Bushi ni nigon nashi

Irraggiungibile...


Uno certe cose non se le va a cercare. Succede che ha del tempo da dedicare a se stesso, dare una sbirciata alle vecchie fotografie, riascoltare i vecchi gruppi ispiratori di malsane fantasie e ossessioni pseudo maniacali da groupie adolescente. Ci sta che ad un certo punto uno si imbatta in certi ricordi. Capita. Basta non dar loro troppo peso. Ignorali – mi dico – e vai avanti con la tua vita. Stamattina sono andata in banca per esempio. Ho attraversato tutta la città in metro per raggiungere un posto che non può neanche più dirsi Roma, fare un’ora e mezzo di fila, presentare documenti, regalare firme leggibili e accordare consensi. Mi sono imbattuta – come sempre – in tutta una serie di tipologie umane da esaminare : la signora bene con il vestitino di Ferragamo a cui è saltata la cerniera lasciandola con la schiena da settantenne nuda e imbarazzante; l’impiegatuccio lampadato con la camicia ben stirata dalla mamma e l’immancabile alone di sudore; la finta ragazza strafiga in t-shirt che da vicino è un mostro di ricordi sconvenienti, silicone e cicatrici sottocutanee; il piccolo imprenditore in pausa pranzo, con la cartelletta di documenti sottobraccio, la cravatta allentata, la fronte lucida, l’espressione penosa, di quelle che dicono tutto, senza dire niente. Perché tanto ci siamo capiti no? Ormai l’Italia è ai tempi supplementari, cercando di salvarsi il culo come può e chi lavora onestamente qualche problemino ce l’ha. Io ho fatto quel che dovevo e uscendo ho tenuto gli occhi bassi, evitando di guardare altre facce, che non volevo portarmi dietro le loro espressioni. La tristezza degli occhi della gente è tremenda. A volte mi accorgo dei pensieri di chi mi siede di fronte in metro e penso che darei qualunque cosa pur di non sentire. A volte resto così imbambolata nei miei vaneggiamenti che dimentico di scendere alla mia fermata e sono costretta a percorre chilometri a piedi, cosa che mi sta aiutando con l’abbronzatura da muratore e i muscoli da lanciatrice di coriandoli . Per il resto domani arrivano Patrick e Aimee da Londra. Li porteremo a mangiare sushi da Senba, che non è certo il Bento Cafè, ma è il “nostro” ristorante di Roma… e si difende bene. Così dicevo, eccoli i ricordi. Certi ricordi. Ogni volta che hai pianto, ogni volta che ti sei sentita perduta, ogni volta che hai risposto in una lingua non tua senza “tradurre”, ogni volta che volevi scappare, ogni volta che hai stretto mani, abbracciato persone, scambiato e-mail con qualcuno che credevi di non conoscere, cantato ai concerti, evitato gente, sforzato di piacere, ogni volta che hai telefonato a tua madre fingendo di non piangere, perso metro, rincorso autobus, ricaricato oyster card snocciolando una serie di informazioni in sequenza (sempre la stessa: may I have a oyster top-up, for seven days, zone one and two, bus and tube please?), sgrammaticate e finta cortesia, ogni volta che fai qualcosa di vero, che ti costa impegno e forse sacrificio, meraviglia e gratitudine, allora ritrovi te stesso e quegli occhi che ti scrutano dallo specchio. L’altra metà di te. Quella parte scissa che sempre e per sempre cercherai negli altri. O in uno solo, dipende.