la memoria dispersa

NEL RISPETTO DEI MORTI


Si muore due volte se un corpo mutilato viene dato in pasto come semplice esibizione dell'orrore senza il rispetto della sua dignità e memoria.  
 Da giorni e giorni campeggiano su Facebook, Twitter e i principiali social della rete immagini di bambini, corpi di uomini e donne orribilmente mutilati, feriti non solo nelle membra ma nella loro dignità di esseri umani,  sbattuti in prima pagina con l’alibi di  mostrare l’orrore della guerra attraverso una sovraesposizione e imposizione di foto e video che se non supportati da informazioni oggettive e di chiara lettura finiscono per diventare una strumentalizzazione da parte di chi, al di là di ogni ragionevole argomentazione, intende soltanto tracciare il solco tra diverse ideologie e alimentare la catena dell’odio. Non si tratta di parteggiare per Israele o Palestina,   o come nel caso dell’aereo esploso in volo nei giorni scorsi,  per Ucraina o Russia, ma di tutelare la sensibilità degli utenti che sono costretti a subire la violenza di vedersi sciorinare sotto il naso teste mozzate, petti squarciati, gambe amputate, sangue a fiumi  con il terrore se riottosi, di passare per beceri qualunquisti, e questo nelle più rosee delle previsioni. C’è chi è convinto che sia giusto informare in questo modo dato che facebook e similari  hanno portato il mondo nelle case in tempo reale ed è possibile  sapere quello che accade all’altro capo del mondo con un semplice clic del mouse.   In virtù di una non ben dichiarata  veridicità informativa diventa lecito lo sfruttamento e la pubblicazione  di immagini spesso stravolte, falsate, manipolate come l’informazione che le accompagna e delle quali spesso non viene citata la fonte.  Voyeurismo della peggior specie e informazione datata spacciata per fresca,  come le foto dei  bambini massacrati in Siria tra il maggio e settembre del 2013 fatti passare come uccisi dai bombardamenti israeliani a Gaza soltanto per suscitare sdegno e raccapriccio senza una contestualizzazione appropriata. Se il codice deontologico del giornalista prevede che il cittadino, l’utente in questo caso, abbia il diritto ad essere informato,  nello stesso tempo  non lo si può costringere a guardare immagini violente che rifiuta  e che ritiene inutili ai fini di una forma di coscienza critica sui fatti in questione. È un problema che va affrontato prima che degeneri  tanto più che le cause non sono da attribuire a un sano giornalismo ma alla deregolamentazione totale dei social  da parte dei loro amministratori che nella rincorsa all’ultimo MI PIACE non si fermano davanti a niente e nessuno.