Nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo non esiste. Non venerare è impossibile. Tutti venerano qualcosa. L’unica scelta che abbiamo è che cosa venerare. È un motivo importantissimo per scegliere di venerare un certo dio o una cosa di tipo spirituale - che sia Gesù Cristo o Allah, che sia YHWH o la dea madre della religione Wicca, le Quattro Nobili Verità o una serie di principi etici inviolabili - è che qualunque altra cosa veneriate vi mangerà vivi. Se venerate il denaro e le cose, se è a loro che attribuite il vero significato della vita, non vi basteranno mai. Non avrete mai la sensazione che vi bastino. È questa la verità. Venerate il vostro corpo, la vostra bellezza e la vostra carica erotica e vi sentirete sempre brutti, e quando compariranno i primi segni del tempo e dell’età, morirete un milione di volte prima che vi sotterrino in via definitiva. Sotto un certo aspetto lo sappiamo già tutti benissimo: è codificato nei miti, nei proverbi, nei cliché, nei luoghi comuni, negli epigrammi, nelle parabole, è la struttura portante di tutte le grandi storie. Il segreto consiste nel dare un ruolo di primo piano alla verità nella consapevolezza quotidiana. Venerate il potere e finirete col sentirvi deboli e spaventati, e vi servirà sempre più potere sugli altri per tenere a bada la paura. Venerate l’intelletto, spacciatevi per persone in gamba, e finirete col sentirvi stupidi, impostori, sempre sul punto di essere smascherati. E così via. Questa non è che la trascrizione di una parte del discorso che David Foster Wallace ha fatto davanti ad una platea di giovani laureandi del Kenyon College il 21 maggio 2005 e ne sono rimasta fulminata per la semplicità con cui snocciola esempi e metafore sulla natura dell’uomo e sul suo egocentrismo che, secondo un termine azzeccatissimo da lui coniato, vive in modalità predefinita, mettendo al centro dell’universo se stesso. In quell’intervento, apparentemente improvvisato esprime, con estrema semplicità, concetti profondi, facendo un’ infinità di esempi, apparentemente banali, ovvi sui nostri comportamenti acquisiti, automatici, che prevedono la visione della realtà unicamente con la lente dell’io, rapportandola ai nostri sentimenti, alle nostre percezioni che egoisticamente hanno la priorità ed escludono tutto il resto, se non impariamo a pensare. Imparare a pensare... suggerisce Wallace. Ce lo siamo chiesti qualche volta? Come e cosa pensare senza essere in modalità predefinita, saper scegliere non in base ai circuiti automatici che ci regolamentano sin dalla nascita ma secondo la capacità di cogliere, nella realtà che ci circonda, la serie infinita di dipendenze ed interdipendenze affrancandoci dall’idea di essere noi il centro di tutto?In una società complessa come questa, schiavi globalizzati, inconsapevoli o meno, c’è veramente il rischio di perdere la dimensione umana non riuscendo a distaccarci da quei feticci che corrispondono al nome di denaro, immagine, potere da noi stessi creati. Il punto è che corriamo nel folle tentativo misurarci, concentrati unicamente nel riuscire a corrispondere ai canoni autoimpostici senza soluzione di continuità, tanto che l’infinità di modelli da raggiungere finiscono per minare le nostre sicurezze rendendo indefiniti i traguardi. E i traguardi indefiniti ci destabilizzano, procurano angustie e impossibilità di spostare lo sguardo altrove, indifferenti a ciò che ci succede intorno. La cosa buffa è che chi c’intralcia il cammino, lo percepiamo come qualcuno che attenta e mina la nostra libertà, convinti che libertà sia rimanere intrappolati in queste dinamiche di autorealizzazione, in una continua replica di comportamenti automatici che finiscono per costituire il nostro unico modus vivendi e operandi allontanando sempre più quella scala di scelte e priorità, l’unica vera libertà che arriva dalla cultura.