Giovani e politica

Stupri: io, garantista soprattutto con le vittime


Sono tra coloro che ritengono assurdo che il colpevole di uno stupro esca di galera dopo soli due-giorni-due, com’è successo al ventiduenne arrestato a Roma a capodanno. Ho detto «colpevole» e lo sottolineo, perché stiamo parlando di un reo confesso, e in questo caso la confessione non è un’attenuante ma solo la conferma che non c’è alcun rischio di errore giudiziario. Il ragazzo di Roma non ha confessato perché, preso da rimorso, è andato a costituirsi quando nessuno sospettava di lui; ha confessato perché lo avevano già beccato, le prove lo schiacciavano, una confessione era al tempo stesso inevitabile e conveniente. Al processo sarà quindi sicuramente condannato: e i giorni trascorsi adesso a casa, agli arresti domiciliari, gli saranno scontati dalla pena come se fossero passati in cella. Sono tra coloro che sono convinti che tra lo stare a casa e lo stare in galera sia preferibile - per i delinquenti, s’intende - la prima soluzione. Sono anche tra coloro che trovano scandalosa pure la scarcerazione dei due romeni arrestati per aver favorito lo stupro di Guidonia. Anche loro sono stati messi agli arresti domiciliari, presso alcuni conoscenti in Veneto. Lo stesso posto, guarda un po’, dove la banda aveva progettato la fuga. Bizzarro, no? So di attirarmi la reprimenda, e l’immancabile epiteto di «forcaiolo», dai radicali e dai garantisti in servizio effettivo e permanente. Essi obiettano che la legge è sovrana, e che non bisogna farsi condizionare dal dolore delle vittime, dall’emotività del momento e dal can-can dei giornali. Tutto vero, ci mancherebbe: non si fa giustizia sull’onda dell’ira della folla, e i tribunali del popolo non devono sostituire quelli in toga. C’è però un equivoco di fondo, forse anche un imbroglio, sul quale giocano spesso i magistrati. Si dice infatti che certe decisioni - nella fattispecie certe scarcerazioni - non dipendono che dall’applicazione della legge. Ma non è vero. In Italia, come lo stesso Codice prevede, i giudici hanno un ampio potere discrezionale, sia nell’applicazione della carcerazione preventiva, sia al momento di quantificare la pena definitiva. Faccio un esempio concreto. Per la carcerazione preventiva basta uno solo dei tre seguenti requisiti: 1) pericolo di fuga; 2) pericolo di inquinamento delle prove; 3) pericolo di reiterazione del reato. È a questo punto che si dimostra che la legge e la matematica sono due cose differenti. Chi decide che uno stupratore, magari reo confesso, sicuramente non violenterà qualcun altro? Il giudice, secondo il suo libero convincimento. E può sbagliare, come in molti casi è successo. Chi decide che uno stupratore sicuramente non scapperà, magari perché è agli arresti domiciliari? Sempre il giudice, e sempre secondo il suo libero convincimento. E può sbagliare, com’è successo guarda caso in questi giorni, quando un marocchino reo di violenza carnale e messo agli arresti domiciliari ha pensato bene di sparire, con tanti saluti alla sua vittima, che dal proprio dolore non potrà mai fuggire per tutta la vita. E la legge, oltre che non essere matematica, non è neppure immutabile. Ci sono reati che, a seconda del momento, costituiscono un allarme sociale, e richiedono un’attenzione particolare, direi un’intransigenza particolare. Non si tratta, ripeto, di piegarsi agli umori del popolo o alle mode giornalistiche. Dopo l’11 settembre, abbiamo accettato tutti di buon grado di sottoporci a controlli da Gestapo in aeroporto, perché era successo qualcosa che prima non c’era. Così via via i codici penali di tutto il mondo sono stati aggiornati, e inaspriti, su determinati reati a seconda del momento. Le leggi speciali sul terrorismo, tanto per fare un altro esempio. Quella sui pentiti, per farne un altro ancora. Si è ceduto alla sensibilità popolare? Meno male. Perfino la Chiesa, a seconda del momento storico, pone l’accento su un particolare «peccato» punendolo con la scomunica: all’inizio del secolo si era scomunicati se si distruggeva il raccolto dei campi perché c’era gente che moriva di fame; adesso lo si è per l’aborto perché molta gente va ad abortire con la stessa faciloneria con cui va dal dentista. Non è che la distruzione del raccolto o l’aborto siano più gravi delle stragi o dell’omicidio, per i quali la scomunica non c’è; è che si è voluto richiamare l’attenzione su una gravità non da tutti percepita. Anche per il reato di stupro le sensibilità è cambiata. E, anche qui, meno male che ci sono stati i giornali a sbattere in prima pagina quelle violenze di cui una volta non si dava notizia. Se la legge non avesse tenuto conto anche di una mutata sensibilità popolare, oggi lo stupro non sarebbe ancora considerato un «reato contro la persona» (perché sembra incredibile ma è proprio così, fino a pochi anni fa lo stupro non era un «reato contro la persona»). Ben venga, dunque, una pressione popolare e giornalistica che per prima cosa induca i giudici a usare gli strumenti di cui già dispongono, e a tenere in galera chi distrugge l’esistenza di una donna; e che, poi, solleciti il legislatore ad essere ancora più severo. Il garantismo è una bella cosa, ma a volte rischia di diventare un’ideologia, e come tale disconnessa dalla realtà. Non dobbiamo dimenticare che non è l’uomo a essere fatto per la legge, ma la legge per l’uomo.