Bushi ni nigon nashi

Le anime nude sono sempre così miserabili...


Eccola la sera che. La aspettavo da settimane. Sognavo di mettermi qui alla luce di una lampada, con la finestra spalancata sui tetti di Roma e scrivere. Oddio, che poi scrivere ho scritto eh. Ho scritto su foglietti strappati e ricevute di ristorante, suole di scarpe per bambini e vetri appannati. Ho scritto “nella [mia] camera, nella febbricitante bianca luce artificiale, nella camera cosparsa di carta e libri, [ho scritto] alla [mia] scrivania, [ho scritto] a Peter e a Penn, e la pioggia picchietta[va] sul vetro della finestra, la pioggia imperla[va] il vetro della [mia] finestra e rotola[va] via dolcemente come lacrime”… [J.K.]Ma stanotte è diverso. Perché ho chiuso fuori il mondo, stanotte che è proprio una notte di quelle. Una notte che piove. Scrivo senza censure della [me] che ho preso a conoscere negli ultimi mesi, ora che ho un posto adatto, una scrivania di vetro temperato e acciaio, davanti ad una finestra che guarda le luci di questa città e si incanta. Ho spento, disconnesso e fatto logout. Salutato tutti con la mano, che tanto ci vediamo domani. Per forza. E ci sentiamo certo, magari un’altra volta. Che stanotte mi sento nostalgica. E ho voglia di scrivere. E ho voglia di facciamolo e basta, fanculo il resto e il mondo e loro e domani. Ho voglia di conseguenze. Di ore notturne e fughe dalla realtà emotivamente sconclusionate.E di pensare. E riflettere. E capire, leggere e ascoltare - ancora una volta - questa cavolo di canzone che mi è entrata in testa, una sera di queste, quando ridevo e cantavo e c’era un’aria di festa dei sensi, che sembrava tutto possibile. Di possibile ora c’è questo silenzio di giorni. Il senso delle cose senza ragione, che arrivano all’improvviso e ti rovesciano i cassetti. Lasciandoti lì, smarrita e stupida, a chiederti il perché.La prossima volta rimani, ti prego, così buttiamo i cuscini dal balcone e ci sembreranno ali di angeli in volo e turbinii di colombe bianche. La neve. Zucchero filato per gli occhi. Da grande voglio fare quella che incastra le parole giuste alle domande sbagliate. Quella che ci prende, con la gente. Quella che lo capisce che si soffre di meno se non ti aspetti nulla. Che lo sa che le cose – spesso o sempre – sono proprio quello che sembrano. E che quando arriva il momento in cui bisogna lasciar perdere non stia lì troppo a lambiccarsi il cervello sui punti interrogativi, ma lasci fluire punti di sospensione senza scadenza.Kurt diceva che la verità è che non c’è verità. Che nessuno se ne va mai per davvero e nessuno resta per sempre. Così, in questa vita sospesa, io peso ogni cosa e mi lascio investire dalle situazioni e coinvolgere dalle assenze e spezzare dai silenzi, ma spingo a fondo sul tasto del “non importa”. Per salvarmi. Non importa, tranquilli tutti: io sto bene. Non importa, siate felici: io ce la faccio anche da sola. Non importa, abusatemi: io sono invincibile. Non importa.Perchè quando attraversi l’inferno, transitando di corsa sotto i portici delle tue cattedrali al collasso, afferrando ogni maceria come fosse una reliquia preziosissima e sacra, l’unica parola che ti viene in mente per la tua vita è ABUSATA. Non è colpa di nessuno. E’ che succede. Succede di essere vittime, ma anche di diventare carnefici. Succede di subire e succede di scappare. Succede che il silenzio è l’unica strada percorribile. Il classico ti chiamo domani di un domani che non arriverà mai. E tu sei lì semplicemente ad esserci, come dietro una porta chiusa, senza il campanello e con le mani legate. Esserci. Aspettando. Non importa sai, il tempo è solo giorni. I giorni finiranno e presto sarà tardi per tutto.