I fatti di questi giorni ripropongono prepotentemente il problema No-Tav e gli scontri avvenuti meritano più che una riflessione perché gli schieramenti pro contro la perforazione della montagna non sono più così netti come in passato e sono divenuti terreno di scontro ideologico sempre più forte. Le immagini di Luca Abbà, caduto dal traliccio sul quale era salito per lanciare l’ennesima protesta e quelle del carabiniere in tenuta antisommossa che non risponde alle provocazioni di un manifestante, sono in fondo le facce di una stessa medaglia: credere fermamente nelle proprie ragioni e combattere fino in fondo per l’affermazione delle stesse.Ma azzardiamo un’ipotesi a difesa delle ragioni dei valligiani. Questo progetto, partorito una decina di anni fa, aldilà delle oggettive ferite al territorio e al bene comune, a fronte dei modesti benefici che apporterebbe in termini di guadagno é solo un modo per rincorrere l’Europa o la Francia, col piccone già affondato nella roccia, o la reale convinzione che l’alta velocità che ci porterebbe a Lione o a Parigi in tempi dimezzati possa essere una ragione così forte da giustificare l’enorme dispendio di denaro e scempio del territorio?O non è forse soltanto l’ennesimo insulto di un’ Europa padrona che invoca decisioni già prese sulle quali è impossibile retrocedere?Forse, a una più attenta valutazione, la caparbietà e l’irriducibilità di coloro che si oppongono da sempre alla Tav dovrebbe riabilitarci ai nostri stessi occhi pensando che in fondo, se siamo stati spettatori inerti dei danni infertici dal degrado della politica siamo anche questo: coraggio e orgoglio di andare fino in fondo credendo nella giustezza delle proprie ragioni.