Giovani e politica

A Palazzo Chigi rivive il teatro dell'assurdo


A spiegare quel che succede al governo e dintorni si usano ormai definizioni legate a un certo mondo teatrale: farsa, pochade, pantomima, teatro dell'assurdo, corrono i nomi di Feydeau, di Beckett, di Jonesco. A occupare la scena di questi giorni un protagonista assoluto, Antonio Di Pietro che arrivato in Parlamento alla guida di un partito d'ordine ha dato vita alla più funambolica delle imprese fin qui vista a Montecitorio.Proclamate le "dimissioni temporanee" dal suo ministero, che essendo dei Lavori Pubblici fa pensare a una presenza diuturna e operosa, Di Pietro ha mosso guerra al ministro della Giustizia e dunque al governo del quale fa parte, che è già una bella impresa. Motivo della rivolta, un indulto promesso da anni, almeno da quando, per l'Anno Santo del 2000, Papa Giovanni Paolo II lo invocò, in pieno Montecitorio, fra tempeste di applausi, ovazioni, osanna e gloria. Su quel gesto di clemenza da allora è sceso il silenzio. Il povero Mastella è riuscito a condurre in porto un accordo difficilissimo, ha messo insieme fra destra, sinistra e centro una legge capace di assicurare all'indulto i due terzi dei voti necessari dacché, negli anni '90, si era elevata quella barriera, fin qui invalicabile, per ogni atto di clemenza.L'operato di Mastella ha mandato in bestia il Di Pietro che da allora si è prodotto in una sorta di ubiquità, alternando rare presenze sui banchi del governo, su quelli del suo partito e soprattutto sulla piazza di Montecitorio per arringare la folla o, meglio, il crocchio dei pochi che debbono avere dalla loro solidissime ragioni per sfidare i 40 gradi di questa inclemente estate romana. Nel mirino, anzi, nel megafono, i colleghi deputati definiti "una banda Bassotti", e quelli di sinistra in specie, traditori e basta.Alle dimissioni di Di Pietro si sono aggiunte, va da sé, quelle, minacciate anch'esse, di Mastella che, avversato nel compito di titolare della Giustizia, si è rivolto a Prodi perché ristabilisse l'ordine. Prodi ha avuto l'aria di considerare la cosa ininfluente, o una bega dalla quale tenersi lontano, anche per via della presenza in Parlamento di alcuni magistrati sodali di Di Pietro, Dio ne guardi dal dispiacere loro. E del resto, a un certo punto, nei giorni scorsi i ministri diciamo dimissionari erano quattro, Di Pietro e Mastella, più Mussi della Ricerca, Ferrero alla solidarietà sociale. Un'epidemia.E' stata un po', la vicenda, la gioia dei cronisti "di colore", una bazza. Ce n'è stato per tutti i gusti, tante erano le scempiaggini dette e fatte. Si è cercato di reperire una definizione per un governo di tal fatta, opera difficile anche per mancanza di prcedenti all'altezza. Si è parlato di "circo Barnum", di "carro di Tespi". Un amico suggerisce un termine francese, drole, celebre per via della "drole de guerre", la stramba guerra combattuta dai francesi dal giorno 1 settembre 1939, quando dichiararono guerra alla Germania per chiudersi subito dopo dietro la linea Maginot senza sparare un solo colpo contro i nazisti. Finché questi non decisero di muoversi, ai primi di aprile, e dopo poche settimane erano a Parigi. In un dizionario francese-italiano, di drole si danno sue ordini di definizione: "buffo, strambo, curioso" e simili, ma poi anche "furfante, briccone, losco". Insomma, si può scegliere: ridere o indignarsi.