Si può ancora parlare di gentilezza e sorriso? Oggi in cui tutto sembra essere in declino, in cui “il male di vivere” ha preso il sopravvento attraverso un dilagare di comportamenti sempre più aggressivi e prepotenti, la gentilezza, sembrerebbe a prima vista un anacronismo quasi di stampo moralistico. Le relazioni interpersonali sono sempre più improntate al “politicamente scorretto” e non stupisce incontrare persone maldisposte, incupite, estranee alle infinite possibilità del sorriso, di questa meraviglia che nasce sulla bocca ma che in realtà parte dal cuore. E’ sempre più difficile abbandonarsi con spontaneità a una vera, franca risata. Si ride per una barzelletta, per una situazione divertente, una gag ma si tratta di una risata forzata che niente ha a che fare con la naturale predisposizione all’ottimismo, alla generosità e visione positiva della vita. E’ pur vero che grossi motivi di ridere al giorno d’oggi non ce ne sono. Ristrettezze economiche, malattie, stress, lavoro che non c’è o quando c’è risulta massacrante, difficoltà di relazione e comunicazione, rifiuto e scetticismo nei confronti dello Stato e delle istituzioni tutto ha contribuito a toglierci il piacere dell’allegria, tanto che all’antico adagio: “Cuor contento, Dio l’aiuta” non ci crede più nessuno. Ma difficoltà economiche, malattie, miserie ci sono sempre state, basti pensare al periodo della guerra o dell’immediato dopoguerra, eppure nei racconti dei nostri padri o nonni c’era sempre una nota di ottimismo o episodi divertenti che lasciavano intuire gioia di vivere e serenità. Erano altri tempi, la gioia nasceva nella miseria e dalla miseria, quando bastava un niente per far scappare una risata genuina, perché il niente faceva apprezzare tutto ciò che poteva costituire un’eccezione alla monotonia. La fede poi aveva un peso non indifferente nella stoica accettazione di disgrazie e sventure che non venivano mai considerate un accidente ma sofferte e condivise dall’intera comunità.Probabilmente il sorriso è scomparso dai nostri volti e dai nostri cuori perchè abbiamo legato troppo il nostro benessere interiore al possesso di cose, ne siamo diventati schiavi e la loro mancanza o i prevedibili “tempi duri” li viviamo come un torto subito, un giocattolo a molla che senza la carica non procura più alcun piacere.Siamo diventati tutti più poveri ma non solo di beni, bensì di gesti di amore, gratitudine, disponibilità. Eppure questi non hanno risentito della crisi economica, ne abbiamo in abbondanza ma il nostro animo, per natura egoista, è molto parsimonioso nell’elargirli. E basterebbe così poco per far felice qualcuno con un semplice gesto, una parola, un diverso modo di guardare, di sentire tutti chiusi nel nostro individualismo fatto di orgoglio e vulnerabilità. Vulnerabilità sì, perché la paura di vedere scoperti i nostri sentimenti ci induce a nascondere la parte più autentica di noi, salvo volerla esprimere quando magari è troppo tardi.