Bushi ni nigon nashi

Una piccola bestia ferita...


 Mi sono imposta di star zitta. Un’intera giornata di silenzio a riflettere sulle parole dette, ascoltate, subite. Perché ecco, ci sono parole che bisogna sopportare come il freddo d’inverno, un male incurabile, il senso d’abbandono. Te ne stai lì, di sera, e ascolti. Ascolti e sopporti. Immagazzini informazioni nel frattempo e dividi il tempo in scaglie. I discorsi in periodi. I periodi in frasi. Ti restano in mano un pugno delle parole peggiori, quelle che ti hanno regalato un sussulto di sgomento e agitazione, fitte lancinanti e quella bolla di vuoto… lì, nella testa. Sopra il cuore, a destra dell’anima. E’ vero che scrivere banalità aiuta. Io sono il paradigma dei pensierini da quinta elementare e, guardatemi, scoppio di salute. In realtà ho iniziato a scrivere “questa storia” perché il vederla tutta impaginata per bene, nero su bianco e con la punteggiatura accurata (non da me quindi) mi aiutasse a realizzare l’accaduto. Somatizzare la perdita. Elaborare il lutto. Vittoria dice che le fasi sono quattro. La prima è detta della disperazione. In questa fase è presente un senso di stordimento e protesta. Vi può essere un immediato rifiuto per l’accaduto e la presenza di crisi di rabbia e di dolore. Questa fase può durare più giorni e può interessare la persona per tutta la durata del processo di lutto. 
La seconda è quella della ricerca. In questa fase può esser presente un intenso desiderio e ricerca della persona che ci ha lasciati; in alcuni momenti è come se questa fosse ancora cocn noi. A livello psicologico è caratterizzata da un senso di irrequietezza e da una preoccupazione eccessiva verso di essa. Questa fase può durare alcuni mesi. 
Nella terza fase si presenta un senso di disorganizzazione e di disperazione; la realtà della perdita comincia ad essere accettata, e la persona affranta sembra essere chiusa in se stessa, apatica e indifferente. Spesso si verificano insonnia, calo di peso e la sensazione che la vita abbia perso il suo significato. Il ricordo della persona scomparsa diviene costantemente presente, come anche un senso di delusione quando ci si rende conto che ciò che resta sono solo ricordi e che niente potrà cambiare ciò che è accaduto. 
Nella quarta e ultima fase avviene una riorganizzazione della propria vita. Gli aspetti acuti del dolore cominciano a ridursi e si comincia ad avvertire un ritorno alla normalità. La persona scomparsa viene ora ricordata con un senso di gioia, ma anche di tristezza, e la sua immagine viene vissuta internamente.Io non so bene in quale fase mi trovo. Forse nella prima, con tutta questa disperazione a grappoli, lo stordimento da drogata. Magari ho già messo un piede nella seconda, perché non mi rassegno all’idea di averlo perso e continuo a desiderarlo accanto. Assurda pretesa. In definitiva potrei, considerato le circostanze, essere nella fase numero tre. Me ne accorgo dai chili persi, dal fatto che non mi importa più di niente (eppure tutto mi ferisce a morte) e dai ricordi che non so come archiviare. Sotto quale voce. Di certo sono ben lontana dalla fase conclusiva della mia elaborazione. Non so in che direzione guardare per riorganizzare la mia vita e passo il tempo a chiedermi se sarà mai possibile, per me, tornare alla normalità. Del resto la mia normalità è nell’ordine apparente, nell’impossibilità di lasciare le cose sparpagliate, di dare spazio alla rabbia che mi inonda il cervello, imprecare e spaccare oggetti (a parte l’iPod). Mi domando quindi che fase sia quella del lasciare ogni cosa al suo posto, anche se non lo è.