la memoria dispersa

Quegli anni...


  Ricordo le mie prime calze di nylon. Allora si usava.  Avevo 13 anni  e non stavo nella pelle all’idea di poterle indossare, per la prima volta, alla messa domenicale con il vestito della festa. Mia mamma le aveva acquistate con cura, ne aveva scelto il colore e la velatura e le aveva riposte nel cassetto in attesa del giorno giusto che rimandava sempre perchè secondo lei doveva essere un giorno di primavera  ma  vista la rigidità di quell’inverno interminabile potei permettermele soltanto a fine maggio quando ai piedi scarpette di vernice nera  e gonna a palloncino, prima di uscire   mi mirai e rimirai nell’enorme specchio della mia cameretta lisciandomele a lungo per sentire l‘impalpabilità del velo stando ben attenta a non smagliarle o tirare qualche filo. Ero raggiante di felicità e mi sentivo grande. Sentivo dall’uscio socchiuso  mia mamma e mia nonna parlottare e immaginavo gli sguardi di intesa quasi  che quel semplice indumento mi traghettasse d’un baleno all’età adulta. Un po’ mi pavoneggiavo, in giro per la casa,  cercavo gli sguardi delle mie sorelle più piccole  con aria di sufficienza, inchiodandole al loro ruolo di subalterne decretato da quell’immagine di “Signorina collant” come si divertivano ad appellarmi non senza una punta di invidia per un traguardo che per loro era ancora lontano. Insieme ci dirigemmo verso la chiesa e mi accorsi solo allora che la mia camminata era del tutto innaturale,  la postura e l’andatura stonavano con quella mise che avrebbe dovuto invece valorizzare la mia femminilità.  Ad ogni passo vedevo le mie ginocchia che non  sporgevano più dai grossi pesanti calzettoni che mi avevano accompagnata fino allora e  le mie esili gambe sembravano nude.  Ero proprio buffa e mentre  le mie sorelle mi trotterellavano dietro cercavo di camminare quasi sulle punte per  non contraddire quell’immagine a lungo costruita. Provai un certo imbarazzo quando colsi i sorrisini  dei miei compagni con i quali fino a qualche giorno prima giocavo e facevo lunghe corse in bicicletta chiedendomi se lo stupore che leggevo nei loro occhi fosse di ammirazione o delusione. In chiesa non mi riuscì di concentrarmi, mi guardavo attorno e cercai  di riflettermi nelle tante ragazze mie coetanee che a differenza mia apparivano a loro agio con o senza calze di nylon. Mi sentii ridicola e non aspettavo l’ora che la funzione finisse. Di ritorno verso casa non proferii parola tramortita anche dalle chiacchiere delle mie sorelle. Una volta in camera mi sfilai le calze, le guardai allo specchio, le accarezzai, le piegai ben bene e le riposi nell’angolo più in fondo del cassetto. Non ero ancora pronta, volevo divertirmi e quel giorno avevo perso il sorriso.A mia madre non dissi nulla. Capì da sola.