuto, giusto in tempo per passare,  pigiando sull’acceleratore e affrontando il dosso, senza pensare al grido di vendetta delle sospensioni e alle imprecazioni di mia figlia che, finestrino aperto, sigaretta in bocca sta esalando l’ultima boccata di libertà. Un sospiro di sollievo e sono in mezzo al traffico del viale principale, a quest’ora intasato all’inversosimile. Con una serie di abili mosse e scorrettezze veniali, in una consumata gimkana, frutto di anni di esperienza, mi intrufolo nella corsia che a singhiozzo per il numero imprecisato di semafori, frotte di giovani che sbucano da ogni dove, biciclette a complicare la già complicata colonna di lamiera, mi conduce verso la prima destinazione: La scuola di mia figlia. Non sia mai che la tapina possa fare due salutari passi a piedi a rintemprare spirito e gambe, ragion per cui mi trovo a sostare all’imbocco di una grossa rotonda, senza mai guardare nello specchietto retrovisore, per non cogliere gli improperi, a dire poco, di chi mi segue costretto a frenare bruscamente per  quell’estemporanea, pericolosa  fermata d’emergenza. Riparto dopo aver ricevuto gli insulti di mezzo mondo diretta finalmente alla mia meta. Altri semafori, altre macchine, altre vite, altre storie. In quest’ultimo tratto di strada, finalmente, riprendo il contatto col mio interno, mi concedo qualche divagazione, accendo la radio sul mio canale preferito ma: “Cosa sta facendo questo davanti?” “Si blocca…così…senza freccia?” Freno bruscamente. Gli occhi vanno ai pedali. Orrore! Calzo due scarpe diverse, una col tacco, una con la zeppa.