Bushi ni nigon nashi

- non devi trattare le cose importanti troppo seriamente -

Creato da BubY790 il 24/02/2005

 

Io non sono affatto forte. Ho solo imparato a raccogliere i cocci e a rimetterli assieme, ma questo lo sanno fare tutti, un po’ di colla di qua, un po’ di là, un po’ di “non fa niente”, “passerà”, “non importa” ed eccomi di nuovo in piedi. No, non sono forte. Io cado in pezzi ogni momento. È solo che so ricominciare.
[Carmelita Zappalà - da La Notte è in Fiamme] 

 

 

Com’è che un amore finisce? Finisce quando non ce n’è più, quando ce n’è troppo, quando in realtà non c’è mai stato. Un amore finisce perchè qualcosa si consuma: allora non bisogna usarlo, forse, l’amore. Ma finisce pure quando non si consuma niente e anzi: tutto rimane come il primo giorno. Così perfetto che pare finto. E allora almeno un po’ forse bisognerebbe usarlo, l’amore. E se poi finisce perché mentre lo usi ti cade per terra e si rompe? Anche quello può capitare. Così come che lo lanci in aria, per giocare, e quello però non ti torna più indietro: può capitare. O magari finisce perché te lo scordi da qualche parte, perché lo vuoi tenere sempre chiuso in tasca per non perderlo, ma così marcisce, va a male. Finisce perché andavi di fretta, finisce perché rimani indietro, finisce perché vuole finire, perché deve finire. Finisce perché non c’è cosa più impossibile da tenere a mente, quando un amore comincia, che potrebbe finire….

[Chiara Gamberale “Le luci nelle case degli altri”]

 

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TOO MUCH LOVE WILL KILL YOU

I'm just the pieces of the man I used to be 
Too many bitter tears are raining down on me 
I'm far away from home 
And I've been facing this alone
For much too long 
Oh, I feel like no-one ever told the truth to me 
About growing up and what a struggle it would be 
In my tangled state of mind 
I've been looking back to find 
Where I went wrong 

Too much love will kill you 
If you can't make up your mind 
Torn between the lover 
And the love you leave behind 
You're headed for disaster 
'Cos you never read the signs 
Too much love will kill you - every time 

I'm just the shadow of the man I used to be 
And it seems like there's no way out of this for me 
I used to bring you sunshine 
Now all I ever do is bring you down 
Ooh, how would it be if you were standing in my shoes 
Can't you see that it's impossible to choose 
No there's no making sense of it 
Every way I go I'm bound to lose 
Oh yes, 

Too much love will kill you 
Just as sure as none at all 
It'll drain the power that's in you 
Make you plead and scream and crawl 
And the pain will make you crazy 
You're the victim of your crime 
Too much love will kill you - every time 

Yes, too much love will kill you 
It'll make your life a lie 
Yes, too much love will kill you 
And you won't understand why
You'd give your life, you'd sell your soul 
But here it comes again 
Too much love will kill you 
In the end... In the end

 

 

Non lo so più che cosa succeda alle persone normali. Non mi ricordo.

Post n°329 pubblicato il 12 Marzo 2015 da BubY790

Sì, sto bene. Non lo so se sono felice come intendete voi, ma l’amore, i risultati al lavoro e una certa sicurezza economica sono cose che mi permettono di non lagnarmi. E per alcuni potrà sembrare anche banale, l’amore. Figurarsi per me a parlarne da qui, come fossi un’eterna adolescente sotto tempesta ormonale, ma se solo sapeste. L’emozione, capite? Vivo in un costante stato di sovraeccitazione emotiva, piango di gioia anche, più di quanto io non abbia fatto in tutta la vita. E lo so che chiedevo ai miei fratelli d’anima di corcarmi di legnate se solo mi fossi messa a scrivere di amore e di stelle ma ecco, guardate come brillano. Tutte e due.
Sono passata attraverso il tempo nella costante convinzione che almeno una volta nella vita ognuno di noi meritasse di essere amato pazzamente. Letteralmente.
Con tutti i ritardi al lavoro del caso, le sorprese delle due di notte, i chissenefrega oggi rimaniamo a letto tutto il giorno, i pan di stelle per pranzo, la nostra canzone che risuona in tutto il centro commerciale, le docce fredde, le mani calde, i baci lenti, l’amore fatto con gli occhi, i tatuaggi uguali, le pistole ad acqua, gli occhiali da nerd, gli avatar alieni, il nargilè e gli scacchi sul balcone.
Non lo so più che cosa succeda alle persone normali. Non mi ricordo.
Non guardo indietro, voglia zero, quindi non guardo e non rileggo, perché francamente sono già stata spettatrice e autrice del mio tempo, niente lacrime, niente Adele nelle casse, per intenderci. 
Io so solo che se guardo a domani vedo noi due. E lo so che ci ho provato più per caso che per necessità, perché volevo crederci. Ci ho provato perché volevo sentirlo da me che nella vita non è tutto standard, non ci sono solo i tasti bianchi e quelli neri di un pianoforte, ma c’è il vuoto degli interstizi, il lucido del legno, il freddo dell’ottone che va via via ossidandosi.
Non so bene che cosa succeda a livello sub-quantico nel silenzio d’ombra delle 00.00, ma so che ogni notte noi ricominciamo da qualche parte e ci diciamo buongiorno, so che la sensazione di essere sospesi su un vuoto dimensionale è perenne, ognuno nella sua parte di letto in questa parte di vita. Sempre altrove. Invincibili.
E va bene, la mente degli uomini è semplice e quella delle donne complicata, i giorni troppo corti, le notte inservibili, gli occhi che si cercano, le mani intrecciate, ma il mio Oh, beh in estemporanea del mercoledì pomeriggio è stato più una necessità che voglia di esprimere un concetto. E’ stato liberarmi dello stupore accumulatosi dentro.
Come diceva quello per me la bellezza è una persona che dopo un’ora che ci parli è molto più bella di un'ora prima.

 
 
 

Adesso che sei forte... che se piangi ti si arrugginiscono le guance...

Post n°328 pubblicato il 13 Agosto 2014 da BubY790

Fino a che non sei con il culo piantato su una sedia di metallo di una stanza d’ospedale di notte, con la mano sinistra poggiata sul cuore di qualcuno che ami e che potrebbe andarsene da un momento all’altro, non puoi capire che cosa si prova ad avere paura.
Uno crede che la paura sia un’emozione comune agli uomini, come la gioia e la gelosia. In realtà la paura differisce dal terrore, che è più primitivo, perché ti inietta gli occhi di sangue e ti avvicina a Dio, chiunque egli sia.
In questa notte di bollicine di ossigeno, tubi verdi e aghi nel braccio, quello che sento è un misto di dolore e preoccupazione, ansia cieca, cupa rassegnazione, sentimenti esasperati e mani giunte.
Tiziana dice che la preghiera salva l’anima delle persone dall’inutilità. Io combatto a mani tese contro l’istinto primordiale di staccarla dai suoi fili di plastica, caricarmela in spalla e portarmela via.
Tutto questo mi riporta a quella volta, quando vennero a dirci che non ce l’aveva fatta e, mentre la mia guancia scivolava verso il fondo di un muro di piastrelle, la mia testa farneticava che se fossi riuscita a riportarla a casa e metterla nel suo letto avrei potuto salvarla.
La notte, nelle corsie d’ospedale, i ricordi si annidano nelle crepe dei muri, sotto gli zoccoli dei medici di guardia, nei neon gialli, nelle flebo lente, goccia a goccia, così ci andiamo avanti tutta la notte. E almeno abbiamo un obiettivo, superiamo questa. Una notte alla volta.
Rubo minuti alla luna, guardo oltre e attraverso un corridoio di vetri e specchi, mi sembra di vedere me tra un milione di anni, o un milione di anni fa, ma non adesso.
Il respiro si fa regolare e finalmente riposa, chiudo la flebo, mi implora con gli occhi sgranati, puoi riposare ora, dormi amore mio, dormi.
Nella vita di ognuno la paura è una condizione che si raggiunge con l’esperienza. Prima è altro.
Ma quando sei passata per l’assenza, quella vera, quella che prima c’era e di colpo non più, quella che ti sveglia di notte e ti fa chiedere “dove sei?”, quella che non sai come, ma devi trovare il coraggio per andare avanti, allora eccola la paura: ti ferma il sangue nelle vene, ti assolve da ogni colpa, e ti apre in due, tagliata a metà. Di fronte all’altare del suo busto che si solleva nel respiro.
Continua a respirare ed io continuerò la mia preghiera.
Dammi la ragione, lasciami il tempo di fare le mie scelte con la certezza che ci sarai. Quando arriverà il momento di benedirle.
Hai fatto bene, hai fatto male. Poi, in fondo, cosa conta? 
Contano le nottate così, ad assumerci responsabilità, a giocare col destino e a domandarsi “fino a quando”?
Io non so se ho visto giusto, ma la sensazione è quella li.
Quella di quando sono venuti a dirci che Stefania aveva avuto un incidente e la mia testa già sapeva che non era un tamponamento, che non si era rotta una gamba e che me l’avrebbero portata via.
Lo sapeva che non c’era scampo e che mi sarebbe mancata ogni giorno della mia vita.
La sensazione è quella. E forse è solo perché sono seduta di notte su una sedia di ferro di una stanza d’ospedale, con una nebbia fredda dentro che mi gela il respiro, ma da qui tutto sembra più grande. E il mondo lì fuori immenso, e le emergenze ingestibili, e le difficoltà insormontabili e le crisi insuperabili. E i senzatetto, i gatti randagi, i cani abbandonati e la guerra, mio dio la guerra, e i bambini sfruttati e le donne ferite e gli uomini stanchi e la gente che non ce la fa più. Ti fa partire la testa, roba che ti manderebbe all’ospedale, se non ci fossi già.
Così cominci a riempirti il tempo con facebook, twitter e whatsapp, rainews24, meteo.it, l’oroscopo di Paolo Fox e le foto delle tue vacanze. 
Ripensi al tempo speso bene dietro alle cose sbagliate e viceversa, e ti chiedi come potrebbe essere il tempo speso male dietro alle cose giuste.
Che poi, in qualche misura, stando a quello che dite tutti, se è la cosa giusta, ma giusta davvero, troverà il modo di restare.
E allora, forse, di cose giuste non devo averne incontrate molte nella mia vita, giacché le cose, ecco, continuano a finire. E non c’è ancora nulla che abbia scelto di rimanere. Perché forse la parola chiave è per sempre e il per sempre non esiste.
Tutto quello che so di questa notte qui è che fa a pugni con il buio delle mie notti precedenti.
Tutto quello che non so se ne sta accucciato sotto strati di lenzuola bianche di cotone, respira in silenzio, coi tubi nel naso, e non si lamenta mai.
Dicono che abbia una soglia del dolore molto alta. Ma io la chiamo dignità.
Coraggio. Disciplina.
Eugenio dice che il dolore può essere controllato, che la testa è uno strumento potentissimo e che usandola bene puoi cambiarti anche il destino, se ci credi davvero.
Io mi addomestico alla speranza allora e stringo più forte la mano su questo cuore che batte lento, ma che non si arrende. E allora, se non lo fa lui, perché dovrei farlo io?
Sono qui con le dita rattrappite dalle emozioni e l’anima in subbuglio e le guance bagnate e, davvero, quello di cui ho bisogno è che qualcuno mi sollevi. E non è una cosa tanto per. Non è figurativo.
Ho bisogno di avere una certezza, un’opportunità, la tranquillità di poter chiamare la persona che amo e dire “ho bisogno di te” e vederlo entrare da quella maledetta porta. Prendermi in braccio.
Solo lui che mi prenda in braccio. Che mi sollevi da tutto, da questa sedia e da questa angoscia, dalla paura, dalla gravità, dal mondo.
Ci vorrebbe anche il coraggio di partire e di non guardare più indietro.
Ma non è semplice da spiegare. Così rimango... e aspetto.

 
 
 

Di risposte emotivamente deficitarie, esitazioni perpetue e altre incertezze...

Post n°327 pubblicato il 23 Marzo 2014 da BubY790

 

Che alla fine, di domeniche di pioggia, mica si muore.
E non ci sono risposte per quelli che “le candidature solo se realmente interessati”. Sono quesiti difettosi, quelli dei pomeriggi grigi. E certe risposte si rendono inservibili se portano solo a nuove domande.
Ma tant’è. Uno dei Simone, che una sera di queste mi ha regalato un fiore giallo, mi ha detto che le emozioni è importante viverle e non – sempre – analizzarle. Smettila di chiederti il perché delle cose, ha detto poi.
Io volevo rispondergli che io la devo ringraziare quest’apparente ricerca di stabilità, la mia voglia di discernere. Il distinguere.
Se no sarei una bandiera al vento.
Ve la metto giù come va di moda oggi: sono un’addicted del capire. 
Sarò “rigidina”, che vi devo dire, magari ha ragione lui, sono una dipendente dai perché e dai per come, forse da piccola mi lanciavano in aria per giocare e poi non mi prendevano, ma questa cosa che tanto è uguale e tutto è così e basta e tanto poi il senso arriverà da solo e comunque dipende, a me scombussola, mi spettina e mi fa venir voglia di gridare vaffanculo, non è vero.
La sequenza emotivo-sentimentale degli ultimi tempi la conoscete già, io giro per un po’ intorno ai miei recettori sensoriali, do loro un codice fiscale, un ruolo e una scadenza ben precisa in modo che sembri più semplice gestirli o visualizzarli in un’esatta simmetria (che poi esatta non è mai) e alla fine fuggo via terrorizzata. 
Chi vuole essere lieto sia, del doman non v’è certezza è un concetto superato come lo yogurt da bere, a me questa cosa di fare le cose tanto per m’ha stancato. E ci ho provato eh, non si dica che non ho tentato, ma sto crollando sotto il peso delle cose che non capisco. E, sempre per quella vecchia storia del guerriero della luce, io voglio dare valore alle cose che faccio.
E lo so che sono una stramba cervellotica adoratrice di equazioni, ma per me trovare il senso delle cose è una missione, la ricerca di logica è uno stile di vita e ultimamente comincio a sentirmi sola in questo mondo di persone che non ha mai dubbi su niente.
Azzardo punti interrogativi a volte, perché è così che sono stata cresciuta,  e mi guardano con gli occhi stralunati come a dire “ma perché mi dovrei fare di questi problemi ?” E tutti che mi rispondono non lo so, tutti che dicono è uguale, tutti vivi il presente, non preoccuparti, non prenderla così, non importa.
Questo significa che tutti fanno cose e non sanno perché, dicono una cosa e sarebbe stato uguale se ne avessero detta un’altra, non hanno obiettivi, non hanno coscienza, non conoscono empatia e se ne fregano. E sono io quella strana.
E’ solo una questione di onestà intellettuale, non di morale. E il punto non è cosa è giusto e di cosa è sbagliato, il punto è quello che significa per me. Il modo in cui mi fa sentire il non guardarmi più indietro, il transitare su una scala interiore di valori che si disfa sotto il miei passi, il mostrare, più che l’essere.
Io lo so che le domande fanno casino e complicano la vita, e va detto che le cose migliori le ho fatte per sbaglio, ma io “che sto facendo di buono” me lo domando tutte le sere, e per amore dell’indelebile mi affido alla capacità di discernere che ci siamo tramandati di padre in figlio, che devo fare. Lascio che le parole mi sanguinino dalle dita come succede stasera, limito i danni, pretendo risposte ma ho troppa paura di far domande esplicite, mi arrendo allo sfacelo degli eventi e poi mi ricompongo.
E poi di colpo alzo gli occhi da questo computer e c’è la notte e fuori piove e neanche la ricerca di senso ha più senso.

 

 

 
 
 

Ma mi dico faccela anche stavolta, ti prego, faccela.

Post n°326 pubblicato il 26 Febbraio 2014 da BubY790

 

Sembra che oggi sia successo qualcosa. Non so cosa, ma mi ha creato una strana nebbia nella testa, un’assurda foschia senza nome che mi appanna i pensieri. Le emozioni ovattate, quella strana combinazione di vorrei ma non posso, i gesti plateali, quelli di cui non ti fidi, fino a che te li trovi lì, spiattellati davanti agli occhi. Sistemati su un vassoio d’argento, serviti per pranzo, cena e colazione del giorno dopo.
E’ che io ho l’anima a brandelli. Me ne sto in un angolo con i pugni chiusi, pronta a difendermi. Preparata al peggio, addestrata alle delusioni, alle cattive intenzioni e a chi sparisce la mattina dopo. E invece. La purezza dei sentimenti provati, la violenza di certe emozioni, il senso di  commozione dei ricordi.
L’eleganza del non importa stasera lascia il posto ad una specie di grido di dolore, ad una preghiera muta, ad una garza sui tagli più profondi.
Che poi le cose che ho da dire alle persone importanti io ce le ho scritte in faccia e stasera non posso essere più delicata di così. Potrei diversamente forse, ma di più no. Sono una clessidra riempita di polvere da sparo e ho il sangue che mi va a fuoco in questa notte di parole in html e mancanze di troppo e immagini sparse: i fotoromanzi che non ti aspetti, guardando nella direzione sbagliata. Io non lo so dove vanno i sospiri che faccio, se in  nessun dove, se nella follia di un altro, negli occhi stanchi di un’anestesia, nella fine di un viaggio, o all’inizio di un’avventura. So che stasera ero disperata e avevo solo due alternative, o ammazzarmi di Nutella o ubriacarmi abbestia. Così ho scelto la terza. 
Ho telefonato a mia madre singhiozzando. Mi ha chiesto la cosa più ovvia e amorevole e piena di significato si possa chiedere in queste circostanze: hai mangiato?
Ed è un po’ come quella cosa che vallo a spiegare, il mare, a chi non c’è nato. A casa mia l’amore vero è elementare. E’ occuparsi più che preoccuparsi. E’ l’accappatoio sul termosifone, è dirsi buongiorno con un bacio, è la domenica a tavola tutti insieme. E’ sentirsi, non ascoltarsi. E’ che vicino è l’unica distanza possibile. Così hai mangiato? per me significa ti amo. Sì mamma. Anch’io.
La verità è che oggi sono riusciti a ferirmi. Forse avevo abbassato la guardia o forse ho il fianco scoperto da tutti i non importa che hanno preso ad importare, forse è che ho ferite infette che non smettono di sanguinare. Colpa mia. Parole e singhiozzi e lacrime e sale e insalata scondita e patatine fritte, ossimori.
E’ che sono arrivati quelli che… non hanno avuto rispetto di nulla, capito? Sono… entrati di nascosto… e hanno… detto che io… ma poi perché… lo sai che non sono così e pensavo anche loro… ma poi che c’entra… e come faccio a fargli capire… e lo sai, io non vorrei…  si sono approfittati di te, di me, di… tutti noi, e ci hanno girato le spalle… e dov’erano loro quando… e povero piccolo mondo angelico, dove a farsi la guerra sono quelli che hanno gli stessi occhi.
Fingi che non ti importi. Sei bravissima tanto. Ti asciughi le lacrime per un po’, ti stringi forte nelle spalle, provi a camminare dritta, e poi passa. Tutto passa. E lo so che bisognerebbe rompersi il cazzo qualche volta, non spezzarsi continuamente il cuore. Ma mi dico faccela anche stavolta, ti prego, faccela.

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Se il mio destino è di andare guiderò fino a perdere la strada...

Post n°325 pubblicato il 23 Gennaio 2014 da BubY790

 

Qualcuno dice che il mio blog è triste. Ho capito che dipende dalla musica, la musica che ho in testa, quella che uso per educare il senso delle parole, le note al cappio del filo spinato che mi si attorciglia intorno. Perché in realtà, io triste davvero non lo sono da molto tempo. Sono migliaia di altre cose, dal malinconico all’esuberante, passando per tutta una serie di fasi emozionali alterne come la gioia, lo stupore, l’angoscia, la fatica, l’esultanza, la compostezza, la fierezza e lo sfinimento. E questo solo nell’ultima ora.
E no, non sono triste. Perché io la tristezza vera l’ho conosciuta e non è questa.
La tristezza vera è trascinarsi. E’ avere l’anima a brandelli, provare a ricucirla e ferirsi a morte con l’ago. E’ non vedere le differenze, non sentire i sapori, non volere niente, non sapere cosa e rassegnarsi.
Ecco perché non sono triste. Una serie di motivi:
- Credo di essere morta una volta. Ma ora sto bene.
- Mesi fa ho sperimentato una nuova droga e ne sto ancora saggiando gli effetti.
- So che posso smettere quando voglio. Certo.
- Sono circondata, perlopiù, da persone magnifiche che trasformano ogni mio giorno in un giorno da ricordare.
- Soffro per amore. Che è la cosa più bella che potesse capitarmi.
- Le mie notti e alcuni dei miei giorni sono pervasi da uno strano senso di infinito. Percepisco ogni cosa, anche quello che non è ancora accaduto. 
Mi sento come dovevano sentirsi i ragazzini dei Goonies prima di partire alla ricerca del tesoro di Willi l’Orbo. In preda ad una specie di euforia pacata da tener segreta allo sguardo degli adulti, ora che il mio viaggio sta per cominciare.
Ognuno ha nel fondo degli occhi un’immagine che descriva la propria vita, per qualcuno è una partita di scacchi, di pallone, di scatole di sardine arrivate all’indirizzo sbagliato. Per altri è un cortometraggio, una sequenza di fotogrammi a cui si è scelto di assistere solo da spettatore. 
Per alcuni, ho sentito dire, la vita è un gelato che si scioglie in fretta sotto il sole. 
Per me la vita è il viaggio. Non un viaggio solo, ma la continuità del partire e tornare, cadere e rialzarsi, sperimentare, scegliere tra un mare di opportunità sempre la meno ovvia. Custodirne gelosamente i cimeli in una scatola sullo scaffale più alto - difficile da raggiungere - e nell'attesa cercare di "disfare, sdipanare, districare e rappezzare insieme il passato e il futuro". Perché il destino dell’uomo è di andare avanti.
Così, ecco, io non sono triste. Sono solo in partenza.

 

“Non buon viaggio
ma avanti, viaggiatori.”.
[T. S. Eliot]

 

 

 
 
 

Fall out again...

Post n°324 pubblicato il 21 Gennaio 2014 da BubY790

 

In fondo questo è un mondo di eroi. Io me ne accorgo quando nascondete le lacrime dentro il collo del giubbotto, le sento come ultrasuoni le parole che non direte oggi, mi ferisco ogni giorno con le lame delle vostre battaglie, talmente tanto e così profondamente che le mie, di ferite, non le sento neanche più.
Il giorno che ho preso a sanguinare su quel campo di calcio il mio unico pensiero era per quelli costretti a vedermi ridotta ad un mucchietto inerme, intrappolata dentro una ferita del tempo, fragile.
Inventati un titolo per tutto questo, pensava la mia testa. Un titolo che faccia ridere.
Mia mamma diceva che in realtà io dovevo essere una farfalla notturna. Una falena con le ali fragili ricoperte di scaglie. Una di quelle che può volare anche 300 km durante una notte, ma ha paura di una carezza.
Così, anche quella sera lì, ho rifuggito ogni gesto di vicinanza e amore ed empatia e forse, sì, ecco, pietà, e detto una stupidaggine. Una delle tante, prima di tranquillitutti, iocelafacciodasola, sonounguerrieroiomicaunavittima, stobenenonèniente.
La verità è che a me, quello che spaventa davvero, è la compassione degli altri. La condizione di vulnerabilità emozionale, il vittimismo intrinseco, i ricatti emotivi.
I bacetti sulle tempie.
Ho giocato così a lungo da sola che ora, far parte di questa enorme famiglia mi riempie di sgomento e incredulità. E’ una specie di disagio, capite? Il non esserci abituata.
Ho trascorso gli ultimi giorni a stirarmi tra una lacrima e l'altra, come carta fibrosa e stropicciata che non si strappa, che allunga le sue vertebre d'inchiostro e non si spezza, come fossi a prova d'acqua, di fuoco e di dolore.
Provo a tastarmi la faccia in cerca dei punti nevralgici, dell’intersezione esatta tra sofferenza e insensibilità, ma non sento male, solo piccole scosse elettriche, solo a volte un vuoto nella pancia, come un silenzio. Faccio finta di niente, addomestico la fatica, urlo scrivendo di notte. 
Come una lupa che si è allontanata dal branco.
Inizio a sapermi controllare ormai, a evitare i sospiri rumorosi e le incondizionate offerte di amicizia, limito le visioni troppo ottimistiche a quattro o cinque all’ora, non conservo la gioia perché non mi fido più della felicità, mi lascia sempre il sospetto di ricadere nel limbo in cui ero e so per certo che, ora come ora, davvero non riuscirei a salvarmi.
Accetto ogni cosa come un regalo perlopiù, ma lascio che mi scorra addosso senza fermarlo.
Ho questa specie di scudo contro gli incubi che, incapace di discernere, respinge anche i sogni.

"Confesso che ridere mi piace quasi quanto scrivere e che è una delle prime cose che cerco nelle mie compagnie. Piangere, lo so fare benissimo anche da sola e di certo non ho bisogno di un altro che filosofeggi e sfiori l’infinito perché mi basto e mi avanzo.
Al mondo chiedo di non intromettersi nel mio buio, se deve farlo in modo approssimativo, e di regalarmi luce e soprannomi e film di Ambra e spaghettate e i miei mostri sono meravigliosamente ed esclusivamente tutto questo".

[Chiara Gamberale da Una vita sottile] 

 

 
 
 

Per non confondere più realtà e fantasia tratto tutto allo stesso modo...

Post n°323 pubblicato il 06 Dicembre 2013 da BubY790

 

Che poi io, le cose migliori, le ho fatte per sbaglio. Ci ho inciampato. Ci sono caduta dentro dopo un volo di migliaia di chilometri, atterrata di faccia, con le braccia aperte, gli occhi sgranati e il cuore in subbuglio. Le emozioni sotto sale, da tenere a bada per un po’, ché lo sentivo che non ce l’avrei fatta a provarne di nuove. A sentirmi, ancora una volta, così.
Ed è stato quello che doveva essere. Una giostra piena di luci. Buste di coriandoli rovesciate e candele accese e bottiglie di champagne e tappi di sughero e cioccolato e salmone e musica e vino bianco e sveglie e sorprese e stelle cadenti e cuscini e taxi e idranti e abbracci e baci e sangue e lacrime e dolore e piacere e ti adoro e mi mancherai e, per sempre, ti penserò.
E’ stata una piccola vita. Con tutte le cose capovolte, come fossero il riflesso di un’altra realtà. Quella in cui di certo, adesso, siamo insieme. Altrove.
A volte penso che in uno degli altri universi possibili c’è gente che strappa i ricordi e si tiene le foto e magari in un altro c’è gente che strappa le persone e si tiene i ricordi. In quello dove vedo la mia anima proiettata nessuno ha bisogno di strappare niente, e si tiene le persone, le foto e i ricordi. In quello che spero di non conoscere mai, dove vivono le anime nere, si strappano via le persone come fossero cellule cancerose, si rimuovono i ricordi come fossero peli superflui e si guardano le foto incenerite nei bracieri dell’autolimitazione.
E vorrei glielo diceste voi che la vita non è solo questo pezzetto di strada che percorriamo nel mondo, la vita è un susseguirsi di stagioni, di mutamenti, di dimensioni. E’ un’evoluzione continua. 
Se poi davvero la materia non esiste realmente, se gli atomi non sono che proiezioni olografiche, se tutto è energia in movimento, perché dovremmo provare a controllare le emozioni? Che poi io non faccio testo eh, io non so usare adeguatamente neanche il miscelatore della doccia, figuriamoci un’anima, con tutte le sue fragilità.  Se solo provassi a rigirarla tra le dita, la mia, si frantumerebbe irrimediabilmente. Polvere di vetro.
E’ per questo che le lascio fare. Che mi lascio fare.
Per paura di non essere [me], quando incontrerò di nuovo il destino sulla strada per il parco, quando in questo enorme puzzle da 7 miliardi di pezzi, mi capiterà di trovarmi faccia a faccia con quello che combacia alla perfezione con i miei spigoli e le mie cicatrici.
Stasera ho mille cose da non dire, è per questo che scrivo. E per non confondere più realtà e fantasia tratto tutto allo stesso modo. E sembro drogata. Drogata di vita e di amore e di sorrisi e di luci di Natale e di messaggi e di amiche e di ti voglio bene e tutti quegli abbracci e la bellezza delle cose che stanno succedendo sono il mio regalo più grande e non so, a volte, a chi dire grazie. E allora grazie. Perché pensavo di morire e invece eccomi.
Ricomincio da qui, mossa dalle assenze, celebrando le presenze e il sole di dicembre.

 

 

 
 
 

Work in progress

Post n°322 pubblicato il 07 Novembre 2013 da BubY790

Allora, tu dici che le tue ossessioni sono dure a morire? È questo che sono gli uomini? Ossessioni? Non ti viene mai voglia di dare un taglio al gioco del dolore e della caccia e degli scacchi e delle corna? Non riesci a formulare un giudizio di valore? Non riesci a scegliere qualcuno? Qualcuno accanto a cui coricarti e guardare il soffitto e ascoltare musica, fumare sigarette, parlare, ridere e lasciarti andare? Non ti farebbe sentire bene il fatto di diventare qualcosa? Cazzo. Qualcuno dovrebbe esserci. Una persona per un'altra persona, anche se dovessi essere tu stessa.

È su questo che sto lavorando: me stesso per me stesso, piano piano, e poi forse potrò aprire la porta a qualcun altro. [Charles Bukowski]

 
 
 

Mab in Wonderland e altre favole moderne.

Post n°321 pubblicato il 28 Ottobre 2013 da BubY790


Le parole che mi saltano alle mani stasera sono affilate come lamette da barba, lascio che mi tagliuzzino i polpastrelli ma le trattengo, respiro prima di scrivere, conto fino a dieci e ritento, sarò più fortunata.
Le immagini che mi saltano agli occhi invece sono indotte, qualcuno si è preso la briga di raccontarle tutte per bene, non lesinando particolari al microscopio, l’effetto rallenty, persino luoghi, date e orari, più la via crucis del cosa hanno mangiato, bevuto, pensato, provato, sognato. Omettendo volutamente, di contro, una cosa fondamentale: la merda. Perché ecco, va detto che è quella che complica le cose nelle romantiche favole moderne. Lo schifo della menzogna, l’orrore della noncuranza, il tradimento. Ora, ce la possiamo raccontare per bene questa favoletta interculturale, se siete tutti d’accordo aggiungiamo anche gli elfi, gli gnomi e un paio di draghi, che fanno sempre effetto, la strega cattiva invece è di default.

C’era una volta, in un paese lontano lontano, una principessa brava, bella e amata da tutti. Si chiamava principessa Mab e va da sé che un giorno sarebbe diventata regina. Le piacevano le torte al cioccolato, le canzoni dei Pearl Jam e le persone con l’anima azzurra. “Perché l’azzurro – diceva a quelli che non capivano – è il colore delle cose che non finiscono mai. Come il cielo e il mare”. Un giorno incontrò degli occhi che avevano il colore di un azzurro che lei non aveva mai visto, anche se conosceva bene il mare, perché aveva nuotato insieme alle sirene e il cielo, perché aveva volato insieme agli angeli, e se ne innamorò.
Non pensò a tutto quello che avrebbe comportato, né ai problemi, né alle difficoltà, non pensò al dolore, pensò solo che se proprio innamorarsi era un problema era davvero un problema meraviglioso.
Voce fuori campo: la narratrice non conosce parole belle abbastanza da raccontare quanto accadde in seguito e perciò vi risparmierà il resoconto dettagliato dei 5 anni che seguirono, almeno fino a quando…
… una mattina la principessa Mab si svegliò in una torre al bacio di un rospo, scoprì di essere stata depredata del trono e della corona, fu costretta a mangiare una mela avvelenata, si punse con un fuso (orario), scoprì che Babbo Natale non esisteva, la sua carrozza si trasformò in una zucca e, mentre veniva abbandonata in un bosco, perse la scarpetta, i mocassini e pure gli scarponi timberland.
Voce fuori campo: io lo so che ora fa ridere ma quando successe era un po’ come quando dentro muori.
La principessa Mab però non smise di sorridere. Cercava senza sosta la sua primavera, si aspettava ancora di vedere l’azzurro nell’anima delle persone, ringraziva ogni albero e ogni fiore per la bellezza di cui riempiva il mondo, parlava con le nuvole raccontando loro la storia che sarebbe stata, sognando cavalieri in techno sound e poetesse guerriere, mondi incantati, stelle cadenti, mozzarelle di bufala, Moët & Chandon, palloni da calcio e musica di violino. Voleva solo vivere per sempre felice e contenta. Mica voleva la luna.
Oggi pensa che un giorno forse la incontrerà per caso come il Piccolo Principe incontra la Volpe e se ne prenderà cura come di una Rosa su un pianeta piccolo piccolo, ma – pare - non sia questo il giorno.
The End. Per ora.

E lo so che mancano i draghi, gli elfi e gli gnomi, andate di fantasia per questa volta, manca pure la strega dell’est, ma lo sapete che c’è, no? Nelle favole moderne c’è sempre, chiedetelo alle cancellerie dei tribunali, agli avvocati divorzisti, agli psicoterapeuti o a Dio. Questa è gente che ti massacra e ti chiede perché non collabori, ha l’arroganza esasperata del chissenefrega come stile di vita, gioca a fare la maledetta con la vita, ti butta benzina addosso e scagliandoti contro il fiammifero acceso ti chiede scusa con la più sincera delle espressioni. 
Tu ti lasci dar fuoco per un po’ così da poter affrontare con una certa dignità il freddo e il logorio della vita, collezioni pillole di disattenzione e ad ogni nuovo ceffone porgi l’altra guancia. Poi ad un certo punto è troppo anche per te.
Voce fuori campo: è allora che volano i vaffanculo. 

 

 
 
 

L'amore salverà il mondo.

Post n°320 pubblicato il 14 Ottobre 2013 da BubY790

 

Mezz’ora e poi vado, lo giuro. Scrivere stanotte ha un sapore strano, agrodolce direbbe qualcuno. Io “agrodolce” è una definizione che detesto. Forse perché lo usa Adele in quella canzone, non so. E lo so, lo so, non fate caso a come scrivo stanotte, prendete tutto per buono, perché vado di getto, di pancia, come stessi vomitando. Che poesia.
E’ da tanto che non vengo qui. So che altri hanno bazzicato questi luoghi, cercando risposte a domande mai fatte, pezzi di vita vissuta in comune, situazioni in cui riconoscersi. Ma sapete, a volte siamo solo degli sconosciuti capitati per caso nelle foto degli altri. Gente di passaggio dentro un’inquadratura. Non c’è nulla che ci tenga, nulla per cui gli altri dovrebbero tenerci. Saremo per sempre la figura sullo sfondo, l’immagine sfocata, la sagoma irriconoscibile. A volte bisogna rassegnarsi ad essere le comparse in un colossal, la maschera a teatro, il tizio dei pop corn.
E non è che sono venuta qui tutta di fretta per fermarmi a dire questa roba qui, è stata solo un digressione, una delle tante che di certo mi capiterà di fare, scombinata come sono.
E’ che di emozioni contrastanti ne ho collezionate così tante negli ultimi tempi che non so più se le lacrime che piango a volte, su quella male/benedetta panchina del parco siano di gioia o dolore. Vado a correre ancora se non piove, nonostante gli allenamenti di calcio continuo a correre come se non ci fosse un domani, e al diavolo la pioggia, il freddo e le foglie secche. Quel posto mi ha salvato la vita troppe volte per poter pensare di abbandonarlo. Che dicevo? Ah, sì ecco, vedete? Mi perdo nei discorsi.
Dicevo che vado a correre e andando via raggiungo il boschetto, mi siedo su quella panchina (sempre la stessa of course), metto la testa in mezzo alle ginocchia e piango. E lo so che detta così ci sarebbe da mandarmi che so, la lega del nastro rosa, quelli contro la violenza sulle donne, un telefono amico almeno, il wwf finanche, qualcuno che venisse a darmi una botta in testa, ma vedete, non è una cosa triste. E’ un cosa che a pensarci sa proprio di infinito. Perché a me, quello che mi scatena il pianto, è l’emozione. Emozione per due che si tengono per mano, per la gente che sorride, per i bambini che corrono, per le nuvole, ecco sì, l’emozione per le nuvole, i raggi del sole che filtrano tra i rami, i cani, i treni, i fiori, le canzoni nelle cuffiette.
Stasera guardavo il mondo dal finestrino di un pullman affollato di gente che, come me, tornava a Roma dopo il weekend. Bloccati sul raccordo insieme ad un altro milione di persone che strombazzavano e si incazzavano e sbraitavano agitando braccia, alzando toni, luci e livelli di testosterone (come fanno gli animali per la conquista del territorio). Con la testa appoggiata al vetro e gli occhi aperti sui sogni, ho incrociato la traiettoria di due che ridevano e si baciavano e parlavano e si sfioravano e ah, un miracolo on the road ho pensato, l’amore ho pensato. Questi due si salveranno ho pensato.
E io ho bisogno di un rifugio ho pensato. Adesso, sapete. Un rifugio e qualcuno che mi tolga la ruggine dal cuore, perché così non ce la faccio. Qualcuno che mi sbottoni l'anima, non solo la camicia. Ho bisogno di ricominciare a crederci, perché non mi fido più, non mi confido più. Di nessuno e con nessuno. C’ho questa specie di morte che qualcuno m'ha seminato dentro, una solitudine fredda, un silenzio che grida. Una cosa che fa a pugni con l'emozione.
E sapete quelle situazioni senza domani, come quando state facendo la cosa sbagliata ma va bene uguale?
Ecco, va bene uguale. Forse sbaglierò. Forse cadrò e farà male da morire.
Forse troverò quelle mani [com’era quella parola per descrivere le mani che si trovano eccetera, come cazzo era quella parola che non mi viene, c’era una parola… ] e invece di camminare comincerò a correre. Non lo so, non so più niente... ma ehi, quella parola forse l'ho trovata, vorrei chiamarla destino, ma non mi sembra ancora il caso, però la voglio.
Come diceva quella lì, dovesse far male da morire è vivere che voglio. 

 

 

 
 
 

E un bacio non dato, l'amore pensato...

Post n°319 pubblicato il 16 Settembre 2013 da BubY790
 

Sembrano le cose. Suggeriscono le cose. Si assottigliano. Giocano a nascondino e poi si scoprono. Io non so che cosa sia capitato alla mia proverbiale razionalità, ma di certo, se c’è una spiegazione si chiama essere quel qualcuno senza nome che, incontrandosi al buio delle questioni di principio, scopre vincoli emozionali, aspettative senza nome e quella sorta di fiducia mal elargita che al cospetto dell’ossitocina può poco e maldestramente. Senza crederci.
Eppure. Dicono fidati. Dicono vivitela. Suggeriscono di non buttare tutto all’aria, che le cose finiranno comunque e che ci sarà tempo per soffrire del distacco. Ma intanto.
Intanto io sto ipotecando una di quelle botte di dolore da cui sarà difficile riprendermi. Ci vorranno tempo e lacrime e aiuto e notti a pregare, muri del pianto, spalle da circondare. Situazioni al collasso, niente sogni, solo qualche istante di pace, nel ricordo. Forse un ciao, scritto da qualche parte, per i primi tempi, poi non più. Perché io, in fondo, chi sono, se non il passatempo di questi mesi. L’emozione in transito, il sentimento in scadenza, il senso delle cose che non dovrebbero averlo, un senso. 
La cosa dolorosa è sapere che certe cose non devono funzionare e, nonostante tutto, funzionano lo stesso. Si ammantano di credibilità, ma sono fantocci, imitazioni fedeli, ma finzioni. 
E quanto possono significare, se in fin dei conti, sei la metà di niente?
Io ho l’aspetto un po’ così, di quelle che si lasciano coinvolgere per sbaglio. O per fortuna. Di quelle che i dolori se li tengono dentro stretti stretti, per non farli sentire, per non far troppo rumore. 
Così ora vi dirò una cosa controcorrente: dai silenzi non si capisce un cazzo. E questo silenzio qui, autoimposto, fa una gran casino. Perché a sentirle dire certe cose, #piccola #mimanchidamorire #tiadoro e roba così, ti viene da crederle almeno un po’ e se non è quello che puoi/vuoi/devi allora è meglio starsene al buio di una stanza insonorizzata. Rigirarsi tra lenzuola che sanno di muschio e provare a dimenticare.
Sparire è il tempo infinito che mi viene in mente più spesso. Giorni di silenzio e poi il nulla, come se non fosse mai successo.
Vorrei solo non accorgermi di tutto. Non sentire tutto, non provare così tanto, non soffrire di ipersensibilità acuta, cronica, congenita, genetica e autodistruttiva. 
Non essere [me] così tanto, in fondo.
Sapete quella storia di malinconie mal celate e risposte emotive poco convincenti? Di lui, che torna ad essere un estraneo dopo che le vostre vite sono state fuse in una, dopo le confidenze, dopo l’aver abbattuto il muro di qualunque pudore. “Sarete due estranei anche se conoscete il ritmo del vostro sonno, i vostri odori, le vostre abitudini. Due estranei che si conoscono meglio di chiunque altro e le cui vite non si incroceranno mai più, se non per caso”.
Ti trovi ad avvolgere il cuore nei giornali del giorno dopo. Ci butti sopra un po’ di acqua e sale, lacrime cristallizzate e una spruzzata di champagne, lo chiudi nella scatola delle aspettative spaiate, scrivi il mittente, ma non il destinatario, che tanto se deve arrivare da qualche parte la strada la troverà da solo.

 

 

 
 
 

C'è mancato poco che non succedesse mai...

Post n°318 pubblicato il 29 Agosto 2013 da BubY790

 

Qualcuno mi dice scrivi ed io ci provo. Qualcuno che ha i pensieri al collasso, i giorni da contare, le note nella testa. Mi metto qui, stasera, e ci provo. Se non fosse stato per quei beep beep degli avvisi sul telefonino ci sarei già riuscita, se non fosse per quest’aria di pioggia che mi entra dalle finestre mi sarei chiusa dentro e avrei abbassato le tapparelle, puntato gli occhi sullo schermo, ammaestrato le parole a starsene in fila come voglio io. E invece fuori dal mio balcone c’è questa Roma che si inzuppa d’acqua e di aspettative, di luci e rumori, suoni, odori, miracoli ambulanti. Capita di incantarsi. Succede. Becchi proprio l’emozione giusta al momento sbagliato e lasci che ti porti via. Poi diglielo che non hai bisogno di altro dolore. Che hai già dato e che vorresti solo la luce dei domani che non riesci più a vedere, il senso del futuro, l’aspettativa del giorno dopo. E invece è tutto qui e adesso. Ora, proprio ora, nel tuo oggi di ogni giorno. E diglielo che la vita fa un po’ come vuole, a quella lì, diglielo che si rigira come vuole e tu non puoi fare nulla se non guardarla girare, porgere una mano – ogni tanto – per lasciarti trasportare dove non ci sono decisioni, né aspettative ingannate, neanche i tradimenti, gli abbandoni, i ricatti morali, le infezioni emotive, le brutte copie degli amori. Tu lascia che guidi un po’ lei e ti salverai. Permettile di fare il suo gioco, che tanto a ribellarti guadagni solo graffi, come con i gatti.
Io da un po’ di giorni vivo così. Mai in attesa, ma con i palmi rivolti in alto. Mai a far domande, solo a dare risposte. Niente più lacrime, solo io.
E volevo raccontarvela la mia storia, davvero, solo che le parole giuste stasera non affiorano, se ne stanno tutte accucciate intorno al falò delle buone intenzioni, bevono vino bianco, si ubriacano per strada e passano la notte a vomitare. Le parole giuste a volte sono persone sbagliate. 
Le persone sbagliate a volte sono quanto di meglio potresti chiedere alla tua vita, per quello che rappresentano e per come ti fanno sentire. Le sensazioni, è di quelle che devi fidarti, ogni percezione è una campana tibetana che ti risuona dentro. E il fatto che tu possa esplodere o implodere ad ogni rintocco ha il sapore di una verità che nessuno potrebbe raccontarti. Io non sono mai stata brava con le persone, ma le persone sono sempre state brave con me. Hanno preferito fidarsi. E io non le ho tradite. Le ho guardate negli occhi e accolto brutte verità e amabili menzogne, ho aspettato che capissero chi ero, da dove venivo e qual era la mia storia. Non ho mai voluto dirglielo. Per via di quella cosa delle campane, che devono risuonare di sensazioni pure, non indotte.
Qualcuno è rimasto, qualcun altro è andato e non tornerà mai più. 
Qualcuno pensa a me e sorride. Altri stringono i pugni. Uno, uno soltanto, ignora io esista ancora. Ma è perché gli ho fatto del male. E il male ti cancella. Ti si insinua nel cervello, si inventa una proteina e con essa ti rimuove per far spazio a nuovi ricordi. Alle cose belle.
Ognuno di noi, in fin dei conti, è l’angelo di qualcuno e la brutta bestia di qualcun altro. 
Basta tenersi pronti. 

 

 

 
 
 

La guerra è finita, scrisse così.

Post n°317 pubblicato il 12 Agosto 2013 da BubY790

Il fatto è che io la verità che volete sentirvi dire non ce l’ho. Non ho i giusti riferimenti temporali, i flashback al vetriolo, neanche mi ricordo di tutte le volte che sono uscita di casa di notte per non sentire. Voi dite un paio, io so che sono molte di più e che era straziante, voi dite che il dolore era nell’aria e che tutti più o meno ne respiravamo il senso. Io dico che un dolore subito è differente da un dolore causato e che quando il buio ti piomba addosso all’improvviso e sei impreparato ed impotente fa più paura di quando sei tu a spegnere la luce. Il fatto, un altro fatto, è che non ha più importanza ormai. Chi è la vittima, chi il carnefice, chi sta meglio, chi sta peggio, chi ha somatizzato, chi è guarito e chi si è ammalato. Siamo anime sole e da sole vaghiamo. Chi più di altri, certo.
E’ che le strade che le persone decidono di imboccare portano sempre da qualche parte, non ci si può aspettare un circuito nella vita. Non esistono anelli, non esistono piste e non c’è forza centrifuga che tenga. C’è un inizio e c’è una fine per ogni cammino e non corrispondono quasi mai. Tu prendi una decisione e questa creerà universi multipli, mondi inesplorati, dimensioni parallele e binari alternativi. E’ come in Sliding Doors, dove basta una coincidenza banale, una bambina che ti taglia la strada, un taxi preso al volo, una corsa al parco e il tuo destino cambia. 
A poter fare un’analisi approfondita delle dinamiche che hanno determinato quelle che Jung definiva sincronicità, si darebbe per assunto che queste non vengano “decise” negli attimi immediatamente precedenti, ma subiscano un lento processo di perfezionamento. Esperienze, condizionamenti, esempi, debolezze che ti porteranno a reagire in un modo piuttosto che in un altro alle avances di qualcuno, ad esempio. E non di qualcun altro, per dire.
Va detto che un evento sincronistico è una coincidenza dotata di significato soggettivo per la persona a cui accade. Quindi non astratta dal contesto di riferimento.
Ora. Io mi sono domandata più volte il significato intrinseco delle brutte esperienze che ero costretta a vivere. Ho invocato più di un aiuto e meditato e pianto e riflettuto. Mi sono addormentata con una croce al collo anche la notte che fu, ma non è servito. Perché una risposta c’era. E quando una risposta c’è nessuno può cambiare il corso degli eventi, neanche Dio. Se la tua vita ha preso una traiettoria errata ci penserà la vita a riportarti sul percorso tracciato per te. Non importa quanto farà male, un giorno ti renderai conto che è la cosa migliore che ti sia mai capitata. 

C'è sempre un piano preciso, dietro a tutto...
in questo aveva ragione il signor Rail...
ognuno ha davanti le sue rotaie, che le veda o no.

[A. Baricco da Castelli di rabbia] 

 

 

 
 
 

... Perché magari, certe cose, se le crediamo tutti insieme poi diventano vere.

 

Io non lo so dov’è che sbaglio… e non so se c’è uno sbaglio. Non so chi dice il vero, chi tace bugie, chi assottiglia realtà, chi si difende dalla fantasia. Non so dove vanno le parole non dette. Dove si rintanano. Le sensazioni al capolinea, i gesti sempre uguali, sempre gli stessi, in un sistematico valzer di buone intenzioni e cattive percezioni. Giustificazioni finanche. Perché la testa – la mia almeno – questo fa: crea universi. Si racconta storie. Per così dire. Imbastisce teatrini. Costruisce marionette e invita il pubblico presente a far lavorare l’immaginazione. Perché magari, certe cose, se le crediamo tutti insieme poi diventano vere.
Sia messo agli atti che la mente sviluppa dei processi automatici e inconsci che proteggono il nostro io consapevole dal pensiero dell’annichilimento. Tende, per usare le parole di qualcuno, all’autoconservazione. Rimuove, se deve. Gestisce, ove è possibile. Imbroglia, all’occorrenza. Ora, andate a dirglielo voi che la mia testa fa tutto insieme e che se avessi saputo che la direzione era una, avrei preso quella inversa. Che c’è un lato di me che cade a pezzi ed è proprio quello che tengo nascosto. Che di tutti i sensi, il buonsenso è proprio quello che mi funziona peggio.
Ieri sera sono andata ad una festa con Alessia. Poi ho dormito da lei, come si faceva a 18 anni, con i cuscini vicini, la mano sul cuore, i respiri incrociati. Abbiamo riso fino alle 5 di tutte le strane persone incontrate. Il cinghiale imbizzarrito che ci provava con tutte, il depresso cronico che ci ha provato solo con noi, la cinquantenne buzzicona con il vestitino di paillettes, le brutte scarpe, i cattivi oroscopi e i cocktails analcolici. Poi ci siamo messe a letto a guardare un documentario sui lupi e ci è venuto da piangere. E’ stato allora che ho capito quanto la mente umana sia fragile. Che tiene tiene tiene fino a che ce la fa. Poi basta una mamma che allatta un cucciolo, una rappresentazione di amore puro e incondizionato, la pulizia di un’esatta sequenza di gesti, istinti e attitudini, che di colpo ti senti indifesa e offesa. Indifesa dalla vita. Offesa dalle persone. Quelle che illudono, spariscono, silenziano, ignorano. Quelle che neanche mentono, perché tanto non dicono. Arrivano di notte a casa tua e ti rubano il cuore con la stessa leggerezza con cui da bambina ti rubavano il naso. E tu ci caschi. Con lo stesso sorriso.
In definitiva bisogna capire che le delusioni sono ferite da autolesionisti. Perché facciamo tutto da noi, riponiamo sugli altri le nostre aspettative, amiamo credere, sperare che possa funzionare. Idealizziamo ogni cosa. 
Oggi ho dato il mio personale, intimo addio a tutto. Le illusioni, le persone sbagliate, i cattivi ricordi. La rabbia, il risentimento. Ho chiuso fuori la persona che non voglio essere, lo spreco incipiente dei miei anni da soldatessa senza divisa. Da samurai senza padrone.
Mi sono guardata allo specchio dandomi del tu. Ho ripensato a quanto è stato difficile rimanere in piedi a volte, a quanto siano stati lenti e complicati gli anni fino ad oggi, tutti i sacrifici fatti per orgoglio, tutte le battaglie combattute per l’onore.
Quel che resta di questo giorno è un sogno al contrario quindi. E’ un dubbio sciolto. Sono equilibrismi emozionali. Piroette sul filo spinato. Virtuosismi silenziosi. Incastri blu. L’andarsene. Quindi il tornare.

 

 
 
 

... Had I known how to save a life...

Post n°315 pubblicato il 31 Luglio 2013 da BubY790

 

1. Love - 2. Listen  - 3. Breathe - 4. Imagine - 5. Let it go - 6. Believe - 7. Forgive - 8. Hold still - 9. Hold close - 10. Amaze yourself - 11. Remember - 12. Make yourself secure - 13. Make everyone secure - 14. Take it back - 15. Let it go - 16. Dream - 17. Fear  - 18. Talk to someone - 19. Don't lie - 20. Don't pretend - 21. Trust yourself - 22. Cry - 23. Accept - 24. Don't hurt yourself - 25. Don't hurt anyone - 26. Keep moving - 27. Regret - 28. Forget - 29. Make peace - 30. Make love - 31. Banish wars - 32. Banish hate - 33. Be free - 34. Feel free - 35. Stand still - 36. Don't be scared of death - 37. Have faith  - 38. Admire - 39. Stand strong - 40. Surrender  - 41. Dance - 42. Smile - 43. Laugh  - 44. Break - 45. Touch - 46. Have secrets - 47. Share secrets - 48. Know secrets - 49. Relieve - 50. Don’t lie to yourself - 51. Release  - 52. Run - 53. Learn - 54. Leave - 55. Trust others - 56. Question - 57. Be kind - 58. Keep your memories - 59. Don’t forget - 60. Kiss - 61. Hug - 62. Scream out - 63. Be true - 64. Admit - 65. Live - 66. Release the fear - 67. Secure  - 86. Open up - 99. Say goodbye...

 

... And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life...

 

 

 

 
 
 
Successivi »
 

Omicidi, crimini, povertà. Queste cose non mi spaventano. Quello che mi spaventa sono le celebrità sulle riviste, la televisione con cinquecento canali, il nome d’un tizio sulle mie mutande, i farmaci per capelli, il viagra. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene… [da Fight Club - Chuck Palahniuk]

 

Ecco cosa ti spacciano per civiltà.
Gente che non si sognerebbe mai di usare pesticidi o insetticidi e poi infesta il quartiere con lo stereo sparando dischi di cornamuse scozzesi. Di lirica cinese. Di musica country e western.
Fuori, un uccellino che canta ci sta bene. Patsy Kline no.
Fuori c'è già il frastuono del traffico, che basta e avanza. Aggiungerci il concerto per piano in mi minore di Chopin non migliora la situazione.
Tu accendi la musica per coprire il rumore. Altri alzano la loro musica per coprire la tua. Tutti quanti si comprano uno stereo più potente. È la corsa agli armamenti del suono. E non è con le frequenze alte che vinci.
Non conta la qualità. Conta il volume.
Non conta la musica.
Conta vincere.
Per sbaragliare i concorrenti ti ci vogliono i bassi. Le finestre devono tremare. Nascondi la linea melodica con l'equalizzatore e ti metti a sbraitare le parole della canzone. Ci infili dentro delle volgarità e sottolinei bene ogni singola parolaccia.
È così che vinci. Perché alla fin fine è una faccenda di potere.

Chuck Palahniuk - da Ninna Nanna

 

Dove abiti Murray?
In una pensione. Ne sono talmente affascinato e intrigato.
Una splendida vecchia casa in rovina vicino al manicomio.
Sette o otto pensionanti, più o meno permanenti, tranne me.
Una donna depositaria di un segreto terribile.
Un uomo dall'aspetto ossessionato.
Un altro che non esce mai di camera.
Una donna che sta per ore davanti alla cassetta delle lettere, in attesa di qualcosa che sembra non arrivare mai.
Un uomo senza passato.
Una donna con troppo passato.
C'è un odore di vite infelici, da cinema, che mi fa sentire perfettamente a mio agio.

Don De Lillo - Rumore Bianco

 

L'unica cosa che mi sembra sicura è che il corpo e la mente delle persone ricevono e trasmettono molte più informazioni di quanto le persone stesse non pensino. Questa colorazione misteriosa a volte mi spaventa, perché mi dà la sensazione di essere completamente esposta, a volte mi conforta e mi stringe il cuore. (da The Sound of Silence, in Il corpo sa tutto - Banana Yoshimoto)

 

Perché per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Oooohhh! (da On the road - Jack Kerouac)

 

D'altronde, l'isteria è possibile solo con un pubblico. [...] Vai a com'era la vita quando eri una bambina e potevi mangiare solo omogeneizzati. Cammini vacillando fino al tavolino da caffè. Sei sui tuoi piedi e devi barcollare su quelle gambe a salsicciotto oppure cadere giù. Poi arrivi al tavolo da caffè e sbatti la tua testolina soffice contro lo spigolo.
Sei per terra, e cavolo, o cavolo, fa male. Però non c'è niente di tragico fino a che non accorrono Mamma e Papà.
O povera coraggiosa piccolina.
È solo allora che piangi.
(da Invisible Monster - Chuck Palahniuk
)

 

Ogni guerriero della luce ha avuto paura di affrontare un combattimento.
Ogni guerriero della luce ha tradito e mentito in passato.
Ogni guerriero della luce ha imboccato un cammino che non era il suo.
Ogni guerriero della luce ha sofferto per cose prive di importanza.
Ogni guerriero della luce ha pensato di non essere guerriero della luce.
Ogni guerriero della luce ha mancato ai suoi doveri spirituali.
Ogni guerriero della luce ha detto “sì” quando avrebbe dovuto dire “no”.
Ogni guerriero della luce ha ferito qualcuno che amava.
Perciò è un guerriero della luce: perché ha passato queste esperienze, e non ha perduto la speranza di essere migliore.


 
 

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