Flavio Scutellà

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Il dolore eterno delle famiglie Scutellà e Ruscio: “Eliminare mele marce sanità”
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di Valeria Guarniera - Secondo posto per denunce per malasanità. E’ il triste primato della Calabria, secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in ambito sanitario. A parlare sono i numeri: 107 denunce su 570 riguardano casi di presunta malasanità, 87 i decessi: prestazioni spesso scadenti o disattente, a volta addirittura assenti. Più di un medico o personale sanitario per paziente ricoverato – 4240 su 3821 – ma assolutamente insufficiente il rispetto dei LEA, i livelli essenziali di assistenza. La lista delle inefficienze è lunga: gestione carente dell’urgenza-emergenza pediatrica; mancata utilizzazione di strutture e apparecchi medico-sanitari; pagamento di fatture riferibili ad operazioni inesistenti; illegittimo conferimento di incarichi professionali e competenze; liste d’attesa lunghissime, aggirabili attraverso “conoscenze”.  Dai punteggi assegnati dal Ministero della Salute alle Regioni sembra che la Calabria stia tentando la scalata ai vertici: da terzultima - dopo Puglia e Campania -  a penultima. Terreno fertile per strani giri d’affari, in cui incarichi dirigenziali vengono affidati in base a criteri per così dire soggettivi, il sistema sanitario vive in un caos in cui speculazioni e sprechi sono all’ordine del giorno. Da un’indagine condotta su 172 regioni europee dall’università di Gothenburg, emerge la 170esima posizione della Calabria per la qualità della sanità. In nove anni, errori e incidenti sono costati alla sanità pubblica quasi 1,5 miliardi di euro, 300 milioni solo nel 2012. Tante anche le denunce per errore medico: la Sicilia è al primo posto con il 20% di denunce, segue la Calabria con il 19%. Al terzo posto di questa triste classifica spunta il Lazio, con l’11% di denunce. Drammatici anche i dati relativi alle denunce per eventi con decesso. Numeri dietro i quali c’è la disperazione di chi ha provato sulla propria pelle la drammaticità delle carenze che, a volte, fanno pagare un prezzo troppo alto. E’ il caso di Flavio Scutellà, deceduto il 29 ottobre del 2007 all’ospedale di Reggio Calabria dopo tre giorni di coma. In quella drammatica vicenda -  un’odissea vissuta tra attese, ritardi, cambi di ambulanze da un ospedale all’altro (tra Polistena e Reggio Calabria) e posti letto non disponibili – l’esempio di una sanità al collasso. "Mio figlio - ha raccontato il padre, Alfonso - è rimasto all'ospedale tre ore senza che nessuno gli facesse nulla e senza che si trovasse un'ambulanza per il trasporto". Dalla disperazione per la perdita del piccolo Flavio, alla forza per sostenere il processo che ha portato, nel 2012, alla sentenza di primo grado: quattro condanne di medici e sei assoluzioni: "Ingiustizia è fatta”, aveva detto amareggiato il padre Alfonso. E proprio ieri la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha pressoché confermato la sentenza emessa in primo grado, confermando in pieno le sentenze per tutti i medici dell’ospedale di Polistena e Reggio rimasti coinvolti nella vicenda, anche per quello che in primo grado era stato assolto dalle accuse – e qui la novità più rilevante - il Dott. Saverio Cipri, adesso invece condannato ad 1 anno e 6 mesi di reclusione. Tutti gli imputati condannati  dovranno anche rifondere le spese legali del doppio grado di giudizio, per tutte le parti civili costituite nel processo. Uniche due assoluzioni invece confermate anche in sede di gravame, sono quelle relative a Giovanni Triolo e Carmelo Alampi. “In tutti questi anni ci siete stati vicini, il contributo della stampa è stato fondamentale – ha detto Alfonso Scutellà rivolgendosi ai cronisti – posso dire che un po’ di giustizia è stata fatta. E’ una sentenza positiva – ha continuato - emessa da un collegio giudicante imparziale e corretto che ha certificato che non è emerso nessun motivo in grado di giustificare il ritardo nell’intervento di mio figlio.  C’è tanta emotività, è ovvio – ha sottolineato con la voce spezzata dall’emozione – ma questi processi sono costruiti su fatti veri, documentati e non sulla fantasia mossa dal dolore di un genitore. Con l’associazione “I nostri Angeli” non vogliamo assolutamente contrapporci alla categoria dei medici: quelli diligenti vanno tutelati e rispettati. Le mele marce vanno eliminate”.  L’augurio di Alfonso Scutellà è che si arrivi alla Cassazione il prima possibile “per evitare la prescrizione che sarebbe una sconfitta per l’intero sistema”. Storie di non curanza, come quella di Eva Ruscio, deceduta il 5 dicembre del 2007 all'ospedale di Vibo in seguito alle complicazioni di un intervento di tracheotomia d'urgenza.  La corte d'Appello di Catanzaro presieduta dal giudice Anna Maria Saullo ha confermato la condanna ad un anno e quattro mesi nei confronti dell'anestesista Francesco Costa accusato di omicidio colposo in ordine alla morte della sedicenne di Polia.  Nel procedimento parallelo, che vedeva cinque imputati, sempre la Corte d'Appello ha confermato la pena di primo grado per il primario di Otorino del nosocomio di Vibo Domenico Sorrentino ad un anno, e per i medici Francesco Morano e Giuseppe Suraci a 10 mesi. Sempre i giudici hanno ribaltato il verdetto del Tribunale monocratico di Vibo per le posizioni dell'otorino Gianluca Bava e dell'anestesista Francesco Miceli, assolti in primo grado, pronunciando nei loro confronti una condanna a 10 mesi. Anche per loro l'accusa era omicidio colposo. La provvisionale è di 50.000 euro per il padre e la madre della ragazza e 20.000 euro ciascuno per gli altri parenti.Storie di resistenza, come quella di Demetrio Cabulliese morto all’ospedale di Melito Porto Salvo in circostanze “tutt’ora da appurare”. Lo dice suo padre, Felice, che da anni porta avanti la sua battaglia: “Dopo una vita di sofferenza e sacrifici non ho neanche la soddisfazione di essere sentito dai giudici. Non ho più parole per esprimere il mio rammarico”.Alla disperazione del dover fare i conti con un’assenza prematura e ingiustificata causata dall’errore e la superficialità si aggiunge, a volte, il paradosso di ritrovarsi di fronte gli stessi medici. E’ successo ad Alfonso Scutellà che, portando suo figlio a fare una visita, ha scoperto che il medico sarebbe stato lo stesso che lui ha citato in giudizio: “Come possono succedere certe cose? – ha detto – come si può affrontare una situazione del genere?”. Oppure – ed è successo al padre di Eva Ruscio – capita che quel medico sia stato già condannato per un altro caso. “In molti casi non vengono avviati neanche i provvedimenti disciplinari all’interno dell’ospedale – ha spiegato Scutellà – si parla (senza applicarla) di sospensione e nei casi più gravi di licenziamento. Ma cosa c’è di più grave della morte?”