mio diario

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L'insicurezza mi fa dubitare delle manifestazioni di affetto o di apprezzamento nei miei confronti.  Ma si può dubitare dei gesti? Non chiederò mai più a mio marito se mi vuol bene. Non ha bisogno di esprimere a parole quello che mi ha dimostrato in tanti modi nel corso degli anni. Se non mi avesse amata davvero non mi sarebbe stato accanto come ha fatto, sarebbe fuggito. Perché è talmente difficile assistere al dolore altrui che, se non si è obbligati a restare, l'impulso di scappare sarebbe irresistibile. E comprensibile. Poco a poco, brandelli di memoria riemergono riportandomi alla mente immagini che la coscienza non aveva annotato: come quella di un uomo triste che osserva in silenzio una donna assente. E che, malgrado si arrovelli cercando inutilmente di comprendere le ragioni di una distanza che è solo spirituale, non molla, la custodisce, bada ai figli oltre che a lei, non lascia andare in malora la famiglia. Dove abbia preso la forza non lo so. La mia tendenza all'autodistruzione mi porta a rifiutare tutto il suo impegno, ché questo, come tutto il resto, io non lo merito. Ma lui, ora che mi vede ritornare, un po' alla volta, non me lo permette. Sa che ce la posso fare, dice che devo farlo per tutti e due. Sono fortunata e, che creda o no di meritarlo, quest'uomo è mio marito.