"La gratitudine è un fiore che non appassisce mai" dissi guardandoti negli occhi ma vidi soltanto un lampo nei tuoi e sviasti immediatamente il discorso prendendomi sottobraccio e guidandomi verso il solito bar, al quale arrivavamo sempre dopo mille soste per l'incontenibile bisogno di parlare e di interromperci a vicenda.Un calice e un caffè.La cameriera sapeva che eri un caffettaro e non c'era pericolo si confondesse.Se era bello, ci sedevamo fuori.Allungavi le gambe sui ciottoli di pietra ed estraevi dalla tasca il pacchetto di Dunhill, sempre quelle, dai tempi dell'Università.Ero frastornata dal tuo profluvio di parole. Temevi il tempo ti inseguisse e ci incalzavamo a vicenda parlando di classici, Conrad, Melville ma anche Huysmans, Boris Vian...Cosa non ho appreso!Intrecciavi letteratura e musica come dovessero fondersi in un tutt'uno armonicoattingendo a quell'enorme retroterra culturale mai ostentato e vissuto con leggerezza. Parlavamo di jazz, o meglio tu mi parlavi di jazz,dei tuoi libri, della copertina del mio, dei tuoi progetti e dei miei lasciando sempre qualcosa in sospeso, in attesa della prossima volta.Non ci sarà una prossima volta e quel sospeso pesa come un macigno.
Ad un grande amico
"La gratitudine è un fiore che non appassisce mai" dissi guardandoti negli occhi ma vidi soltanto un lampo nei tuoi e sviasti immediatamente il discorso prendendomi sottobraccio e guidandomi verso il solito bar, al quale arrivavamo sempre dopo mille soste per l'incontenibile bisogno di parlare e di interromperci a vicenda.Un calice e un caffè.La cameriera sapeva che eri un caffettaro e non c'era pericolo si confondesse.Se era bello, ci sedevamo fuori.Allungavi le gambe sui ciottoli di pietra ed estraevi dalla tasca il pacchetto di Dunhill, sempre quelle, dai tempi dell'Università.Ero frastornata dal tuo profluvio di parole. Temevi il tempo ti inseguisse e ci incalzavamo a vicenda parlando di classici, Conrad, Melville ma anche Huysmans, Boris Vian...Cosa non ho appreso!Intrecciavi letteratura e musica come dovessero fondersi in un tutt'uno armonicoattingendo a quell'enorme retroterra culturale mai ostentato e vissuto con leggerezza. Parlavamo di jazz, o meglio tu mi parlavi di jazz,dei tuoi libri, della copertina del mio, dei tuoi progetti e dei miei lasciando sempre qualcosa in sospeso, in attesa della prossima volta.Non ci sarà una prossima volta e quel sospeso pesa come un macigno.