la memoria dispersa

SVILUPPO O PROGRESSO?


 “Ci sono due parole che ritornano frequentemente nei nostri discorsi: anzi, sono le parole chiave dei nostri discorsi.Queste due parole sono “sviluppo” e “progresso”. Sono due sinonimi? O, se non sono due sinonimi, indicano due momenti diversi di uno stesso fenomeno? Oppure indicano due fenomeni diversi che però si integrano necessariamente fra di loro? Oppure, ancora, indicano due fenomeni solo parzialmente analoghi e sincronici? Infine; indicano due fenomeni “opposti” fra di loro, che solo apparentemente coincidono e si integrano? Bisogna assolutamente chiarire il senso di queste due parole e il loro rapporto, se vogliamo capirci in una discussione che riguarda molto da vicino la nostra vita anche quotidiana e fisica.”[Pier Paolo Pasolini – Scritti Corsari]   Crescita, Sviluppo, Progresso, tre parole apparentemente simili, per alcuni sinonimi  che  da decenni riempiono la bocca dei nostri parolai della politica  infilate per un pugno di voti come viatico  in ogni programma elettorale che si rispetti.Eppure, dizionario alla mano,  vi è una grande differenza tra questi sostantivi dai significati diametralmente opposti come  ebbe a sottolineare  Pier Paolo Pasolini già cinquant'anni fa con quella lungimiranza e lucidità che fior fior di sociologi ed economisti affermati già allora non seppero cogliere.La sua analisi non aveva niente di anacronistico, si limitava ad osservare il cambiamento avvenuto in Italia, quella mutazione antropologica, come lui la chiamava, che aveva portato alla distruzione dei valori di un passato recente, ancora così vivo nella memoria passando da un tipo di fascismo ideologico ad uno ben più devastante di tipo economico.  Paradossalmente un diffuso iniziale benessere aveva dato il via a quell'ondata inarrestabile di sviluppo che andava sotto  il nome di consumismo. La povertà veniva vissuta come una colpa e il desiderio di rivincita sociale passava attraverso lo spogliarsi dei miseri panni anche linguistici e culturali per indossare quelli borghesi più vicini a una nuova ideologia basata sul possesso di cose piuttosto che di idee.Il paradosso  stava proprio nel credere che l'emancipazione dei costumi, il convertirsi a una nuova religione dominata dal dio denaro potesse coincidere con un'idea di progresso che avendo come elemento fondante una concezione mutualistica e solidale della società  era in perfetta antitesi con quella di stampo economico sviluppista che si stava consolidando.E' su questo dualismo inconciliabile che si sono consumati cinquant'anni di storia  che ha visto l'affermarsi di un modello di sviluppo volto al profitto sempre più esasperato,aggressivo che ha diviso l'uomo in padroni e schiavi, togliendo a questi ultimi attraverso un processo di omologazione subdolo imposto dai mass media, la televisione in primis, la capacità di distinguere tra sogno e realtà,  intrappolati in un consumismo ideologico che ne ha appiattito le coscienze.  Bisogna condannare severamente chi creda nei buoni sentimenti e nell'innocenza.Bisogna condannare altrettanto severamente chi ami il sottoproletariato privo di coscienza di classe.Bisogna condannare con la massima severità chi ascolti in sé e esprima i sentimenti oscuri e scandalosi.Queste parole di condanna hanno cominciato a risuonare nel cuore degli Anni Cinquanta e hanno continuato fino a oggi.Frattanto l'innocenza, che effettivamente c'era, ha cominciato a perdersi in corruzioni, abiure e nevrosi.Frattanto il sottoproletariato, che effettivamente esisteva, ha finito col diventare una riserva della piccola borghesia.Frattanto i sentimenti ch'erano per loro natura oscuri sono stati investiti nel rimpianto delle occasioni perdute.Naturalmente, chi condannava non si è accorto di tutto ciò: egli continua a ridere dell'innocenza, a disinteressarsi del sottoproletariatoe a dichiarare i sentimenti reazionari. Continua a andare da casa all'ufficio, dall'ufficio a casa, oppure a insegnare letteratura:è felice del progressismo che gli fa sembrare sacrosanto il dover insegnare ai domestici l'alfabeto delle scuole borghesi.È felice del laicismo per cui è più che naturale che i poveri abbiano casa macchina e tutto il resto.È felice della razionalità che gli fa praticare un antifascismo gratificante ed eletto, e soprattutto molto popolare.Che tutto questo sia banale non gli passa neanche per la testa: infatti, che sia così o che non sia così, a lui non viene in tasca niente.Parla, qui, un misero e impotente Socrate che sa pensare e non fìlosofare, il quale ha tuttavia l'orgoglio non solo d'essere intenditore(il più esposto e negletto) dei cambiamenti storici, ma anche di esserne direttamente e disperatamente interessato.Pier Paolo Pasolini, "Versi sottili come righe di pioggia"da La Nuova Gioventù, Torino, Einaudi, 1975