Creato da: frontedelpiave il 22/09/2007
La Prima Guerra mondiale non si è fermata in luoghi circoscritti , non viene commemorata per singole battaglie ma si incorpora nel paesaggio, ne diviene organo vitale

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Fronte del Piave

Post n°1 pubblicato il 22 Settembre 2007 da frontedelpiave
 
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Rivolgersi agli ossari. Non occorre biglietto.

Rivolgersi ai cippi. Con il più disperato rispetto.

Rivolgersi alle osterie. Dove elementi paradisiaci aspettano.

Rivolgersi alle case. Dove l’infinitudine del desìo

                        (vedila ad ogni chiusa finestra) sta in affitto.


E la radura ha accettato più d’un frondoso colloquio

ormai, dove, ahi,

si esibì la più varia mostra dei sangui

il più mistico circo dei sangui. Oh quanti numeri, e rancio

                                                                  speciale. Urrah.

Vorrei bucarmi di ogni chimica rovina

per accogliere tutti, in anteprima,

nello specchio medicato d’infinitudini e desii

di quel circo i fermenti gli enzimi

dentro i succhi più sublimi dell’alba, dell’azione, in piena

                                                                      diana. E si va.

E si va per ossari. Essi attendono

gremiti di mortalità lievi ormai, quai gemme di primavera,

gremiti di bravura e di paura. A ruota libera, e si va.

Buoni, ossari-tante morti fuori del qualitativo divario

                                            onde si sale a sicurezze di cippo,

fuori del gran bidone (e la patria bidonista,

che promette casetta e campicello

e non li diede mai, qui santità mendica, acquista).

Hanno come un fervore di fabbrica gli ossari.

Vi si ricevono ordini, ordinazioni eterne. Vi si smista.

All’asilo, certi pazzi-di-guerra, ancora vivi

allevano maiali; traffici con gli ossari.

Mi avete investito, lordato tutto, eternizzato tutto, un fiotto

                                                                               di sangue.


Arteria aperta il Piave, né calmo né placido

ma soltanto gaiamente sollecito oltre i beni i mali e simili

             e tutto solletichìo di argenti, nei suoi intenti, a dismisura.

Padre e madre, in quel nume forse uniti

                tra quell’incoercibile sanguinare

                ed il verde e l’argenteizzare altrettanto incoercibili,

in quel grandore dove tutti i silenzi sono possibili

voi mi combinaste, sotto quelle caterve di

os-ossa, ben catalogate, nemmeno geroglifici, ostie

           rivomitate ma come in un più alto, in un aldilà d’erbe e

                                                               d’enzimi erbosi assunte,

                        in un fuori-luogo che su me s’inclina e domina

                               un poco creandomi, facendomi assurgere a

Così che                 suono a parlamento

per le balbuzie e le più ardue rime,

quelle si addestrano e rincorrono a vicenda,

io mi avvicendo, vado per ossari, e cari stinchi e teschi

mi trascino dietro dolcissimamente, senza o con flauto magico

          Sempre più con essi, dolcissimamente, nella brughiera

io mi avvicendo a me, tra pezzi di guerra sporgenti da terra,

si avvicenda un fiore a un cielo

dentro le primavere delle ossa in sfacelo,

si avvicenda un si a un no, ma di poco

differenziati, nel fioco

negli steli esili di questa pioggia, da circo, da gioco.


Rivolgersi agli ossari

di Andrea Zanzotto        


 


 


 
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