Caos Ordinato

Può esistere il male assoluto


Partiamo con due ore di ritardo sull'orario previsto. Dal mio posto, accanto al finestrino, seguo il rincorrersi delle forme e delle ombre disegnate dalla luce del tramonto. Il sole è alla nostra sinistra mentre seguiamo una rotta verso sud, verso casa. E' un volo interno che ci porterà presto ad incontrare nuovamente i nostri famigliari, i nostri parenti, i nostri affetti più cari. Vedo i volti rilassati dei passeggeri, famiglie, persone che viaggiano sole, bambini che giocano inconsapevoli che si trovano a più di settemila metri di quota nei cieli, sopra la terra, sopra le montagne, sopra il mare. Da quassù quella massa di acqua che è il mare, diventa sempre più scura mano a mano che il sole tramonta per riposarsi dopo la lunga giornata di lavoro. Penso a casa, alla mia famiglia, alla mia fidanzata che di certo mi sta già aspettando in aeroporto per incontrarmi e per accogliermi nel suo amore. Sorrido pensando a lei ed una ragazza risponde al mio sorriso con un sorriso forse, pensando che le stessi sorridendo ma non importa in fondo, un sorriso, non è mai speso male. Cerco di riposare ma l'eccitazione del ritorno a casa dopo mesi di assenza, lontano dalla mia famiglia non mi dà tregua. Apro un libro. Le parole mi scorrono davanti agli occhi ma non mi regalano alcuna sensazione. Penso che non sia il caso di leggere, non sono predisposto e.richiudo il libro. Accanto a me, un signore di mezza età, sta sfogliando un giornale. Non ne colgo la testata perché ripiegata all'interno. Ad un tratto si volta e mi dice: " La vedo teso è la prima volta in volo?" Io rispondo: " No! è la prima volta che manco da casa per tanto tempo capisce, l'impazienza di arrivare". L'uomo ripiega il giornale: " La capisco sa. Anch'io, nonostante il mio lavoro che da anni mi porta a viaggiare e ad allontanarmi dagli affetti e pertanto, dovrebbe essere per me una routine nonostante questo, è come se fosse sempre la prima volta che ritorno dopo un lungo viaggio". "Già!" rispondo io "è una magnifica eccitazione soprattutto quando si è ben voluti". L'uomo guarda il suo orologio da polso. "Comunque sono le 20:59 e manca meno di mezz'ora all'arrivo". D'improvviso un tremendo boato frantuma l'aereo, il terrore negli occhi, l'angoscia di non capire cosa sta succedendo, le immagini della vita per un momento prima del freddo nel buio degli abissi. Era il 27 giugno 1980 ed il volo IH870 della ITAVIA non giunse mai a destinazione. Si inabissò, con le sue vittime, ad alcune decine di miglia a nord di Ustica. La morte li ha colti impreparati e la tragedia, a trent'anni dal disastro, ancora vive nei cuori e nella mente dei parenti perché non vi sono ancora colpevoli da condannare. Vite annientate e vite logorate da una attesa che è più affine al "male assoluto" di chi non vuole dare risposta per acquietare gli animi di coloro, che ancora "vivi", muoiono giorno dopo giorno nei ricordi dei loro cari.