UN CORDIALE SALUTO DI BENVENUTO A TUTTI I VISITATORI DEL "FORUM COUNSELING"
Questo è uno spazio dove tutti possono proporre e/o commentare tematiche socio-psico-relazionali ed è ambiente di riflessione sugli aspetti significativi del comportamento umano, sia da un punto di vista personale/individuale che nel contesto sociale.
Massimo Catalucci.
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Post n°9 pubblicato il 08 Luglio 2011 da counseling_ardea
Il concetto di CAMBIAMENTO, rapportato alla vita umana ed al vissuto di ogni persona, può essere visto come un processo naturale che si svolge inevitabilmente costantemente e continuamente all’interno ed all’esterno della stessa.
Altro discorso è invece il concetto di CAMBIAMENTO inteso come decisione di trasformare qualcosa nella nostra vita, volontariamente, costantemente e continuamente.
Il cambiamento non è sicuramente un obbligo al quale dobbiamo necessariamente concentrarci giornalmente, ma è inevitabile pensare che il cambiamento sia qualcosa che avviene autonomamente ed in modo naturale nel corso della nostra esistenza.
Tutto infatti nel nostro universo è mutevole e soggetto a cambiamento, a trasformazione.
Già nel V secolo a.C., il Filosofo Eraclito (535 a.C. – 475 a.C.), indicò come “noi non possiamo scendere due volte lo stesso fiume, perché sempre diverse saranno le sue acque e sempre diversi saremo noi” .
Questa teoria del “Divenire”, mentre da una parte ci evidenzia l’inevitabilità di un naturale cambiamento, trasformazione delle cose e di noi stessi, ci induce a riflettere maggiormente su quando, come e perché decidiamo di cambiare o non cambiare atteggiamento mentale e fisico, relativamente a contesti, contenuti, relazioni e quant’altro del nostro vissuto.
Con il termine Cambiare o meglio, Trasformare (dal latino: Trans – Formàre), si vuole intendere ciò che è posto “al di la di una forma o aspetto delle cose”. Visto però che “trasformare” significa andare oltre qualcosa, in se per se, questo già potrebbe creare delle limitazioni di azione nella persona, nel suo eventuale processo di cambiamento/trasformazione, potrebbe indurre la stessa ad evitare di tentare un cambiamento in una o più aree della sua vita e relativamente allo stato di cose che sta vivendo, anche se queste ultime sono ritenute insoddisfacenti e/o sofferenti. Mi spiego meglio. Spesso ciò che è posto oltre, crea nelle persone “paura” rispetto a quello che potrebbero trovare, o solo immaginare di trovare in futuro, per cui in molti preferiscono mantenere lo stato di cose che si sono creati o gli è stato creato, piuttosto che attivarsi per un cambiamento.
Come abbiamo visto però, ogni “Essere” (materiale e immateriale) subisce un suo mutamento nel corso dello spazio e del tempo che lo stesso occupa e percorre all’interno dell’universo.
Un dato tangibile è la vita cellulare continuamente in movimento. Nulla è quindi sempre uguale, tutto subisce una trasformazione continua e costante.
Ecco perché si parla molto oggi della “GESTIONE del CAMBIAMENTO”.
Gestire il proprio cambiamento, inteso prima come forma di pensiero e successivamente o meglio contestualmente, come forma di azione, comportamento, ci permette di governare al meglio la nostra esistenza evitando di rilassarci troppo su schemi ripetitivi dannosi per la nostra natura che, come abbiamo visto, è soggetta a cambiamento e trasformazione continui.
Se ci adagiamo sul conosciuto, su quello che abbiamo ottenuto, sia da un punto di vista relazionale (partner, famiglia, amici, ecc.), che in quello economico, o in qualsiasi altro campo in cui ci muoviamo, rischiamo di chiuderci eventuali alternative di crescita personale e di scelta, laddove dovessimo incontrare delle difficoltà esistenziali: economiche, conflitti socio relazionali, professionali, ecc……potremmo non essere pronti e preparati ad affrontare al meglio il cambiamento.
Il cambiamento inteso come trasformazione fa quindi rima con la ricerca continua di miglioramento del proprio status: psicofisico, emotivo, spirituale, sociale ed economico.
Dovendo fare un esempio con l’economia e specificamente nel campo imprenditoriale, sappiamo come sia deleterio avere per due anni di seguito gli stessi incassi.
Per effetto di una svalutazione, più o meno alta, ma comunque costante e continua nel tempo, ottenere gli stessi incassi dell’anno prima significa avere una perdita economica ed un blocco della crescita aziendale, quindi perdita di competitività nel mercato.
Potremmo fare un altro esempio prendendo in considerazione le relazioni umane. In un rapporto di coppia, è possibile che la routine crei abitudini che, con il passare del tempo, limitano la creatività necessaria a mantenere vivo il rapporto stesso, con conseguenze negative nella relazione a due.
Il cambiamento può essere quindi tranquillamente considerato anche rinnovamento.
Nel mondo del lavoro rinnovarsi potrebbe essere quello di è aprirsi a nuove opportunità e tecnologie che possono migliorare la qualità dell’attività professionale alla quale ci dedichiamo; nel rapporto di coppia potrebbe essere invece quello di scoprire ogni giorno qualcosa di diverso da fare con l’altro/a o per l’altro/a, nella consapevolezza che lo stiamo facendo prima per noi stessi. È sorprendere magari l’altro/a con parole, gesti che dimostrino la voglia di conquistare giornalmente la sua attenzione.
Ma cosa è necessario fare per attuare un cambiamento consapevole e produttivo?
Molta importanza, come sopra accennato, si può attribuire alla creatività. Sappiamo che la sola intelligenza logica, razionale, non sempre è sufficiente a determinare un cambiamento integrale, una trasformazione duratura di uno stato mentale, fisico e comportamentale. Ma se lasciamo spazio anche alla nostra “intelligenza emotiva” (c’è un libro molto interessante su questo argomento di Daniel Goleman), la nostra mente creativa inizia a produrre valide alternative che possono sviluppare nuove possibilità di scelta che altrimenti non riusciremmo a vedere in situazioni particolari di disagio e stress psicofisici ed emotivi.
Cr. Massimo Catalucci |
Post n°8 pubblicato il 26 Aprile 2011 da counseling_ardea
Uno dei lavori più difficili del nostro tempo, segnato apparentemente dalle nuove tecnologie in campo comunicativo, è sicuramente quello di sviluppare nella nostra società un valido “dialogo umano”. Sicuramente siamo tutti molto tecnologici in fatto di abilità comunicative informatiche ed elettroniche, ma molto meno abili, quando siamo chiamati a cimentarci con tecnologie comunicative biologiche, sicuramente più sofisticate e complesse di qualsiasi altra tecnologia, quelle comunicazioni che includono le relazioni interpersonali “face to face” tra gli esseri umani, con il solo ausilio dei nostri mezzi comunicativi di cui siamo dotati dalla nascita: cervello, sistema nervoso, ovvero corpo e mente.
La differenza sta nella grande capacità di destreggiarci agevolmente manualmente tra tasti di telefoni cellulari e tastiere di computer, con gli ultimi linguaggi informatici interfacciati e proiettati in uno schermo di piccolissime o grandissime dimensioni, in una sorta di decodificazione del messaggio che passa attraverso un codice binario che non è altro che la rappresentazione di due cifre numeriche: “1” e “0”; e nella incapacità di crearci soddisfacenti relazioni interpersonali durature.
Non ci rendiamo forse conto, ma tutta questa tecnologia elettronica, comuqnue molto utile per certi versi, anziché farci progredire nelle capacità comunicative interpersonali, ci allontana dalla possibilità di creare un terreno fertile su cui sviluppare la capacità e l’abilità di comunicare con empatia ed assertività, non solo razionalmente, ma con una parte del nostro essere che ha una valenza maggiore nei rapporti con i nostri simili e nel nostro scambio di messaggi verbali e non.
Tanto più abbiamo bisogno di capirci, di attivare una comunicazione a due o più vie, di condividere realmente quello che pensiamo e di proporre soluzioni che modifichino i problemi attuali, tanto più dobbiamo apprendere la “disciplina naturale” di un dialogo qualificante.
E' importante sviscerare le problematiche che si incontrano nell’interazione tra esseri umani e apprendere alcune tecniche che possano insegnarci a dialogare e a discutere in maniera qualificata.
La ricerca della qualità comunicativa e relazionale, è un viaggio volto al “dialogo emotivo” fondato sui principali meccanismi e trappole che spesso ci impediscono, quasi sempre inconsciamente, di dialogare liberamente.
C'è sicuramente una differenza tra il dialogo emotivo e razionale.
Scoprire le competenze e le fasi fondamentali che si instaurano nel processo comunicativo e relazionale, ci offre l'opportunità di rielaborare appunto alcuni processi psicoemotivi, che sfuggono alla nostra mente razionale.
Apprendere quindi le dinamiche che si innescano nei processi comunicativi e relazionali attraverso i nostri linguaggi verbali e non, ci permette di evitare di cadere nelle "trappole mentali" in cui possiamo scivolare senza rendercene conto e per cui poi attribuiamo spesso, razionalemnte, la responsabilità di quanto accaduto a qualcosa o qualcuno che in realtà non hanno niente a che vedere con la natura del nostro stesso comportamento.
Cordialmente Massimo Catalucci |
Post n°7 pubblicato il 16 Marzo 2011 da counselor63
Certificare le Conoscenze e le Competenze del Counselor Il Faro on line - Si è conclusa ad Ardea domenica 13 marzo nei locali dell’agriturismo “Corte in fiore” la III Giornata Nazionale di Studi S.I.A.F., dedicata alla Professione di Counseling. L’evento organizzato dall’Associazione I.N.S.E.U. (Ente iscritto nell’elenco delle Associazioni del Terzo Settore del Comune di Ardea e scuola di Counseling accreditata S.I.A.F.) patrocinato dal Comune di Ardea. Ha presenziato l’Assessore ai Servizi Educativi e Cultura Paolo Dei Santi, il dirigente Dott. Giovanni Cucuzza ed il Consigliere Comunale capogruppo della Pdl., Massimiliano Giordani, i quali hanno voluto sottolineare, con la consegna di una targa ricordo alla Dott.ssa Floriana Rubino (Presidente S.I.A.F.), In occasione della cerimonia conclusiva, Massimo Catalucci, presidente dell’Ass. I.N.S.E.U., ha evidenziato il grande impegno profuso dai Coordinatori d’Area, dai Referenti Regionali e Delegati Funzionali nelle due giornate di studio, nelle quali sono stati illustrati nuovi strumenti valutativi per garantire una certificazione di qualità ai Counselor S.I.A.F.. “Nel corso dei lavori” – prosegue Massimo Catalucci - “uno degli argomenti trattati con maggiore attenzione è stato quello del riconoscimento di scuole e programmi didattici idonei alla formazione di Counseling. Nello specifico sono stati evidenziati i margini di azione dell’attività socio assistenziale del Counselor, distinguendo questa professione da altre figure professionali spesso con essa confuse, quali lo psicologo e lo psicoterapeuta. È stato ribadito che il Counseling è una professione che esula dalla psicoterapia ed ha una sua chiara identità, concentrando il suo lavoro principalmente sugli aspetti emotivi della relazione “intra” e interpersonale. Il Counselor, nel rapporto professionale cliente/operatore, si poggia quindi sugli aspetti relazionali/affettivi, socio-pedagogici ed attua un’educazione maieutica che favorisce nella persona un processo di consapevolezza del suo essere, in relazione alle sue esperienze personali psicofisiche, nell’ambiente in cui vive. Nel Counseling, l’operatore è colui che crea le condizioni di una relazione comunicativa efficace ed efficiente, empatica ed assertiva, volta ad attivare, nella persona da lui assistita, una visione più ampia del problema da quest’ultima vissuto.
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Post n°6 pubblicato il 08 Febbraio 2011 da counseling_ardea
Il Counseling, una Nuova Professione Assistenziale di sostegno sociopsicoemotivo per la persona.
La paura di non farcela, le fobie, gli stati di ansia che insorgono costantemente in situazioni particolari (esami scolastici, lavoro, famiglia, sesso, competizioni sportive, ecc.), la malattia di un proprio caro, la perdita del lavoro, la scarsa autostima, l’inadeguatezza, l’insicurezza, i sensi di colpa, la solitudine, l’abbandono, il lutto, la separazione dal coniuge e/o dei propri genitori, la timidezza, e così via per tante altre situazioni di vita destabilizzanti che ci logorano fisicamente, psicologicamente ed emotivamente, ci fanno piombare in uno stato sofferente per cui accade che non riusciamo più a gestire con il giusto equilibrio la nostra esistenza. Ancora più semplicemente può capitare di sentirci confusi, di non saper quale decisione prendere relativamente a una questione qualsiasi. Ci sentiamo disorientati, impotenti. In tutte queste circostanze la nostra emotività è messa a dura prova e pertanto può rimanerci difficile se non impossibile, pensare positivamente al presente e al futuro, mentre ci rimane più facile rimuginare su un passato e un presente negativi, condizionanti e debilitanti. In queste situazioni il nostro sistema integrale umano, fisico, psichico, emotivo essendo sottoposto ad una pressione continua, ricorre a particolari comportamenti protettivi di tutto se stesso. Questi comportamenti protettivi sono definiti “straordinari” o “compensatori” e possono essere i seguenti: · alimentazione sbagliata; · eccesso o mancanza di attività fisica; · eccesso o mancanza di igiene; · rifiuto del rapporto sessuale o ricerca costante del sesso; · rifiuto o ricerca costante di compagnia (amicizie); · particolare attenzione per il gioco dove si scommette: gratta e vinci, videogame, ed altri tipi; · fumare (compreso l’uso di droghe pesanti e/o leggere); · bisogno impellente di provare forti emozioni; · isolarsi evitando costantemente le relazioni (coppia, amicizia, familiari, ecc.); · ricerca continua di relazioni virtuali (chat internet) evitando il confronto reale di una relazione; · ipocondria; · bere (alcol); · ricorsa al farmaco (eccitante / calmante); questi ed altri comportamenti “straordinari” o “compensatori” non citati, diventano la logica conseguenza di uno stress (distress) psicofisico ed emotivo, costante e continuo. La pressione a cui potremmo essere sottoposti, trova la sua risposta di adattamento al disagio che viviamo, attraverso lo sviluppo di alcuni dei comportamenti compensatori su elencati, che hanno lo scopo di farci fuggire dalla sofferenza che sentiamo (emotivamente), ma che nascondono in realtà un sofferenza maggiore e creano un circolo vizioso che se protratto nel tempo può dar luogo anche a delle vere e proprie patologie. L’essere umano, come qualsiasi altro essere vivente, risponde al pericolo in due modalità: Attacco o Fuga. Ma l’essere umano non sempre è cosciente del pericolo in cui si trova, per cui ciò che vive potrebbe non considerarlo razionalmente tale, ma potrebbe avvertirlo emotivamente come disagio più o meno diffuso in se stesso (ansia, nervosismo, rabbia, abbandono, distacco, rifiuto, oppressione, coazione, ecc.) e localizzarlo magari in qualche parte del corpo (vedi psicosomatica) rendendo il disagio anche fisico. Tali sensazioni psicofisiche ed emotive trovano sfogo e appagamento, in una situazione di “distress” continuo, solo attraverso l’attivazione di uno o più dei comportamenti specifici, già su menzionati. Ora, laddove l’essere umano dovesse anche individuare, ovvero essere consapevole che il suo problema è oggettivamente legato a qualcosa o qualcuno, quindi sia razionalmente cosciente in tutto di ciò che produce il suo disagio, potrebbe comunque non avere la forza, la libertà psicoemotiva, di ridare equilibrio alla sua esistenza. In questi casi gli rimarrebbe difficile uscire dalla situazione nella quale si trova, adagiandosi (perché più facile) al comportamento compensatorio adottato, nascondendosi spesso dietro le solite frasi: “io faccio questo (riferito al comportamento compensatorio) perché mi piace e poi, quando voglio, posso smettere……Con la forza di volontà si può tutto ”; oppure fare bersaglio qualcosa o qualcuno……“se sto in questa condizione è per colpa di…….”; Se tutto questo fosse vero, se bastasse solo la forza di volontà per superare i disagi psicofisici ed emotivi, se con la razionalità e la logicità potessimo superare quei comportamenti straordinari non conformi al nostro benessere psicofisico ed emotivo che molti di noi vivono, non dovremmo assistere a persone molto preparate culturalmente e di un livello sociale medio alto che distruggono famiglie, che utilizzano droghe, che si separano continuamente, che soffrono di stati depressivi, di anoressia, bulimia, ecc. . Probabilmente c’é un altro mondo da esplorare ancora con più attenzione e che è l’altra metà del nostro “apparato” pensate, “l’intelligenza emotiva” (vedi Daniel Goleman). Creare i presupposti di un giusto equilibrio tra il pensiero logico/razionale e quello inconscio/emotivo, ci offre l’opportunità di gestire al meglio le nostre potenzialità umane. Sviluppare maggiormente l’intelligenza emotiva, esistente in noi ma spesso assopita, per effetto di una società che da particolarmente risalto alla razionalità e logicità, permetterebbe ad ognuno di noi di attingere da essa per comprendere meglio cosa stiamo vivendo nel presente. Avremmo in questo modo l’abilità di: · riconoscere il tipo di emozione che stiamo provando; · controllare l’emozione; · motivare noi stessi; · riconoscere la tipologia delle emozioni altrui; · gestire le relazioni. Le emozioni sono il motore della vita degli esseri umani. Vanno liberate, ascoltate, accolte e orientate nella giusta direzione, affinché possano giocare a nostro favore e non contro di noi. L’autoconsapevolezza di riconoscere l’emozione che stiamo vivendo ci rende persone più sicure e ci da la possibilità di incanalare quell’energia nel modo più vantaggioso per noi, anche laddove l’emozione dovesse risultare negativa. Questa autoconsapevolezza emotiva, oltre ad esercitare la capacità di auto motivarsi, favorisce la qualità delle nostre relazioni e ci pone nella condizione di comunicare in un modo empatico ed assertivo tale, da comprendere meglio cosa si agita nel nostro interlocutore favorendo la qualità della relazione stessa. Il Counselor, nell’esercizio della sua professione di Counseling, si pone come strumento di mediazione e armonizzazione e favorisce il giusto equilibrio tra due parti spesso in conflitto tra loro: il pensiero Razionale ed Emotivo. Considero il Counseling un vero e proprio “training emotivo” che, per mezzo di un "approccio educativo maieutico" (vedi Socrate), permette alla persona di sviluppare una maggiore creatività e di conseguenza raggiungere liberamente quella consapevolezza tale che le permette di sviluppare un ventaglio di scelte maggiori rispetto a quelle che potrebbe pensare di possedere nei momenti in cui la sua emotività è in qualche modo minacciata o "sequestrata". Quando siamo sopraffatti dalla pressione emotiva, è come se fossimo stati “sequestrati emotivamente” da una forza che annulla la realtà di quel momento. Non abbiamo possibilità di scelta e sentendoci minacciati (in pericolo) rispondiamo con l’attacco o la fuga. Ogni giorno purtroppo sentiamo notizie agghiaccianti di episodi che vedono persone commettere omicidi o suicidi (spesso familiari). Si parla di persone che apparentemente non destavano nessun sospetto prima del loro gesto estremo. Questo potrebbe essere definito come “sequestro emotivo”. Ma non credo sia differente, se non nella sua intensità e grado, a quello che ci accade quando per un attimo aggrediamo verbalmente o fisicamente, senza arrivare ai gesti estremi su indicati, la persona o le persone che ci sono intorno. Chissà a quanti di noi sarà capitato di pronunciare frasi di questo tipo: “….ad un certo punto non ci ho visto più e quindi il mio gesto è stato una conseguenza di quello che stavo provando…”; “……mi sono sentito salire vertiginosamente la pressione e l’ho aggredito/a…..”; “…quando lui/lei si comporta in quel modo non ragiono più….e non posso fare a meno di….”; “…..quando ti comporti in quel modo……..è come se me le levassi dalle mani…”. Queste sono solo alcune delle frasi che potremmo pronunciare o ascoltare in situazioni dove siamo stati ”sequestrati emotivamente”. Occorre quindi dare equilibrio al nostro sistema pensate, considerando non solo l’aspetto razionale ma la grande importanza che riveste la parte pensante emotiva. Il Counseling è una delle nuove professioni in Italia di carattere socio assistenziali che sviluppa programmi per la crescita personale dell’essere umano nel rispetto di una ricerca e appagamento dei propri bisogni fisici ed emotivi (vedi Maslow 1954 – la piramide dei bisogni umani) fino al raggiungimento della sua autorealizzazione e al mantenimento di questa condizione nell’ambiente in cui vive.
Attendo come sempre i Vs. graditi interventi e commenti. Cordialmente Massimo Catalucci
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Post n°5 pubblicato il 07 Dicembre 2010 da counseling_ardea
UN DISTACCO PSICOFISICO ED EMOTIVO.....DURO DA SUPERARE. Credo che ogni essere umano si sia dovuto confrontare con l'aspetto più destabilizzante della propria esistenza, la fine della vita fisica di un proprio caro. Vivere questo tipo di distacco e ancor di più accettarlo non è sicuramente facile. Ed anche se molti pensano che con la morte fisica smetta anche qualsiasi altra forma di vita, l'assenza visibile e tangibile della persona che ci ha lasciato, amplifica un vuoto che forse manifesta ancora di più come il legame umano, la relazione con l'altro/a, creino un canale comunicativo tra le persone che va ben oltre la fisicità. Quando accade un evento simile, sembra come se il tempo che abbiamo trascorso con l'altro/a non sia stato sufficiente per trasmettergli/le tutto quello che avremmo voluto. Ecco allora che possono nascere anche sensi di colpa (avrei potuto fare questo o quell'altro per lui/lei ed ora non lo posso più fare), o magari istinti di rabbia (perchè mi hai lasciato/a avevo ancora bisgono di te). Certo è, che gli stati d'animo di una persona che vive un lutto, sono anche diversi in relazione a come ciò è avvenuto e in che periodo della nostra vita. Questo argomento è sicuramente scomodo da trattare ma forse ci da l'opportunità di condividere qualcosa che tutti conosciamo e che tutti vorremmo non ci capitasse mai, pur essendo coscienti che fa parte della nostra vita. L'obiettivo che si vuole ragiungere con questo post, è esclusivamente quello di condividere quel senso di solitudine che si vive nel momento in cui si perde un proprio caro, facendo sentire la solidarietà di altre persone che in qualche modo hanno già affronatto questo evento e motivo di confronto per aiutarci a superare tale situazione sgradevole. Ringrazio anticipatamente quanti vorranno contribuire a creare un dialogo condiviso su questa tematica. Cordialmente Massimo Catalucci |
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LIBRO
ABORTO:
Conoscere, Riflettere, Scegliere come Agire Liberamente
scritto da
Marilina Ciricillo
giornalista e scrittirce
Edito da
Ass. I.N.S.E.U.
con il patrocinio del
Comune di Ardea
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Inviato da: counselor63
il 05/12/2011 alle 12:57
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Inviato da: Rosaria
il 04/08/2011 alle 20:24