La Ricotta, il magnifico corto di Pasolini, è un film nel film con infiniti piani di lettura tutti riconducibili ai tanti elementi della sua strenua critica e attacco al consumismo e alla religione di Stato, motivo per cui fu accusato di vilipendio alla religione e il film, sequestrato, poté essere proiettato con le modifiche imposte solo dopo il processo, tanto da far dire ad Orson Welles, l’attore regista di questa proletaria Passione di Cristo invece che “Povero Stracci! Crepare è stato il suo solo modo di fare la rivoluzione”, “Povero Stracci. Crepare, non aveva altro modo di ricordarci che anche lui era vivo”. In questo “linguaggio della realtà” Pasolini si avvale dei tableaux vivants e attraverso Wells ricostruisce, in due sequenze gemelle, le deposizioni di Cristo di due pittori toscani Rosso Fiorentino e Pontormo che oltre a evidenziare il suo grande amore per la pittura diventa il modo per fissare nel film le forme del reale inducendo le sue sferzanti riflessioni. È proprio attraverso Stracci, l’emblema di un sottoproletariato affamato che Pasolini lancia la sua requisitoria e lo fa sempre attraverso le parole di Orson Welles che intervistato da un giornalista gli mette in bocca il suo pensiero di scrittore e regista attraverso la sua pungente critica: l’uomo medio “è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista…”. Parole forti, che scuotono le coscienze, di un’attualità schiacciante, lo spettacolo di una società offesa e mortificata dallo spettro della fame e dell’intolleranza tanto che anche il libro di Alain Deneault, "La Mediocratie", un trattato sulla mediocrità e il pensiero unico dilagante, non può non farci riflettere sugli effetti dvastanti della società liquida che Pasolini aveva già individuato cinquant’anni fa.