Se par condicio deve essere, che lo sia sin dalla culla. Una buona regola che non ha però riscontro nella realtà: il numero di padri che si votano a pappe e pannolini si conta infatti sulle dita di una mano. Con un risicato 4% i maschi italici dediti alla prole soccombono alle madri, vincitrici a tavolino di una partita ancora tutta da giocare, nonostante dal 2000 le regole esistano (Legge Turco sulla maternità) e, negli anni, le proposte di miglioramento si siano sprecate in Italia come in Europa. L’affaire astensione dal lavoro a seguito della nascita di un figlio rimane un problema spinoso, soprattutto per il portafoglio della coppia: guadagnando generalmente più delle compagne e contribuendo maggiormente alle entrate familiari, anche gli uomini naturalmente vocati alla cura dei piccoli si vedono spesso costretti a dare forfait, riservando ai nuovi arrivati solo stanchi pit-stop serali. Non aiutano la causa i comuni cliché sulla virilità (“Il congedo? Cosa da donne” ci si sente ancora dire), che talvolta aumentano la resistenza della popolazione maschile al confronto diretto con i neonati. I buoni esempi che arrivano da oltre Manica, il primo ministro inglese David Cameron, ad esempio, che si prese qualche settimana di permesso per occuparsi della figlia, alla lunga faranno scuola, convincendo anche il signor Mario Rossi a lasciarsi travolgere da colichette e passati di verdure. Un valido incentivo ad intraprendere la “via dell’astensione” si avrà (forse) dal 2012, anno di entrata in vigore dell’accordo sul congedo parentale, frutto dell’intesa tra i ministri delle politiche sociali dell’Unione Europea. Le nuove norme, oltre a migliorare la conciliazione tra lavoro e vita familiare, promettono l’equivalenza tra uomini e donne nel mercato del lavoro, parificando ruoli e trattamenti di mamma e papà. Entrambi potranno contare su uno stop di 4 mesi, sfruttabile anche da lavoratori a tempo determinato o part-time, e su orari flessibili in fase allattamento. Un sollievo per tutti i genitori degli stati membri dell’Unione, madri in testa, che potranno sostituire all’atavico "o il lavoro o la famiglia" il contemporaneo “il lavoro e la famiglia”. Con buona pace del ménage famigliare, anche la mamma-manager potrà indifferentemente confinare i sensi di colpa nel cesto della biancheria o nel cassetto della scrivania. Una rivoluzione di mentalità che già conta proseliti di vecchia data, pronti però a dare man forte alle nuove leve.
Non chiamateci mammi!
Se par condicio deve essere, che lo sia sin dalla culla. Una buona regola che non ha però riscontro nella realtà: il numero di padri che si votano a pappe e pannolini si conta infatti sulle dita di una mano. Con un risicato 4% i maschi italici dediti alla prole soccombono alle madri, vincitrici a tavolino di una partita ancora tutta da giocare, nonostante dal 2000 le regole esistano (Legge Turco sulla maternità) e, negli anni, le proposte di miglioramento si siano sprecate in Italia come in Europa. L’affaire astensione dal lavoro a seguito della nascita di un figlio rimane un problema spinoso, soprattutto per il portafoglio della coppia: guadagnando generalmente più delle compagne e contribuendo maggiormente alle entrate familiari, anche gli uomini naturalmente vocati alla cura dei piccoli si vedono spesso costretti a dare forfait, riservando ai nuovi arrivati solo stanchi pit-stop serali. Non aiutano la causa i comuni cliché sulla virilità (“Il congedo? Cosa da donne” ci si sente ancora dire), che talvolta aumentano la resistenza della popolazione maschile al confronto diretto con i neonati. I buoni esempi che arrivano da oltre Manica, il primo ministro inglese David Cameron, ad esempio, che si prese qualche settimana di permesso per occuparsi della figlia, alla lunga faranno scuola, convincendo anche il signor Mario Rossi a lasciarsi travolgere da colichette e passati di verdure. Un valido incentivo ad intraprendere la “via dell’astensione” si avrà (forse) dal 2012, anno di entrata in vigore dell’accordo sul congedo parentale, frutto dell’intesa tra i ministri delle politiche sociali dell’Unione Europea. Le nuove norme, oltre a migliorare la conciliazione tra lavoro e vita familiare, promettono l’equivalenza tra uomini e donne nel mercato del lavoro, parificando ruoli e trattamenti di mamma e papà. Entrambi potranno contare su uno stop di 4 mesi, sfruttabile anche da lavoratori a tempo determinato o part-time, e su orari flessibili in fase allattamento. Un sollievo per tutti i genitori degli stati membri dell’Unione, madri in testa, che potranno sostituire all’atavico "o il lavoro o la famiglia" il contemporaneo “il lavoro e la famiglia”. Con buona pace del ménage famigliare, anche la mamma-manager potrà indifferentemente confinare i sensi di colpa nel cesto della biancheria o nel cassetto della scrivania. Una rivoluzione di mentalità che già conta proseliti di vecchia data, pronti però a dare man forte alle nuove leve.