la memoria dispersa

Bukowski, nato per essere


 I gemelli A volte insinuava che ero un bastardo e io gli dicevo di ascoltare Brahms, e gli dicevo di mettersi a dipingere e di bere e di non farsi dominare dalle donne e dai dollari ma lui mi gridava: Per Amor di Dio ricorda tua madre, ricorda il tuo paese, ci farai morire tutti!… giro nella casa di mio padre (che aveva finito di pagare dopo 20 anni dello stesso lavoro) e guardo le sue scarpe stecchite il modo in cui i suoi piedi incresparono il cuoio, come se irosamente stesse piantando rose, e così era, guardo la sua morta sigaretta, la sua ultima sigaretta e l’ultimo letto in cui dormì quella notte, e sento che forse dovrei rifarlo ma non posso, perché un padre è sempre il tuo maestro anche quando non c’è più; credo che queste cose siano accadute molto spesso ma non posso fare a meno di pensare morire su un pavimento di cucina alle 7 del mattino mentre gli altri friggono le uova non è poi così brutto se non capita a te. ecco, stacco un’arancia e le tolgo la buccia lucente; le cose sono ancora vive: l’erba cresce ch’è un piacere, il sole fa piovere i suoi raggi tra i giri di un satellite russo un cane, sciocco, latra chissà dove, i vicini spiano dietro le tendine. io qui sono un estraneo, e sono stato (immagino) la pecora nera, e non dubito che m’abbia dipinto proprio bene (il vecchio e io lottavamo come leoni di montagna) e dicono che abbia lasciato tutto a una donna di Duarte ma non me ne importa un fico – se lo tenga: era il mio vecchio ed è morto dentro, mi provo un vestito celeste la cosa migliore che abbia mai indossato e muovo le braccia come uno spaventapasseri nel vento ma non serve: per quanto ci odiassimo non posso tenerlo in vita. identici eravamo, avremmo potuto essere gemelli il vecchio e io: almeno così dicevano teneva i suoi bulbi nel crivello pronti per essere piantati mentre io me la spassavo con una battona della 3a strada. va be’, lasciateci questo momento: ritto davanti a uno specchio nel vestito di mio padre morto mentre aspetto di morire anch’io.Charles Bukowski  Partirei proprio da questa poesia da brivido,  autobiografica, splendida per la quantità d’immagini che evoca nel  descrivere il mondo solitario di quest’uomo, angelo e demonio insieme,  perché come lui diceva si parte sempre dall’alto e prima trovi gli angeli. Che lui fosse un angelo  caduto dal cielo e si fosse sporcato le ali nel putridume di una realtà inaccettabile lo si capisce leggendolo, basta qualche poesia, qualche racconto e se riesci a penetrare lo zoccolo duro della sua anima indurita  trovi il cielo... Inizia a bere adolescente per fugare inquietudini, scarso amore in famiglia, emarginazione, tanto che a vent’anni è già fuori casa con un diploma in mano e un futuro da inventare. Sregolatezza, scarsa propensione all’ordine e alle regole, lavori precari. Il viso devastato dall’acne  non è che il segno esteriore  degli sfregi  e graffi che portava dentro, impossibili da nascondere. Anni di vagabondaggio, lavori precari, un breve periodo con un’occupazione stabile, i readings poetici  tra tormenti e abissi esistenziali e poi l’affermazione  come scrittore che se anche gli toglierà il bisogno non gli regalerà la felicità. Le donne e l’alcol sono una costante della sua vita errabonda, tra amori autentici e un’infinità di rapporti occasionali, spinta liberatoria per non morire. Basterebbero alcune sue  irriverenti citazioni per capire cosa pensava dell’umanità e della vita. Il realismo  esacerbato gli alienò la simpatia  dei critici di un’America perbenista e puritana che si crogiolava nel “sogno americano” da lui impietosamente infranto e dissacrato.  Tutte le sue opere descrivono il mondo degli emarginati, dai barboni, alle prostitute,  dai giocatori d’azzardo agli alcolisti, il suo universo è popolato dagli ultimi, non della sua scala valoriale,   tanto che il tanfo dei bordelli ha un odore più allettante dei prati e delle case che odorano di pulito. Il suo è un messaggio  chiaro e scomodo e quanto  più sentiva il rifiuto da parte dei benpensanti tanto più si divertiva a provocare con il suo linguaggio scurrile e senza filtri. La mia unica ambizione è quella di non essere nessuno, mi sembra la soluzione più sensata. Voleva scuotere le coscienze,  sottrarsi ai diktat della competizione e del successo che travolgevano e stravolgevano i rapporti, tanto da non riuscire a trovare  un briciolo di umanità nella società dell’opulenza.  Passai accanto a duecento persone e non riuscii a vedere un solo essere umano. I suoi romanzi, racconti, poesie, aforismi sono un affaccio sulla mostruosità del degrado metropolitano, tra rifiuti e baracche sgangherate dove chi vive ai margini della società,  nel suo niente riesce persino a cogliere barlumi di felicità.  Solo i poveri riescono ad afferrare il senso della vita, i ricchi possono solo tirare a indovinare. Indipendente, anarcoide, il grande “Hank”  ha percorso il suo viaggio esistenziale solo tra una folla di esseri stritolati nell’ingranaggio del conformismo, un inferno forse peggiore di quello da lui stesso sperimentato nei suoi vagabondaggi. La perfezione mi fa schifo, mi repelle. Tutte quelle donne e quegli uomini che cercano la perfezione negli stereotipi creati dalla società mi fanno venire il vomito. Fottuti manichini di carne, senza personalità o amore per se stessi. Stessi vestiti, stessa musica, stesse espressioni, stessi cibi, stesse scopate, stesse auto, stesse vite, e alla fine?... Stessi suicidi neurali di massa. Perché vivere come un automa è senza ombra di dubbio un suicidio. Quando tutti si è uguali, Tutti si è nessuno. La perfezione è un uccellino in gabbia che vive, mangia, caga e muore con il solo scopo di essere ammirato. Lo voglio libero, spiumato, infreddolito, denutrito ma libero..." [Charles Bukowski]