Bushi ni nigon nashi

Notti insonni e coscienza di se stessi. Forse.


Ale mi chiede cos’è che scrivo. E perché. E con quali parole. E se ce la faccio a tirar fuori il marasma di sensazioni che mi toglie il sonno nelle notti importanti, quelle che vengono sempre prima di una giornata difficile, la riunione programmatica, l’incontro ufficiale, la relazione, la presentazione, l’analisi delle competenze, la vivisezione emozionale.E’ che uno poi finisce per credere anche alle stramberie che il suo cervello gli disegna per difenderlo dalle ingiustizie della vita, dalle mancanze inaccettabili e dalle assenze ingiustificate. Ci si organizza per incoraggiarlo con la musica giusta, i colori più adatti, le candele profumate accese intorno, un fondo di caffè che nasconde verità insostenibili et voilà, nous avons il mare di frasi fatto di parole, sillabe e punteggiatura da riversare su un blog di notte. Che io, a dirla tutta, manco volevo venirci qui. Volevo bazzicare uno di quei luoghi molto stylish, fashion, so posh e love make up che vanno tanto di moda oggi, quelli che se scrivi bene di una borsa te la spediscono a casa declinata in tutte le fantasie. Sarebbe stato più facile.Io, a poter decidere, volevo nascere un’insalata bionda, una rallegratrice di serate o una pattinatrice su ghiaccio. Non questa specie di soldatessa senza divisa. Non questo cumulo di postulati da dimostrare. Non il nodo da sciogliere. Non io.Che ad essere me ci ho rimesso la vita. La vita finora, s’intende.Quello che ti spiegano è che occorre dar valore alle cose che si fanno, che ogni creatura vivente va rispettata, che l’ordine, l’onestà, la rettitudine, perfino la militanza sono parte di un disegno di amore per gli altri, il proprio paese e se stessi.  Quello che ti insegnano è a non far del male, a non mentire, a non scappare di fronte alle responsabilità. Ti chiedono di fare del tuo meglio, di sistemare il disordine, di condividere esperienze e cose, di non aver paura di abbracciare persone, culture e punti di vista. Quello che ti dicono di fare è diverso da quello che fanno. E questa non è onestà.  Vai avanti per un po’ a chiederti per quanto ancora le parole non rifletteranno i fatti e se è davvero così che funziona. A volte ti senti migliore, altre sbagliato, nella maggior parte dei casi solo diverso. Alla fine sei solo il risultato di alcune scelte complicate, di un'adolescenza da cercatore d'oro e di un'eredità intellettuale da preservare.Sarebbe potuto essere facile, certo. Ma avrebbe avuto un altro sapore la vita per me.Io ammiro chi non si nasconde dietro una bandiera. Quelli che non si aggregano per sentirsi più forti. Quelli che non frequentano i comizi e le adunate e le parate militari, quelli che non partecipano ai cortei. Ammiro quelli che vivono del coraggio che riescono a racimolare ogni mattina. Quelli che hanno l’anima pura e non si contraddicono. I soldati che piangono davanti alle macerie di una città, i medici che crollano di fronte alla morte, i magistrati uccisi, i giornalisti rapiti, le madri coraggio di figli arsi vivi, il popolo dei clown d’ospedale, la stirpe silenziosa dei ricercatori scientifici. I figli della matematica, quelli della letteratura e di tutte le altre arti nobili. Io ammiro chi ancora ci crede, e non si vergogna di aver fiducia. Chi non distrugge. Chi costruisce. Chi si interroga. Chi capisce. Chi sa leggere, chi sa spiegare. Chi sa dimostrare, chi si ferisce, chi si cura degli altri, chi si difende, chi combatte. Chi si piega, ma non si spezza e quei pochi senza nome, che anche spezzati, feriti a morte, fragili come cristallo, vanno avanti per tentativi e non smettono mai di dire grazie. E quindi grazie.