la memoria dispersa

Praticamente perfetta...


 È da sempre che rincorro con enorme fatica  la capacità di non prendermi troppo  sul serio, di riuscire a ridere di me  stessa, cogliendo il senso della vita con la giusta dose di autoironia e leggerezza. Mica facile però anche per un innato amor proprio ed eccessiva autovalutazione che in fondo non sarebbe neppure una qualità negativa se controbilanciata da una sana obiettività riguardo possibilità e limiti che ho sempre onestamente riconosciuto, vivendoli però in maniera frustrante e ovviamente penalizzante. “Non prenderti troppo sul serio”, frase fin troppo inflazionata che mi riconduce a mio padre che me lo ripeteva spesso per la mia inveterata abitudine a voler puntualizzare ogni cosa, cercare di spiegare l’inspiegabile, non riuscire a ridere mai dei miei inevitabili errori che drammatizzavo all’impossibile, sentendomi un’ameba e una fallita. Le cose l’ho capite dopo, col tempo e tutto nasceva da una eccesiva considerazione che avevo di me, precoce Mary Poppins,  col rischio di apparire antipatica a chi si accettava ed accettava inconvenienti, incompletezze incongruenze senza patema alcuno, considerandole normali mancanze di una personalità in divenire, non costruita su rigidità e schemi fissi. È difficile ancor oggi che le cose mi scivolino addosso anche se ho imparato a vivere con un maggior distacco,  o meglio,  me lo impongo ma non credo neanche a chi dice “Patisce chi capisce”.  Sarebbe  un insulto a chi, pur non andando in profondità, rimanendo in superficie  riesce  a farsi carico e coniugare  gioie e dolori con quella imperturbabilità e serenità che gli permette di sorridere anche quando magari ha il cuore gonfio di amarezza. Riuscire ad essere veri sempre, è questo per me il problema. Non riesco a fingere, non riesco a farmi una ragione di ciò che non mi piace anche se questo limite è stato la mia forza. Credere in se stessi è l’unica cosa che conta e che ti sorregge nei momenti più bui della vita.