Bushi ni nigon nashi

Ingannevole è il cuore più di ogni cosa...


Provo a riavvolgere il filo. A tornare indietro, a quando non c’era nulla di cui aver paura. Ma non va, il nastro si incastra sulle parole sbagliate, le definizioni catastrofiche, le vagonate di fango buttate sulla realtà dei fatti, che certo, non è proprio una vita, non è proprio a colori, non è proprio come la volevo, ma è transitoria e quindi non degna di nota. La cosa veramente difficile è il segreto che sono costretta a mantenere, l’anonimato, i sorrisi finti, il vatuttobene quando invece vatuttomale. Mia mamma oggi mi ha chiamata due volte perché ha sentito che qualcosa non va. Io fingo mal di pancia, emicrania e secchezza delle fauci. Mi faccio scappare un singhiozzo di commozione e riaggancio così che non mi scopra indifesa e tutta ammaccata come sono. La richiamo da calma e fingo il telefono scarico. Mi serve che qualcuno mi abbracci dicendo che non mi merito tutto questo dolore e che presto sarà tutto finito, mi serve l’amica che neanche oggi ha risposto al telefono, la confidente ormai irraggiungibile, forse stanca di me e dei miei vuoti a rendere. Mi lascio cadere sul letto e spengo il cervello per quei pochi secondi che servono alla memoria  di ricapitolare la matassa degli errori che forse ho commesso, forse no, chissà. Basta talmente poco per accorgersi di quanto becera è l’abitudinarietà. Quanto è sottile il filo che delimita la stabilità dal piattume. Io sono il tipo di persona che non piange per le cose che non ha. Non si lamenta e non strepita, non impreca contro il sistema delle raccomandazioni, una di quelle che non perde tempo a piangersi addosso e lo adopera per rendere utile un periodo morto, un giorno perso, un’occasione mancata. Non mi accontento, perché si sappia, io il mio obiettivo ce l’ho stampato a fuoco nei circuiti neuronali, ma vado avanti come se niente fosse, evitando di incattivirmi con il mondo, le persone maledettamente più fortunate di me e le mille occasioni sprecate in nome di qualcosa che ora un nome non lo ha più. Aspetto il mio momento per così dire e so che arriverà presto. Questo mi incoraggia a non chiedere aiuto. Anche questo è un pregio, no? Riuscire a farcela da sola. E allora perché non ci sono parole di elogio per me, ma solo dita puntate contro?E trovare il coraggio per affrontare le brutte cose non è un difetto. E’ un pregio. Non è vero?E allora perché mi sento così colpevole? E perché mi sento – ancora una volta – come se non fossi mai abbastanza qualcosa?